l’hai voluto tu. LA BANDIERA DI MAZZANTI NON CI RENDE TUTTI SANTI!

«Undici frazioni – Quarrata – e ventidue campanili, ma anche di più. Quarrata, per esempio, non ha mai visto bene la gente di collina: Buriano, Lucciano, Montemagno, Forrottoli. Questi ultimi due borghi poi, nell’elenco, sono la fine del mondo». Come si fa con un unico vessillo? Si inventa e si “recupera” una tradizione fasulla di palio delle contrade come a Siena con tanto di voli di colombe?

Per esempio né l’ufficio stampa né gli altri scrivani dello staff sanno che sulla bandiera in generale era tradizionale, a Quarrata, una bella filastrocchina – questa davvero tradizionale, non come le colombe libere!

 

O QUARRATINI, AVETE LA BANDIERA:

CHE ALTRO VI MANCA DA MATTINA A SERA?

oppure

SIATE FELICI E FATEVI UNA PERA!

 


Anche i filosofi hanno le loro logiche

 

CERCARE di spiegare Quarrata rifacendosi a qualche dotta frase da letterato è – credo – assolutamente inutile.

A Quarrata e ai suoi amministratori (nessuno escluso) basta e avanza una dottissima citazione di Fedez, L’hai voluto tu, e a quel punto tutto diventa, più che chiaro, trasparente.

Quarrata del dopo-fascio partì con il sindaco Bucciantini, comunista, degnissima persona e molto equa, da quel che mi hanno sempre detto, e poi entrò nel quarto di secolo dell’Amadori che tenne le redini fino al 1975.

Ma guardate oggi a che punto è, se si tiene presente che l’amministrazione di Mazzanti non vede i casini (forse neppure la frazione…) ma fa dei casini micidiali. Confonde perfino il culo con le quarant’ore, quando i suoi dipendenti perdono le strade o le ricevute di servizi già pagati; e s’inventa (ma da dove l’ha tirata fuori, da papa Francesco?) la tradizione del volo delle colombe per la fiera cintolosa di settembre, quando l’uva è matura e il fico pende.

L’ho sempre detto e continuerò a ripeterlo: hanno voglia i comunisti a parlare di storia e di tradizioni! Loro, la storia, l’hanno imparata alle Case del Popolo, magari nei dibattiti curturali come quello famoso che compare nel film di un loro idolo, il Benigni, in Berlinguer ti voglio bene. Aldilà è tutta una notte su un campo di basilico: buio pesto!

E come si sforzano a farle passare per bòne! Somigliano tanto a quei canini piccini che, dinanzi a un cancello che tiene al sicuro una cagna in calore, riescono a passare, facendo marameo ad alani e pastori tedeschi: ma poi, poverini, non arrivano al loro amore, raggiunto con tanta fatica, perché hanno le gambine troppo corte!

E siccome sono iniquo, cattivo, ignorante, dispettoso e tutto quello che volete, mentre rileggevo tutta la trafila del discorso del sindaco sulla bandiera, mi sono tornate in mente troppe cose della vera tradizione quarratina, che ormai sfuggono perché Quarrata tutto è fuorché una comunità coesa e dello stare vicini-vicini, come garba alla sinistra corretta (forse al rum).

Undici frazioni – Quarrata – e ventidue campanili, ma anche di più. Quarrata, per esempio, non ha mai visto bene la gente di collina: Buriano, Lucciano, Montemagno, Forrottoli. Questi ultimi due borghi poi, nell’elenco, sono la fine del mondo.

Quarrata era sempre stata troppo nobile per cedere ai campagnoli, specie se collinari, con gli zoccoli (di legno) ai piedi. Quarrata era acculturata: specie quando, alla bottega che dava anche da mangiare, proprio dinanzi al Comune, in Piazza della Vittoria, negli anni 20 c’era un bel cartello invitante per i clienti. Offriva un pasto frugale, ma sostanzioso: «Fagioli cociuti in forno e vino di Montemagnio, 1 lira 1 lira». Attenzione che in dialetto si legge così: fajòli cociùhi ’n forno evvìno di Montemagnìo.

