PISTOIA. Il coraggio non mancò a Bianciardi e non è mancato nemmeno a Farina, il giovanissimo regista che si è preso la briga di (ri)portarlo in scena questa Vita agra del dottor F., ieri sera al teatro Manzoni, fuori abbonamento, dopo tre giorni di rappresentazioni mattiniere riservate a studenti e docenti delle medie superiori.
Ma non perché sia demodé, anzi; la tragedia delle miniera di Ribolla, all’inizio del boom economico italiano, dove morirono 43 operai, somiglia, purtroppo, a tante altre sciagure pilotate dall’interesse spietato che si sono verificate dopo, nel tempo, con l’unica, impercettibile, differenza dettata dalla quantità di sangue versato e dunque dal dolore luttuoso prodotto.
Ma qui siamo a teatro e non si scherza affatto. In scena, tre personaggi qualsiasi, con il loro cinismo, la loro voglia di esporsi, il loro gregarismo . C’è Angelo Romagnoli, un uomo qualunque fin nel midollo, che vuole a tutti i costi vendicare il dolore sofferto dai suoi amici e dalle loro famiglie; c’è la sua compagna, Claudia Pinzauti, una donna impegnata, con delle cosce bellissime, rese ancor più erotiche dalle autoreggenti che si accomoda con calibrata distrazione e poi la padrona di casa, Rita Felicetti, che è anche la conduttrice di un talk show senza tempo, o meglio, il nostro.
Felice il dentro-fuori scenografico, così come la versatilità dei tre protagonisti, che in alcuni momenti avrebbero anche potuto e dovuto lasciarsi andare un attimo per farsi guidare da istinti non scritti dall’autore, dal regista e irreperibili nei copioni.
Nel mezzo, comunque, ma soprattutto prima e possibilmente dopo, l’umanità intera, quella delle frustrazioni, dei compromessi, dei riscatti non pagati, dei contratti sottoscritti al buio, della commedia umana, della inevitabile integrazione a ribasso, il manifesto della resa, quella dei conti, esasperata e mortificata dall’anelito rivoluzionario con la quale aveva deciso di intraprendere il viaggio, quel lungo viaggio verso la metropoli, dove schianteranno tutto e tutti, ognuno all’insegna di se stesso e dei suoi valori.
Un lavoro importante, questa Vita agra del dottor F., perché riscritto e resuscitato in un frangente storico nel quale tutto sembra riemergere dalla memoria, anche da quella più distratta e riproporre, con spietata freschezza, tutto il cinismo che regola il genere umano in relazione alle cose e alle persone che ne delimitano, spesso con sofferenza, gli spazi.
Ma è proprio la denuncia e la constatazione dell’ennesimo fallimento ideologico la vena più innovativa e rivoluzionaria del testo: è vero, nella metropoli, i sani principi della provincia e della campagna finiscono per essere assorbiti prima e annientati dopo dalla macchina capitalistica che sforna caos artificiale, che trasforma il superfluo in indispensabile, che in nome di un falso efficientismo e della totale reperibilità riesce a smorzare passioni e entusiasmi che parevano linfa vitale.
È la morte dell’eros, dell’amore, della grazia, delle attenzioni; il Diavolo prende il sopravvento, si impadronisce delle situazioni e insinua le proprie vittime, attirandole inevitabilmente all’intero delle proprie spire e trasformando gli aneliti anarchici in addomesticamenti mostruosi, dove l’autore riesce finalmente a liberarsi dalla precarietà, ma pagando un conto e un costo salatissimo.
Uno spettacolo principalmente rivolto alle scuole, didattico, dunque; ad accompagnare gli studenti in questa occasione di essere autorizzati a saltare le ore di lezione, buona parte del corpo insegnante, quelli deputati a spiegare o comunque instradare i discenti verso una più nitida comprensione del testo e dei suoi effetti collaterali, non solo teatrali. Ribolla, del resto, non è poi così distante dalla Thissen e anche noi, spettatori, spesso ci dimentichiamo che da modesti tacchini, i nostri voli, più che pindarici, risultano solo goffi.