PISTOIA. Anche questa è una storia moderna, dei giorni nostri. Anche questa è una storia di quelle che ci fanno capire come qualsiasi cosa, oggi, è un bene di consumo: si prende, si scarta e si usa, mentre il contenitore si getta.
Noi di Linee Future che non ci accontentiamo della banalità e del “comune senso del pudore” – in altri termini più comodamente e più realisticamente definibile “un modo come un altro di fregarsene” di fatti e persone – torniamo un passo indietro e rivisitiamo fatti e persone di quella che è rimasta una famiglia distrutta, colpita all’improvviso senza un come e senza un perché. Una famiglia che ancora oggi – dopo le feste natalizie e dopo luci e suoni delle convenzioni del buonismo imperante – si interroga e si chiede, stupefatta e addolorata, in silenzio, come mai certi eventi facciano tanto rumore, ma forse sostanzialmente solo per poco, se non per nulla.
E noi che siamo la coscienza ripudiata di una città che non vuole problemi a nessun livello e preferisce vivere sotto le luci dei riflettori fra squilli di tromba e rulli di tamburo, riapriamo, invece, la scatola delle foto in bianco e nero, e ci infiliamo dentro non solo le mani, ma addirittura la testa.
Tutto questo preambolo, pur se ampio, serve a reintrodurre il tema di quel triste fatto della morte bianca di cui, due mesi fa, fu vittima Alessio Bianchi.
Accadde così. Era il 12 novembre dello scorso anno quando, nel buio della tarda serata, un pesante ramo, staccatosi da una pianta, cadde e colpì il giovane uccidendolo sul colpo. Due giorni dopo – se non lo ricordate bene, rileggete questo articolo –, dopo avere constatato che nessuno si era mosso nella direzione normale per una scena di incidente mortale, l’avvocato dei Bianchi dichiarava pubblicamente di voler chiedere il sequestro dell’area, del casco della vittima e di tutta l’attrezzatura che si trovava sul luogo dell’incidente al momento del sinistro. Già… ma la cosa era ancora possibile?
La nostra, di Linee Future, è una vita curiosa e un modo curioso di seguire i fatti. Ed è per questo che ci siamo messi di nuovo sulle tracce di questo fatto ormai dimenticato: e tuttavia abbiamo incontrato qualche “zona grigia” – come avrebbe detto Primo Levi – su cui porci delle domande.
Abbiamo anche parlato con il fratello maggiore di Alessio, Leonardo, che lavora nel ramo delle assicurazioni, e che ci ha raccontato e spiegato tutta la disperazione muta dei genitori, Angiolino Bianchi, pensionato, e Gabriella Gatti, casalinga, gente degli anni 50, ancora giovani, ma stroncati dalla sorte come lo possono essere solo i genitori che vedono di sopravvivere a un loro figlio.
Alessio Bianchi, a ben vedere, è una delle classiche vittime del nostro bellissimo mondo moderno dell’Italia moderna e dei tempi moderni dell’Europa e della crisi da superare attraverso le riforme che, intanto, troncano vite e speranze: insomma, assassinano almeno un paio se non addirittura tre generazioni. Ma questo – avrebbe detto Mario Monti – è… ordinaria amministrazione (alla faccia di chi va in chiesa ogni domenica)!
Il Bianchi, 20 anni, era tessitore a Montale. Quanti ce ne sono stati? Infiniti. Ma quei sacrifici che l’Europa dei tedeschi e della Merkel hanno imposto più o meno alla nazista, gli avevano fatto perdere il lavoro. E allora, per chi non vuole stare con le mani in mano, ecco spunta un’opportunità, la Ca.Gi. È un’entità che offre supporto e servizio agli enti pubblici, Comune di Pistoia in prima linea.
Un po’ di lavoro per Alessio: di quello più o meno deregolamentato e – lasciatecelo dire – sgangherato dell’èra che scopre la bellezza della super-flessibilità che si sorregge sul “vieni a lavorare finché voglio e poi lèvati di torno”: il lavoro, appunto, di Monti, della Fornero, di Letta e, oggi, del signor marchese di Carabas Matteo Renzi il mangiacarote (Crozza).
Alessio Bianchi, però – ci dice il fratello – non era persona da stare con le mani in mano. Conviveva a Saturnana: doveva riportare qualcosa a casa. Così si era adattato a questo mondo infame del senza-regola e fino all’ultimo respiro in onor del “finanzismo” senza limiti e dei principi del “banchismo” sopra tutto (più o meno come… Über alles Deutschland).
