PISTOIA. Vittorio Emanuele Parsi nel suo libro “La fine dell’uguaglianza” riflette sulle relazioni tra democrazia e mercato di massa.
Due sinonimi di libertà e uguaglianza, due forze che, sostenendosi a vicenda, hanno consentito la crescita del benessere attualmente diffuso in occidente.
Allo Stato è riservato il compito di rimuovere gli ostacoli che impediscono la realizzazione della persona umana; se il mercato fallisce e diventa iniquo, la democrazia ne corregge le storture, come avvenne al termine della grande depressione che colpì gli Stati Uniti nel secolo scorso. L’intervento successivo dello Stato produsse la middle class democracy, la democrazia dei ceti medi, che oggi appare pericolante.
Nel frattempo la democrazia ha garantito un lungo periodo di benessere diffuso ad ampi strati della popolazione, però la crisi attuale mette in discussione questo modello.
L’uguaglianza è forse diventato un sogno che non possiamo più permetterci. Le due principali sfide che il modello occidentale affronta oggi riguardano da un lato la contabilizzazione dei costi esterni che produce (che verrà pagato da altri) e dall’altro il limite imposto dalle risorse naturali di cui il pianeta dispone. Sembra arduo ritrovare l’equilibrio dell’ “animal spirit del capitalismo”, la propulsione individuale verso il miglioramento e la necessità di sentirsi in una società composta da esseri umani diversi ma dotati di uguali diritti a cui sono garantite la libertà e la giustizia.
Dopo pochi anni dall’uscita del libro, l’ipotesi del fallimento del trattato di Schengen, paventato dall’autore, si aggiunge alle preoccupazioni indotte da una crisi che non sembra arrestarsi. Altre variabili del mercato sono state ribaltate, come il costo degli idrocarburi. Le domande incalzano e chiedono una risposta. Il panorama appare decisamente in ulteriore peggioramento: la flessione dei consumi, la polarizzazione dei redditi e la crescita della disuguaglianza restano.
Nel frattempo alcuni governi si sono succeduti e con loro talune ricette economiche – almeno apparentemente – sono state sostituite a vantaggio di altre, mentre i populismi, i liberismi e i tecnicismi continuano a crescere, mantenendo al centro del dibattito politico le regole mutuate da ricette economiche facili e risolutive. Ciononostante l’immagine nota con il nome di “calice della disuguaglianza”, impone una riflessione sull’equità, perché la diseguaglianza aumenta sia all’interno del paese che tra i paesi. Le persone sono stanche e preoccupate.
Possiamo continuare ad indebitarci sicuri che ogni spesa sostenuta sarà un’opportunità futura oppure, al contrario, ritenendoci privilegiati per aver vissuto in una rara epoca di pace e benessere, dobbiamo accettare una revisione del “nostro stile di vita” in nome del bene delle generazioni future? Il nostro autore afferma: “Illusorio pensare che le forze del mercato siano naturali”, ma come coniugare questo con una classe politica nazionale arroccata sui grandi e piccoli privilegi, nominata nelle varie consorterie?
Dove potrà trovare la forza morale il paese, per frenare il dilagare del mercato? Per questo è necessario tornare al primato della politica come riflessione collettiva e questa è la ragione del nostro incontro. La riflessione è aperta ai contributi di Piketty, Mazzucato, Rusconi e Krugman, più volte citato dall’autore nel suo libro.
Piero Giovannelli