PISTOIA. Sabato 23 aprile 2016: la Pistoiese, la piccola scalcinata ma egualmente adorabile Olandesina dei nostri tempi, battendo 2-1 il Teramo ha compiuto un passo, probabilmente decisivo, verso la salvezza.
Su tutti, un calciatore, uno che non ha segnato e pure ha posto la propria firma, indelebile, sull’incontro: Corrado Colombo da Ruginello di Vimercate, provincia di Monza e della Brianza. Ormai pistoiese d’adozione.
Prossimo ai 37 anni, essendo nato il 3 agosto del 1979, Colombo è alla terza esperienza in arancione: giunse giovinetto a Pistoia nell’ormai lontano – ahinoi come trascorre velocemente il tempo, questo tempo! – 1999/2000, poi dopo una pregevole carriera di girovago del calcio tornò, per poche settimane nel 2011, e infine eccolo in mezzo a noi, quest’anno.
Promessa dell’italico pallone, dotato di classe cristallina, gli si vaticinava una trafila ancor più luminosa di quella effettivamente svolta. Era bravo, bravo davvero, lo acquistò l’Internazionale di Milano, soprattutto per toglierlo alla concorrenza.
Il calcio è uno sport semplice, ma che ti vuole sempre vedere in faccia: non si può barare, a lungo. Corrado ha giocato e vinto, ha giocato e perso. Forse, in taluni periodi, si è un po’ perduto, ma è salito sull’ottovolante del pallone, ha regalato ad esempio al Livorno una storica vittoria sul Milan, si è sicuramente divertito.
È tornato a Pistoia con la serenità dei forti, dei grandi: divertendosi veramente e, di conseguenza, facendo divertire chi ancora ama il gioco del pallone, quello vero, quello che ti trascina tra le emozioni più inebrianti sino a farti piangere lacrime di gioia.
Osservarlo in azione con il Teramo è stato uno spot per questo sport: la sua prova andrebbe mostrata agli aspiranti calciatori, nelle scuole calcio, nelle aule di Coverciano, laddove s’insegna ad allenare.
Corrado ha danzato per oltre un’ora, sino alla standing ovation regalatagli, giustamente, dal tecnico della Pistoiese, Bertotto. Ha interpretato la partita come meglio non si sarebbe potuto: ha sputato l’anima, ma l’ha fatto con stile, con una poesia che gli è insita nel corpo, nell’armonia dei gesti, delle evoluzioni.
Se fosse pallacanestro, l’avremmo descritto come il nero della squadra, lo straniero, l’uomo che fa la differenza. È bianco, Corrado, ma possiede la travolgente, meravigliosa armonia del campione. Del campionissimo.
E allora non importa se ha vinto poco o tanto, se è stato celebrato in passato oppure fischiato, persino deriso al termine di domeniche amare. Quando il tifoso s’arrabbia. Di brutto.
Interessa, invece, che prenda per mano la Pistoiese e la riporti in alto, nelle categorie che merita. Interessa che resti un nostro giocatore. Perché ne vorremmo vedere altre mille di prestazioni così, scintillanti come una scossa d’adrenalina, superbe come il primo timido appassionato bacio o una carezza sulla nuca di babbo e mamma.
Era del tempo, troppo tempo che non provavamo qualcosa. Grazie Corrado: ci hai riconciliato con quello che resta, pur tra milioni di briganti, il “giuoco” più bello del mondo.
[Gianluca Barni]