PISTOIA. Roberto Valerio, il regista, li ha voluti incontrare fuori dal teatro, per salutarli e ringraziarli, ma all’incontro con il pubblico, quello canonicamente previsto il sabato pomeriggio alle 17,30, non c’è stato: è ripartito alla volta di Roma, per immergersi nella nuova avventura che lo aspetta, la nuova tournée dell’Impresario delle smirne che riprende il cammino di successi della passata stagione.
Totò Onnis, invece, non si è capito bene a causa di quale contrattempo, all’appuntamento con gli spettatori di ieri e della sera stessa, si è presentato con un po’ di ritardo, ma appena è arrivato, il despota, lo ha subito benevolmente messo sotto torchio, facendogli ripetere due o tre scene della sera precedente, che non erano state eseguite con dovizia di particolari.
Il despota è Umberto Orsini, uno dei pochissimi, se non l’unico, attore capace di ammutolire il direttore artistico dell’Atp, Saverio Barsanti e credeteci, non è una cosa da poco. Se lo può permettere l’ultra ottantenne di Novara, perché nonostante, per sua ammissione, abbia all’attivo meno drammaturgie di Massimo Popolizio, è veramente un animale da palcoscenico, così a sua agio sotto i riflettori e con la gente che lo ascolta e osserva a bocca aperta, che da questo teatro non riesce proprio a staccarsene.
È così ancora nel pieno delle forse, idee, desideri e iniziative che ha già fatto sapere, in anteprima ai colleghi piemontesi della Stampa e ieri pomeriggio al pubblico pistoiese, che sarà lui, con una delle sue compagnie, ad aprire la prossima stagione del teatro Manzoni, quella del 2015-16, con un racconto, pseudo sconosciuto, di Arthur Miller, Il prezzo, affidandone la regia ad uno che con il teatro nono si è mai cimentato, Gianni Amelio.
Torniamo a ieri, intanto, per raccontarvi come si è sviluppato, nel saloncino del teatro, l’incontro con la compagnia del Giuoco delle parti (che oggi pomeriggio, alle 16, chiuderà il classico trittico al Manzoni) e il pubblico. La saletta, come nelle tre uscite ufficiali in scena, era piena: attrazione, fatale, Umberto Orsini, un uomo che sembra aver fatto un patto con il diavolo per come porta, con ginnica disinvoltura e armonioso intelletto, i suoi ottantuno anni.
Una spigliatezza e un’energia incredibili, un’eleganza fuori da ogni tempo e una fame di emozioni da far impallidire qualsiasi debuttante. La scena è sua, solo e soltanto sua: quelli che gli gravitano attorno sono veramente hegeliane varianti accidentali. L’unica capace di tenergli testa, anche come groove, è Alvia Reale, la Silia Gala pirandelliana, navigata primadonna dei palcoscenici che Orsini conosce perfettamente e della quale si fida ciecamente, tanto che sarà con lui anche nelle uscite della prossima stagione.
Anche il pesciatino Woody Neri, Barelli, che presto debutterà con un suo monologo che racconta l’ultima ora di un kamikaze, non sembra venir assorbito completamente dal fascino del mattatore; dipenderà dal fatto che gioca in casa, o forse perché è carattere e nemmeno i mostri sacri lo riescono a mettere in soggezione. Socrate e Guido Venanzi invece, al millennio, rispettivamente, Carlo De Ruggieri e Totò Onnis, soffrono un po’ il pallone prossemico del protagonista e smarriscono naturalezza, fuori dai tempi scenici, accanto al loro padre spirituale.
Che si diverte un’esagerazione a chiedere a se stesso anche cose delle quali ignora le risposte: Umberto Orsini è, fisicamente e antropologicamente, un pirandelliano ad origine controllata, cinico e macabro, illuminato da una bellezza antica e contemporanea, con un diaframma che produce invaghimenti anche se solo impegnato a leggere il menù. Di una trattoria.