lettera a un segretario generale. QUARRATA, DIO CI SCAMPI DALL’UFFICIO TRIBUTI CHE SPARA A ALTEZZA D’UOMO «’NDO COJO COJO»!

Di fronte a una incapacità operativa così evidente, è o non è lecito chiedersi che razza di laureati sfornino le nostre comunistissime università statali? Si danno le lauree perché si devono dare o perché i laureandi sono persone ragionervoli e in grado di fregiarsi del titolo di dottore?

 

E loro duri! Continuano a scrivere alle persone sbagliate. E meno male che dovrebbero fare corsi di aggiornamento…

 

SE VOI LE RICEVUTE LE PERDETE

MA ALMEN LE PALLE NON CE LE ROMPETE!


 

 

LO SCORSO 26 agosto ho pubblicato lettera a mazzanti. «marco, ma allora il comune di quarrata se le va a cercare con il lanternino, scusa!». 18 che vi consiglio di rileggere perché ieri, sulla questione, c’è stata una seconda “eruzione” (cutanea o diarroica?) del Comune di Quarrata – Area Risorse / Servizio Entrate, quella coordinata e diretta (mi pare con Posisione Organizzativa) dal dottor Marco Baldi.

Quando il Comune – non si sa con quale e per quale ratio giuridica – chiese a mia figlia di pagare per sua nonna, morta nel 2016 – fra l’altro domiciliando la morta in via di Lecceto 12 (ma ve lo immaginate?) – giustamente mia figlia si incazzò e scrisse al Comune dicendo che non le rompessero mai più i corbelli.

S. Cecilia 1972. Don Giuliano Mazzei, autore dei versi sui comunali [Foto Luciano Michelozzi]
Ma, evidentemente, a un cervello che è quello che è, non si possono dare indicazioni che non riesce a capire. E per questo motivo il dottor Marco Baldi le ha scritto di nuovo una lettera: quella che avete appena letto in testa al pezzo.

Il Baldi, nonostante la laurea in economia e commercio, non ha ancora afferrato il concetto – direi elementare – che, siccome non capisce a chi deve rivolgersi per avere legittimazione a una qualsiasi richiesta di rivalsa, non può farlo con il primo che passa per strada e che lui (o chi per lui), con la presunzione tipica dei pubblici dipendenti, individua come persona interessata. Cosa succederebbe, infatti, se Marco Bai facesse un verbale a me e lo notificasse, per la riscossione, a Eriberto da Ficulle o a Giovanni delle Bande Nere?

Personalmente ho risposto al dottor Baldi con la lettera che potete scaricare da qui. Il Baldi, dunque, ha ampia materia:

1. per chiedere scusa a chi aveva rotto i coglioni (mia figlia, per capirci)
2. per indirizzare le sue squinternate osservazioni/decisioni a ben più appropriata presona – ovverosia quella che nel 2018 e 2019 ha sempre pagato, e completamente, le lampade ciniteriali di cui l’Ufficio Entrate ha perso un versamento “per cavoli sua”.

Ma il grave è che, dal dicembre 2016 ad oggi, l’Ufficio Tributi (mi pare 6 unità lavorative) non è stato in grado di aggiornare un indirizzo. Eppure a fine-anno beccano anche il premio di produzione (pardon… di confusione!).

Perciò di fronte a una incapacità operativa così palesemente conclamata, è o non è lecito chiedersi che razza di laureati sfornino le nostre comunistissime università statali? Si danno le lauree perché si devono dare o perché i laureandi sono persone ragionervoli e in grado di potersi fregiare del titolo di dottore?

E di fronte a un casino di questo genere, ma un segretario generale, come la fresca e aulente signora Grazia Razzino, se l’ha da porre o no il problema dell’efficienza di certi suoi dirigenti e loro subordinati?

Pongo un quesito preciso anche al nostro amico incazzoso e sordomuto, il Mazzanti: ritiene che questo sia uno standardi di servizi d’eccellenza o non pensa, piuttosto, che la qualità dei servizi che eroga il suo ente faccia letteralmente pena? C’è qualcuno in Comune che sappia leggere e scrivere in maniera sufficiente, sindaco e giunta àfoni?

E torno al punto di partenza: carissime opposizioni, a cosa vi opponete di fatto? Solo allo schienale delle vostre poltroncine?

 


 

Il dottor Giuseppe Guggino, Segretario Generale del Comune di Quarrata [Foto Luciano Michelozzi]

RICORDANDO

UN GRANDE DIRIGENTE

 

Caro Dottor Giuseppe Guggino,
ogni volta che ripenso a te, mi piglia una grande tristezza e una grande nostalgia. E in questi ultimi tempi mi càpita spessissimo: in primo luogo perché il tuo grande, Aldo Stefano, all’improvviso ha ribussato alla mia porta ed è venuto a trovarmi – siamo in contatto quasi ogni giorno e mostra un grande affetto in memoria di quando, mentre faceva lo scientifico, pigliava qualche lezione di latino da me.

