«L’AMARA SORTE», DI CLAUDIO MORGANTI E DI NOI TUTTI

Claudio Morganti
Claudio Morganti

AGLIANA. Ha minacciato i presenti prescelti al suo spettacolo che, tra una decina d’anni, semmai, il suo L’amara sorte lo porterà per la terza volta in scena. Lo ha fatto non prendendosi sul serio, naturalmente, ma il suo teatro è questo: una riflessione continua, spasmodica, letale sulla condizione umana, quella che decide di celebrare i personaggi che fanno la storia e gli ominidi che la subiscono.

Claudio Morganti, nel coro, non ci sa stare, ma lo fa con perfetta coerenza e anche ieri sera, al Moderno di Agliana, ne ha dato un’altra volta saggio autentico, rileggendo e rileggendosi. La maschera di acqua e farina non c’è più; le due bacinelle illuminate che contenevano i due ingredienti sono al lato del palco, ma sono vuote. Il proscenio è il Moderno, ma visto da dietro, sbilenco. La sala è vuota e i pochi fortunati sono sul palco, disposti diametralmente alla scrivania dietro la quale il professore Morganti, vecchio, stanco, malato, con deambulazione incerta e affannata, con una tosse antica invecchiata da centinaia di sigarette, senza filtro e una vista prossima alla cecità, riascolta le sue registrazioni effettuate tanti anni prima.

Da uno dei cassetti, estrae una confezione ricoperta con carta d’alluminio: dentro, tre fette di prosciutto, divise l’una dall’altra da strati di cellophan. Le mangia, tutte, con avidità, senza però dimenticare di togliere, da ognuna, la piccola zona di grasso. Che getta a terra, o che infilza su una sporgenza della lente di ingrandimento indispensabile a consentirgli di leggere i suoi appunti, ma anche perché il pubblico possa scorgere la sua pupilla, deformata, tenebrosa, ma coloratissima.

Il passato è un’accozzaglia di ideologie, di false convinzioni, una vita trascorsa a remare contro, contro una corrente ideale per il resto dell’umanità, quella che ha preferito adagiarsi sulla cresta delle onde per farsi trasportare ovunque volessero i marosi.

Samanta non c’è più. Samantha pure, non c’è più. Se ne è andata, molto tempo prima, accompagnata fin sull’uscio della propria esistenza proprio dal suo compagno Claudio, che una mattina, svegliandosi al suo fianco, ha capito che quell’amore, finto come tutto quello che succede, non avesse più ragione di esistere.

Ora però, Samanta o Samantha, farebbero comodo al vecchio incartapecorito professore, dilaniato dai rimorsi, abbandonato dalle forze e dalle passioni, in attesa che la decomposizione lo offra in pasto ad una benevola metempsicosi. Il nastrino 3, del contenitore 7 riesce a trovarlo, nell’astuccio appoggiato a terra, alla sinistra della scrivania, il professor Morganti. E lo riascolta, azionando i tasti FF e WD per procedere oltre o per tornare indietro. Nulla di nuovo, nel metallo della sua giovane voce. Occorre nuova linfa e allora, dopo aver sorseggiato un secondo bicchiere riempito di birra e urina da dietro il telone, Claudio Morganti torna a raccontarsi, registrando il secondo tratto della propria esistenza. La luce si affievolisce, con sistematica progressione. Pare calare la notte; invece è il sole a dominare la scena, tanto che prima che faccia giorno, inforca un paio di occhiali da sole.

Potete andare nelle vostre case a fingere di essere vivi, ora. Lo spettacolo è finito, il martirio continua.

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