Ma forse ci stiamo distraendo e sperdendo per mille rivoli: ma come non potrebbe essere, dato che questa storia “dimenticata” è ricca e densa di trame e risvolti sottili di ogni genere, anche ambiguo?
Dicevamo che l’avvocato (vedi) aveva intenzione di chiedere il sequestro dell’area dell’incidente e di tutti gli strumenti presenti, al momento del fatto, sul luogo del fatto stesso.
Così l’avvocato si muove in quella direzione, perché la morte era avvenuta nel buio assoluto del pomeriggio, alle 17:30 di una giornata piovosa, su un luogo di lavoro assolutamente fuori delle norme e delle regole della buona creanza: quando, cioè, l’orario di lavoro all’esterno non era (a quanto ci dicono) più consentito, date le condizioni del tempo e della visibilità nulla.
Possiamo avere dei dubbi e, se non dei dubbi, almeno delle grosse perplessità, o siamo – solo per questo – perseguibili per legge perché in Italia, ormai, pensare è un reato? Oltretutto l’intera storia dell’incidente viene a galla in maniera che definire anomala è dir poco: la famiglia apprende definitivamente della morte del figlio alle 20:50 (più di tre ore e mezzo dopo) da parte di due poliziotti che si presentano alla porta. Ma la prima tragica avvisaglia viene data da amici che telefonano dopo aver letto di “qualcosa che non va” dalla striscia di testo mobile che scorre a comparsa alla base del video di Tvl.
Fra i primi messaggi a giungere, il telegramma del Sindaco di Montale, perché Alessio ha lavorato, come abbiamo detto, là, come tessitore. Il telegramma, invece, del Sindaco Bertinelli, arriva ben due giorni dopo: come mai così in ritardo?
Bene. Al di là di tutto questo, l’avvocato di parte, non appena viene nominato difensore dalla famiglia, avanza immediata istanza di sequestro dell’area e dell’attrezzatura del cantiere di lavoro: il che farebbe pensare – e non può essere diversamente: pensàteci bene – che niente fosse stato disposto in merito dal Pm di turno al momento del sinistro stesso.
Ciò apre, però – aldilà di ogni altra considerazione –, un altro inquietante interrogativo: il Pm di turno si era recato imemdiatamente sul logo? Aveva visto, interrogato, osservato e deciso il sequestro con le medesime dovute diligenza e cura con cui, nel 2008, ad esempio, il Pm Rizzo bloccò il porto di Livorno e “congelò” immediatamente lo scenario dell’incidente mortale occorso a un camionista, permettendo perciò l’avvio del processo penale (contro Bertoluccio e altri 5 personaggi) attualmente pendente davanti al Tribunale labronico?
E tuttavia, anche dopo questa mossa, niente si muove se non quattro giorni più tardi. Un po’ tanto – per non dir troppo, non credete? – per una situazione di tal rilevanza.
Molti gli interrogativi, a questo punto, di natura etica, umana e tecnica:
- – cosa può significare un ritardo di quattro giorni nel sequestro dei lughi e dei mezzi in uso al momento dell’incidente?
- – se invece di un semplice lavoratore di cooperativa, la vittima fosse stata un carrozziere, non ci sarebbe stato il sequestro immediato dell’area di lavoro e di tutti gli attrezzi presenti in loco?
- – perché il Sindaco Bertinelli non si è sùbito recato sul posto, dal momento che, come pare, il Bianchi era impegnato con una cooperativa che lavorava per il Comune? E perché il telegramma del Sindaco solo dopo due giorni?
- – come si potrà ricostruire, oggi e dopo quattro giorni di assoluta inerzia, la meccanica dell’incidente, essendo stati spostati (presumibilmente) casco, ramo, macchine per lavorare in quota e quant’altro?
- – è stato, poi, sequestrato il Pos (piano operativo di sicurezza) della Ca.Gi? E questo piano c’era o non c’era?
E, ultime domande e forse le più inquietanti e tormentose:
- – perché quella sera buia e fredda del 12 novembre si stava lavorando anche dopo l’ora del tramonto, limite oltre il quale, pare, nessun ulteriore intervento di lavoro è consentito?
- – se qualcosa, nel corso del giudizio, non potrà più essere appurato per quel mancato sequestro e per quel ritardo di quattro giorni, di chi sarà la colpa?
A tutto questo ora dovrà essere data una risposta. Una risposta chiara e logica, non emotiva. E per la chiarezza non emotiva ma lucidamente razionale, molti veli dovranno essere squarciati dalla Procura della Repubblica di Pistoia. Forse anche in maniera impietosa.
Ma la giustizia non ha il dovere del medico pietoso: un giovane di venti anni non c’è più. E tre famiglie sono distrutte. È questo il fatto.
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