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SI TRATTA del primo saggio con Altreconomia Edizioni di Paolo Pileri, professore associato di pianificazione e progettazione urbanistica del Politecnico di Milano.
Un professore impegnato nella società civile, e quindi anomalo, uno specialista della propria materia che cerca di mettere a servizio competenze e conoscenze per far arrivare a tutti un messaggio chiaro e semplice per quanto rivoluzionario: il suolo è la risorsa non rinnovabile più importante, dove si chiudono tutti i cicli biogeochimici (carbonio, azoto, fosforo acqua etc) e da cui dipende il benessere materiale della società.
Il volume ha un taglio divulgativo e riesce a dare un’infarinatura scientifica su origine, funzioni, tessitura, architettura e struttura dei suoli, unendo la descrizione dei termini della “questione suolo” allo sviluppo di proposte e prospettive, con rimandi continui a vari aspetti della quotidianità e con citazioni delle tante personalità che hanno sottolineato il tema, a partire da Einaudi e dal suo discorso su suolo e Nazione.
Servono circa 500 anni perché si formino 2,5 centimetri di pelle del pianeta, come la chiama nel suo celebre volume William Brayan Logan, o dirt (in inglese, sporco), in un divenire rigenerativo garantito dalla biodiversità del terreno. Diversamente da quanto si crede il suolo non è una dimensione inerte: ci sono più organismi viventi in un cucchiaio di terra che persone sul pianeta!
Il suolo propriamente agricolo è quello strato dai 30 ai 100 centimetri che produce il 95% cibo di cui si nutre l’umanità e che subisce il danno irreversibile di cementificazioni e urbanizzazioni: solo in italia, al ritmo di circa 2 ettari al secondo, ne sono stati consumati 360mila tra il ’98 e il 2012.

Il rapporto, fondamentale, tra suolo e cibo non è stato paradossalmente al centro di Expo 2015, a riprova dell’arretratezza culturale dei presupposti alla base della manifestazione sostenuta con soldi pubblici che avrebbe dovuto invece approfondire e sensibilizzare sul tema.
Una delle principali ma ugualmente ignorate funzioni ecosistemiche è la capacità di assorbimento e ritenzione di acqua: un suolo mediamente assorbe 375 litri di pioggia a metro quadro, 3,75 milioni di litri per ettaro.
Una volta impermeabilizzato e cementificato smette di assorbire, ma nel frattempo non smette di piovere: ecco come si spiegano le alluvioni e le situazioni emergenziali che ultimamente, da nord a sud passando per le isole, sono diventate ordinarie.
Per ogni ettaro urbanizzato sarebbero necessarie infrastrutture idrauliche per drenare e smaltire i più di 3 milioni di litri d’acqua piovana che un suolo vergine trattiene e rilascia gradualmente in via del tutto naturale.
Non sono finite le funzioni ecosistemiche: il suolo è il più grande deposito di carbonio, in forma organica e in forma di anidride carbonica (CO2) delle terre emerse, e offre il principale contributo al contenimento del riscaldamento globale, global warming.
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In altre parole il suolo, più delle foreste e della vegetazione, è uno stoccatore di carbonio organico, che viene così sottratto all’atmosfera: a livello di opinione pubblica, tuttavia, in relazione al cambiamento climatico, climate change, non c’è traccia del suolo, esistono solo le numerose emissioni che impropriamente fanno la parte del leone.
In definitiva è proprio il deficit di consapevolezza il principale nemico del suolo, un deficit che può essere superato solo con un progetto educativo che parta dalla scuola elementare e arrivi fino all’Università, rimuovendo gli ostacoli alla conoscenza che fanno scrivere all’autore: «Agli studenti di suolo non si parla. Quelli che interrogo io non sanno nulla per la stragrande maggioranza.
«E nulla credono di dover sapere, che è ancora peggio. […] I pedologi sono confusi con gli estetisti dei piedi […]. E quando questo accade siamo già avanti perché almeno abbiamo inciampato in quella parola, in quel prefisso, ped-».
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Le soluzioni, elencate, per azzerare il consumo di suolo e recuperare il valore di una pianificazione territoriale pubblica imperniata sul riutilizzo di tutte le urbanizzazioni civili, industriali e commerciali abbandonate, sono teoriche ma anche concrete, cioè già praticate e con successo in poche ma virtuose realtà.
Paolo Pileri è il riferimento di quella parte del mondo ambientalista ma non solo che, a partire dal binomio suolo e cibo, ritiene prioritario l’inserimento del bilancio alimentare nell’urbanistica: una strategia di sostenibilità e resilienza nei confronti del climate change e della perdita di sovranità alimentare, con relativi corollari.
Una prospettiva che qualunque politica del cambiamento dovrebbe adottare e praticare, per investire sul futuro e sul presente.
Lo abbiamo incontrato a Roma il 13 luglio 2016 in occasione del #SoilDay, “Una giornata per il suolo”, evento organizzato da Ispra, e ha detto di non escludere di venire a Pistoia, qualora invitato, a dibattere di green belt, parchi agricoli, sprawl, densificazione urbanistica, riconversioni e, naturalmente, risorsa suolo.
[Lorenzo Cristofani]
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