Un vero capolavoro di satira: roba fina da… preti!

Noi di Lucciano, i quarratini colti ci pigliavano per il culo, perché si diceva dinanzi mentre andava detto davanti. Come vedete erano politically correct fino da allora.

Poi siamo iti (= andati) sempre peggio. I quarratini pigliavano per il culo quelli di Santallemura (forse per il cimitero) o quelli di Tizzana perché avevano perso il Comune, poi portato a Quarrata City; o anche quelli dei Casini, detti spregiosamente casinai o cavallai perché là i Baldi avevano cavalli da corsa e un famoso Cincerina su cui mi piacerebbe fare qualche domandina ai quarratini di oggi.

Il massimo spregio cittadino, si raggiungeva con la presa di culo dei colecchiani (Colecchio ha dato residenza a Salvatore Magazzini e, in séguito e tuttora, a Marcello Scuffi), ma non mancavano anche sberleffi d’ogni genere per quelli della Ferruccia, come Maurizio Ciottoli: tutti con la testa grossa e fuori misura. Si diceva perfino che i cappellai di Pistoia (bòni i pistoiesi!) per i ferrucciani avevano una stanzata di cappelli a parte.

Insomma la vita quarratina era questa e almeno fino al 45, non mancavano mai sassaiole, scazzottate, botte e coltellate pure. Ma Marco non lo sa. E neppure tutti gli altri – quarratini e/o trapiantati, che sono arrivati come le mosche su una meccia, e che hanno portato la loro strampalata civiltà del Menga sulle colline e nella nostra pianura.

Per esempio né l’ufficio stampa né gli altri scrivani dello staff sanno che sulla bandiera in generale era tradizionale, a Quarrata, una bella filastrocchina – questa davvero tradizionale, non come le colombe libere!

Se qualcuno, per esempio, avesse detto qualcosa che finiva in –ìa (tipo: mammamìa, compagnìa etc.) iniziava la solfa:

          – ’un mi garba hésta hompagnìa!
si beccava subito un bel

          – e la maiala della tu’ zìa!
al che doveva rispondere

          – e la mia con la tua l’eran maiale tutt’e ddùa
Ma non finiva lì. L’ultima frase suonava – mi spiace ma era la tradizione… –

          – e se la mia ll’èra, la tua le portàa la bandiera!

Oggi per onorare questa tradizione cosa dovremmo sventolare? Quale bandiera? Quella di una bella cinta senese?

Quarrata, come tutte le cose di questo mondo, istuituzioni comprese, è un santo bluff che serve – come un tempo la religione secondo i marxisti – da oppio per i popoli (o per i popólli).

Nel suo discorso, denso di retorica come un pezzo di burro giallo bello colesteroloso, il sindaco ha ricordato “la storia” di Quarrata. Cito:

i necessari documenti di ricostruzione della storia cittadina [scrive o gli hanno scritto – n.d.r.].
Tra questi, il decreto regio del 1928, con il quale sono stati concessi all’allora Comune di Tizzana lo stemma ed il gonfalone comunali; il decreto del Presidente della Repubblica del 1959, con il quale è stata cambiata la denominazione del Comune da “Tizzana” a “Quarrata”; il decreto del Presidente della Repubblica del 1969, con il quale viene attribuito al Comune di Quarrata il titolo di “Città”, che comportò il cambiamento della corona sullo stemma comunale: quella di comune è infatti argentata con nove torri visibili, mentre quella di città è dorata con cinque torri visibili.

Ecco l’affrancatura della satira per Quarrata fatta città. La bandiera è arrivata un po’ in ritardo…

Il titolo di Città è meraviglioso ed è legato a fatti ben precisi: che il sindaco (o chi gli ha scritto il discorso) evidentemente ignora.

