IERI SERA, ferragosto 2019, su La7, alla trasmissione di Telese e Parenzo – l’uno sufficientemente e apprezzabilmente preciso e ritagliato, l’altro confusionario o, più semplicemente, confuso di per sé – stavano parlando di foto storiche di politici storici (Aldo Moro che cammina in giacca e cravatta sul mare) e di quel «selfàio» che va tanto di moda ai nostri giorni: con tutti – come fu detto da un ospite di cui mi sfugge il nome – che seguono e “si eseguono” le posizioni standard del “manuale del selfatore” come se si trattasse di un vero e proprio Kamasutra.
Del resto la politica attuale è puttana come la Taide dantesca o – sempre con Dante – è una meretrice con «gli occhi putti» (= puttaneschi, troioni): quindi, nessuna meraviglia se dico e cito il Kamasutra per i nostri beneamati politici.
Il guaio dell’oggi è tutta quella massa di perbenistica ipocrisia, un tempo retaggio esclusivo dei cattolici e spregiata e presa a calci in culo dai comunisti; oggi che i discendenti di Marx/Don Sturzo si sono tutti ritrovati in chiesa a scambiarsi il segno della pace (anche se poi i preti progressisti espongono sull’altare la bandiera palestinese, ma mai e poi mai quella israeliana, figlia, secondo loro, non di Davide, ma del detestato Shatàn), questa massa di ipocrisia da sepolcri imbiancati o riprovevoli farisei griffati – alla ricerca spasmodica di un «volémose bbène peffòrza», strumento di un partecipare non alla mensa del padre, ma a quella del partito, degli affari e delle partecipate –, è confluita ed è stata codificata in ciò che le donnine radical ostentano come «politically correct» o galateo contro sia la libertà di parola che la libertà di pensiero.
A tutto questo vengono associate altre regole di bon ton comunistico/usa-democratico-hillaryano quali: la caccia alla ricerca ossessionata del moralismo oltranzista antisessista (non puoi dire neppure «fagiolo» perché in popolar-toscano potresti alludere al «glande» di un «pisello» di ciccia umana – che stronzata!); non puoi definire «trombata» una gentile signora che è stata stracciata e scornacchiata a tutte le elezioni a cui si è presentata, perché vieni condannato (magari da un giudice a sua volta condannato per non chiari rapporti con la camorra: è successo a Pistoia/Sarcofago); non puoi permetterti di raccontare una barzelletta sui gay, perché sei omofobico: ma se ne racconti dieci sui carabinieri, fai assolutamente bene perché le forze dell’ordine sono stronze per definizione di sinistra; devi riscrivere le regole della lingua italiana per dire, in onor della Fedeli e della Boldrini (due emerite filosofE dottorE [femminile plurale di dottorA] in linguistica crusco-semolo-asiniana), ministrA, avvocatA e – perché no? – conduttorA, guidatorA, dottorA (per medicA), nuotatorA, professorA e/o chi più ne ha più ne metta.
Non più omicidio per una donna, ma femminicidio. Ma non era, se mai, più logico donnicidio? O forse era brutto? Perché? Femminicidio è, forse, più lieve e leopardiano? Mentre se si uniscono due gay si parla ancora di matrimonio ignorando tranquillamente che la formante matri- è elemento costitutivo che rimanda a madre, che poi è quella femmina (per chi ancora crede che i bambini nascano sotto un cavolo o, come gli antiomofobici, che ordinano i bambini su misura da Amazon con un utero in affitto – vedi Vendola [o, più appropriatamente, Cómprola…]), è quella femmina che i bambini li fa davvero costruendoli piano piano per 9 mesi 9. E tante altre amenità del Menga che farebbero ridere – se solo avessero una poca ragione – perfino i poveri polli d’allevamento. Ma non la sinistra.
