
PISTOIA. È sulla via delle beatificazione, non c’è che dire, Alexander Langer. Probabilmente la merita anche, quella laica, naturalmente, quella che in qualche modo gli ha voluto conferire anche Marco Boato, suo amico fraterno, con il suo ultimo libro, Alexander Langer, costruttore di ponti, presentato nel pomeriggio, 10 ottobre, alla libreria Lo Spazio di via dell’Ospizio, a Pistoia.
L’incontro, promosso dalla Federazione dei Verdi di Pistoia, presentato e rappresentato da Andrea Fusari, si è svolto in un clima ideale, con una platea attenta e desiderosa di saperne di più di questo profeta dell’ecologia, tra i primi cattocomunisti d’Italia, di quelli, per non confonderci con le ultime risacche opportuniste, che avrebbero voluto confondere il messaggio evangelico con quello proletario.
All’inizio, l’equazione, gli riuscì anche. Amico e allievo di Don Milani, Langer, che si laureò a Firenze, fu uno degli ispiratori di Lotta Continua, dirigendone, per un breve periodo, addirittura l’omonimo quotidiano.

“Del resto – come ha detto Marco Boato durante la lunga e piacevole presentazione del suo libro –, nel ‘68, più che Marx, Lenin e Marcuse, negli ambienti dove si teorizzava la rivoluzione, il foglio più letto era Lettera ad una professoressa, di Don Lorenzo Milani. Quella è stata la fonte di ispirazione massima di quel periodo per l’intero movimento”.
Il volume è una raccolta dell’insieme delle visioni e profezie di Langer, che già in adolescenza scriveva, rivolgendosi ai suoi compagni coetanei, l’indispensabilità di dare, indistintamente, una mano a tutti coloro che ne hanno bisogno. Anche in politica la sua militanza, feroce e sistematica, non si discostò mai dai principi milaniani, una coerenza attiva e instancabile che gli valse il perdono ecumenico, perché nonostante morì suicida, a 49 anni, impiccandosi ad un albicocco tra le pendici fiorentine del Pian dei Giullari, la Chiesa ne celebrò regolarmente le esequie funebri, anzi, tre: a Firenze, a Vipiteno, dove era nato nel febbraio del 1946 e una in un paesino sperduto della valle bolzanina,
Sul cruscotto dell’automobile con la quale si diresse nell’orto della fine, lasciò un foglietto, un testamento politico, che si chiudeva con “non siate tristi, continuate in ciò che era giusto”.
Un messaggio autografo e autentico, che gli è valso l’inesorabile e cautelare dimenticatoio.