In secondo luogo perché quella specie di “cassonetto di geni & cromosomi” del Comune di Quarrata, che fu anche tuo, si conferma – come hai potuto vedere – sempre più all’altezza di ciò che mi insegnasti in gioventù, quando mi dicevi che chi entra dentro, di solito lascia il cervello fuori, per strada.

I 125 dipendenti di allora, eterogenei e di tutti i tipi e colori, con al massimo un diploma da geometrO, se anche ti facevano incazzare, venivano sùbito sùbito rimessi a posto e senza tanto rumore.

Da buon siculo palermitano di Caltavuturo, eri bravissimo a risolvere i problemi senza alzare la voce. Lo hai fatto solo una volta, quando il povero Ennio Vestri, bravissima persona, ma sempre angosciatamente insicuro, ti fece davvero perdere le staffe: tirasti un cazzotto sulla tua grande tavola di segretario – sempre piena: non vuota come quelle di oggi –, con una forza tale che il bel cristallo che lo proteggeva andò in frantumi. E sicuramente avrai avuto le tue ragioni.

Eppure non ti ho mai visto fare del male a una mosca. E nessun dipendente, anche il più imbecille, anche il più lavativo, anche il più incapace e il più stronzo, è mai stato perseguitato.

Caro dottore, che noi, per scherzo ma con affetto, chiamavamo “il Mega” per l’importanza della tua carica: se tu fossi qui a vedere l’idiozia con cui si lavora in questo nostro Comune, ne saresti angosciato, non solo perché tu eri un gran Segretario Generale, ma soprattutto per il fatto che, quando facevi e dirigevi, sapevi dirigere e far fare.

26 maggio 1973. Inaugurazione del nuovo edificio del Comune. Da sinistra: il prefetto Schirinzi, Mario Turi, l’On. Edoardo Speranza, l’ing. Enio Gori, il dottor Domenico Mammini, il sindaco Vittorio Amadori e il Segretario Generale dottor Giuseppe Guggino [Foto Convalle]
Oggi, caro Pino (se posso permettermelo), la dirigenza fa pena perché non dirige un cazzo.

E la manovalanza è commisurata, in altezza e competenza, ai dirigenti che stronfiano boria insulsa dalle tre narici che hanno in fondo al naso, perché il primo parametro meritocratico della sinistra dell’inferno europeista, è il familismo; il secondo è la fedeltà al colore caro al toro; il terzo è l’assoluta mancanza di materia grigia, garanzia che un demente assunto non romperà mai i coglioni a chi sta sopra e – non di rado – è più demente di chi gli è sottoposto.

Anche ai tuoi tempi, caro dottor Guggino, non sono mancate applicazioni di questi tipi di scelta: ma il vento tirava in direzione diversa, perché i quarratini dell’Amadori non vennero a comprarti al mercato come fanno oggi gli amministratori illuminati di sinistra, grati a quel Bassanini in malafede che inventò i decreti con cui tutti i partiti (e in specie quelli di governo) hanno potuto rubare a man bassa rimpallandosi le seghe politici-dirigenti/dirigenti-politici: l’Italia ha fatto proprio un bel chiappo da Tangentopoli in poi!

Il dipendente-tipo di oggi somiglia da vicino a frate Cipolla del Boccaccio. È tardo, sugliardo (= sudicione) e bugiardo; negligente, disubidente e maldicente; trascurato, smemorato e scostumato. Aggiungerei: incapace, mendace e rapace – a Serravalle rubavano perfino la carta igienica dei cessi e il Mastro Lindo per i pavimenti di casa…

Ecco perché, se tu fossi ancora con noi, non torneresti volentieri al bar in piazza a prendere un caffè al tavolo con me, Virgilio Vannucci, Alberto Perrozzi – l’Albertone, quello il cui figlio ragioniere ha incatenato e chiuso mezzo Lecceto grazie alla permissività dei tecnici del Comune! – e, talvolta, anche Brunero Fuochi.

Preferiresti forse che ci trovassimo in cima a un poggio – a Lecceto, per esempio – come quando, prima della presenza del ragionier Perrozzi figlio, potevi venir su con Albertone a prendere fresco alla sera da me, senza che nessuno si affacciasse e urlasse: «Lì no, c’è mio; là no, c’è nostro!».

E checcazzo, vaffanculo!

Edoardo Bianchini
[direttore@linealibera.it]
Art. 21. Libertà di pensiero e di espressione

 

La domanda è la stessa di ieri. Secondo voi l’opposizione che cazzo ci sta a fare in consiglio a Quarrata?


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