La cultura – quella vera, non quella dei circoli di sinistra, dei giudici moralisti e dei venduti alle mode –, come scrive la Bibbia, non si meraviglia di nulla, ma tutto comprende, e non solo non può, ma non deve neppure essere «politically correct», pena la castrazione compulsiva che origina, come è già accaduto, una marea di spallati-disorientati con molti problemi di identità e, conseguentemente, anche relazionali; problemi che, non potendo trovare sfogo per le vie naturali della psiche, sgusciano fuori (come il «fagiolo» di cui parlavo sopra?) in quella sorta – nella maggior parte dei casi – di brache lise e pisciose che si chiama Facebook: un’isola che non c’è in cui tutti i disorientati sparano tutto l’odio livoroso generato dalla compressione perbenistico-ipocrita attivata ogni giorno nella vita reale.
È un fenomeno psichico, ma analogo al dover trattenere a forza l’urina, che alla fine zampilla con una intrattenibile pisciata liberatoria perfino nei pantaloni. O anche del frenare troppo a lungo le detestate e detestabili, ma estremamente comiche scorregge, oggetto caro alla commedia antica (e moderna), col rischio di sentirsele poi scappare nel momento sbagliato.
E tutto questo non è un modo irriverente di parlare e/o di scrivere: è una pura constatazione senz’altro suffragata dalla scienza dei famosi strizzacervelli. Del resto, ricordate cosa scriveva Augusto Novelli nel 1908 in L’acqua cheta? La ragazza più spigliata e disinvolta, criticata da tutti, era un vero fiore di purezza intatto, mentre l’altra tutta casa-e-chiesa, era una birbante con tutti i crismi. Giochi, evidentemente, dell’ipocrisia alternata sui piani dei “vizi privati e pubbliche virtù”. Su Facebook – diciamocelo – circolano più Napalm51 di Crozza che persone in equilibrio e in pace con se stesse.
Per chiudere: se Salvini fomenta l’odio razziale (come sinistra e cattolici sostengono strappandosi i capelli e perdendo la voce per raucedine), la sinistra e i cattolici non hanno scherzato di meno con il «politically correct» che ha letteralmente rincoglionito il paese, l’Italia che ha dato la civiltà al mondo intero: compresi, però, il fenomeno dei gladiatori (oggi sosituito con le violenze allo stadio e nelle piazze) e quella libertà di espressione che non ha paura di chiamare le cose con il loro, di per sé, incolpevole nome.
La cultura non può essere «politically correct». Non deve offendere (ma, se è vera cultura, non lo fa da sé), ma, soprattutto, non deve reprimere. È quello che ci dicono ogni giorno (più o meno inascoltate) pubblicazioni come Charlie Hebdo – a mio giudizio fin troppo stronzo con noi italiani, ma adorato dalla sinistra liberista e radical – e il più modesto (ma comunque vero e simpatico, alla livornese come il baccalà) Vernacoliere, a volte peso sullo stomaco come un cacciucco troppo carico, ma sfrontato al punto giusto per contrastare il ridicolo del galateo microcefalico e pseudoborghese.
Smettiamola tutti di essere chiusi in una armatura d’acciaio e con un manico di scopa in culo. Lo diceva anche Plinio il Giovane che ridere fa bene. Dunque, fàtelo con questa bella sonettessa – scritta, oltretutto, da un abate – che non scandalizzò nessuno e fu tranquillamente pubblicata senza che le donnine chic arcadiche arrossissero troppo:
PER UN
MAGNIFICO STRONZO
VEDUTO A CASO PER ISTRADA
DALL’AUTORE
SONETTO LXI.Oh beato colui che ti formò,
Piramidale Stronzo, che sei qui,
Di cui non altro ancor più raro uscì
Dacché nel Mondo a braccia si cacò.Te lungo, grosso e tondo architettò
Quel bravo buco, che per te s’aprì,
Degno di stare esposto al chiaro dì,
Eterno onor del cul, che ti stampò.Tu, nobil parto, stai qui ritto in piè
Con tanta grazia e tanta maestà,
Che ognun che passa riverir ti dè.Scendi, e del lauro, che sui crin ti sta,
Questo vero de’ Stronzi invitto Re,
Messer Apollo a coronar ten va.Ma pian per carità,
Che nel toccarlo nol guastassi tu,
Che Stronzo così bel non nasce più.[C.I. FRUGONI, Opere poetiche, Parma, Stamperia Reale, 1779, vol. II, p. 163]
Edoardo Bianchini
[direttore@linealibera.it]
Per i puri di spirito ogni cosa è pura