In illo tempore, dice il Vangelo, era segretario a Quarrata il dottor Domenico Mammini, che abitava in una villetta proprio dinanzi (non davanti…) alla scuola media frequentata dal Mazzanti.

Il Mammini era – quando il mestiere di segretario era serio e non una loffa come oggi – Segretario Capo e con lo stipendio del suo grado. A quell’epoca (1969) non esistevano dirigenti che beccassero stipendi più alti del segretario stesso; e il vecchio ordinamento –  che io rimpiango tutt’oggi come Craxi – imponeva che tutti gli stipendi, pagati in un Comune, fossero in linea e in equa proporzione con quello del Segretario.

Mammini si accorse che, grazie a norme e cavilli, se Quarrata veniva dichiarata città, il suo stipendio sarebbe schizzato in avanti: da Segretario Capo a Segretario Generale. Quali furono, in tutto questo, i meriti di Quarrata, sindaco Mazzanti? Una beata minchia!

I quarratini se ne fecero un vanto, ma c’era un vero motivo per cui vantarsi? Io non credo. E fu per questo che, mentre il settimanale cattolico La Vita uscì con una bellissima tromboviolinata per la cittaificazione di Quarrata, “Un Tizio” si divertì a spedire, a un sacco di gente (me compreso), il bel componimento a presa di culo che potete leggere, perché io, ignorante, dispettoso e maligno, conservo anche le carte delle caramelle.

È un piccolo capolavoro e fu realizzato a quattro mani. Due scrissero e le altre due disegnarono il barroccio con il concio sopra. Edizione in ciclostile. Erano due preti: entrambi notevoli, non moscetti come quelli di oggi, più adatti a fare carriera in politica.

Lo scrittore si chiamava don Giuliano Mazzei, priore di Santo Stefano a Lucciano; e l’illustratore era don Giraldi, il priore dei Casini. E fecero proprio bene, a mio avviso.

La cerimonia della bandiera. I sindaci quarratini Cappellini, Testai, Mazzanti, Sergio Gori, Marini

Marco Mazzanti conclude, con una retorica che sa di presciutto e salame invietiti:

Questa bandiera siamo noi.
Testimonia il nostro passato, la nostra storia, la nostra memoria;
Riflette il nostro presente, ciò che siamo e facciamo;
Ci impegna per il nostro futuro, perché raccoglierà l’eredità che noi tutti lasceremo in dono a chi verrà dopo di noi.
L’augurio quindi è che questa bandiera possa essere il simbolo di una comunità che vive in pace ed in armonia;
di una comunità che ha una propria identità e non ha paura di aprirla e di aprirsi all’altro;
una comunità solidale e coraggiosa, che riesca a trovare in sé stessa la forza per superare anche i momenti più difficili;
una comunità che non si lasci incattivire dalla paura e abbrutire dalla miseria, ma che riesca a mantenere sempre la dignità e la saggezza delle parole e dei gesti;
una comunità che ancora speri nel futuro e che si impegni a lasciare ai propri figli un mondo migliore di come lo ha trovato;
una comunità di fratelli e sorelle, che trovino nell’unione tra diversi, nella reciproca vicinanza e solidarietà, i valori da trasmettere a chi verrà.
Concludo. Questa bandiera siamo noi: vogliamole bene.

Insomma il “massaggio” finale sarebbe volemosebbène!

Io, però, proporrei un altro slogan: «Sindaco e giunta quarratina, vedete di rimettere a posto tutto il casino che c’è in circolazione sul territorio, tra chi fa come vuole e chi disfà come crede!».

Un riordino generale nell’alveo della legalità, vale più di una predichina stile Francesco all’Angelus in piazza San Pietro mezza vuota!

Edoardo Bianchini
[direttore@linealibera.it]
Art. 21. Fate, invece di ciacciare!

 

 

La verità ti fa male (pseudo Caterina Caselli – non quella di quel troiaio di Spedaletto che avete buttato ai porci perché mandassero tutto in malora).


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