l’italia che va. COME SHIVA CHE DANZA SULL’ORLO DELL’ABISSO

Bòna la carota, eh, Piercarlino...?
«Bòna la carotina, eh, Piercarlino…?»

DUNQUE siamo quasi giunti al nocciolo della questione: la questione è che se non si pone un freno alle perdite nelle borse mondiali la crisi riprenderà con vigore.

  • Attori principali: Usa e Cina, Paesi produttori di petrolio, Bce e Fed
  • Attori non protagonisti (come sempre): Italia e le sue banche
  • Comici: Renzi e Padoan

Ma andiamo con ordine. Le borse hanno bruciato in un mese i guadagni degli ultimi due anni. A inizio anno dicevo che dopo i cali del 10% sul valore globale dei titoli, era lecito aspettarsi almeno un altro 10%. Mi sembra che ci siamo e siamo anche oltre in certi settori.

A questo punto suona forte il campanello d’allarme. Se l’emorragia non viene stoppata, come sempre avvenuto per le grandi crisi economiche dalla Grande Depressione in poi, il crollo si trasmetterà, a breve, anche all’economia reale.

CHINA

Schiacciati fra Usa e China
Schiacciati fra Usa e China

Per capire gli scenari torniamo ad occuparci della Cina, cercando di legare ad essa le altre figure internazionali. Allora, ormai tutti abbiamo capito, c’è un rallentamento vistoso nell’economia cinese.

Esso è dovuto da un lato a una minore richiesta di manufatti a basso costo da parte del resto del mondo e alla minore competitività di una nazione dove ormai gli stipendi sono superiori a quelli dei vicini asiatici (ad esclusione di Corea del Sud e Giappone); in parte a un gigantesco tentativo di trasformazione che il Politburo cinese sta tentando, ma che non sta convincendo i mercati.

In pratica, cosa sta succedendo? Succede che la Cina, per continuare a crescere e trasformarsi definitivamente in una moderna potenza economica, sta cercando di uscire da un’economia legata esclusivamente all’esportazione sviluppando un’economia basata anche sui consumi interni.

Questo è poi l’equilibrio che ha permesso all’occidente di prosperare. Il problema è che i mercati non ci stanno credendo; non credono che la classe dirigente cinese sia in grado di operare una trasformazione così complessa in tempi ragionevoli e questo ha scatenato i crolli a catena delle borse asiatiche, sospese più volte a inizio anno, per eccesso di ribasso, con lo yuan (la valuta cinese) pericolosamente svalutato a più riprese.

Attenzione, uno yuan svalutato significa una Cina che torna a invadere il mondo con prodotti a prezzi stracciati e che quindi esporta deflazione, ovvero l’esatto contrario di ciò che le banche centrali mondiali vogliono in base all’equazione: disinflazione = stagnazione economica = crisi dei debiti sovrani.

Per questo il governo cinese, sta cercando di difendere la valuta, ma per farlo si sta svenando. E qui tocchiamo davvero con mano il rischio che l’economia mondiale sta correndo. Infatti tra i costi sostenuti e la fuga di capitali dalle borse cinesi, il governo ha bruciato nel 2015, 500 miliardi di dollari, 100 nel solo mese di gennaio, con una accelerazione molto forte.

Ora sappiamo che le riserve valutarie cinesi sono enormi, circa 3200 miliardi di dollari, ma se scendono sotto i 2500, cioè nel giro di pochi mesi, potrebbe partire una fase di grande instabilità, politica prima che economica, che, date le dimensioni del soggetto, non può che spaventarci.

«Qua la Zan Pin, ti porto a Plàto!»
«Qua la Zan Pin, ti porto a Plàto!»

I cinesi stanno anche reagendo a questa prospettiva in un modo affatto secondario per noi. Dopo essere diventati il primo detentore di debito pubblico americano, dopo essersi comprati l’Africa, ecco lo shopping europeo. Stanno comprando asset industriali e tecnologici di primo piano in tutta Europa: infatti di fronte alla prospettiva di vedere svalutati, a causa dello yuan debole, i loro investimenti in patria, stanno comprando o associandosi alle migliori realtà europee.

In Italia essi rappresentano quasi la metà degli investimenti esteri: si sono comprati Pirelli, sono dentro in Eni, Enel, Finmeccanica… lo stesso avviene nel resto d’Europa. Questo, oltre a rendere l’idea dell’importanza assunta oggi dalla Cina per tutto il resto del mondo, serve anche a svecchiare l’immagine tradizionale cinese legata per esempio ai capannoni sovraffollati a Prato (che nessuna autorità vede mai… salvo incendi…), per aggiornarla a quella di impero nascente (o rinascente: sarebbe bene iniziare a documentarsi: suggerisco “Storia della Cina” di Sabbatini e Santangelo), che acquisisce e sviluppa tecnologia.

Ricordo che le Università cinesi sono oggi di altissimo livello e che, per esempio, ogni anno sfornano 7 milioni (milioni) di ingegneri, con conseguente capacità di far crescere tecnologicamente e culturalmente questo immenso paese.

Altro aspetto secondario ma fondamentale: questo espansionismo economico permette e permetterà sempre di più di condizionare anche politicamente i governi come il nostro. Perché se nei consigli di amministrazione di Eni ed Enel siede un azionista di questo tipo, è difficile pensare che le scelte che i nostri governi compiono non ne vengano condizionate.

Certo ora siamo ad una svolta: la Cina è stata ammessa al Wto (organizzazione mondiale del commercio) e lo yuan è stato ammesso nel ristretto gruppo delle valute di riferimento dell’Fmi, per volere degli Usa. Ma è difficile che vi resti se dovesse svalutarsi, come pare, di un 30%. Tempi duri e pericolosi.

USA

Usa... e getta
Usa… e getta

Ma veniamo agli Usa. Questa grande Nazione, data per morta o morente dai livorosi antiamericani di turno (curiosamente ora i più filo americani sono i comunisti d’un tempo oggi Pd P[artito] D[elladestra]) ha continuato anche negli ultimi anni ad impartirci sonore lezioni, uscendo nel giro di due anni dalla crisi innescata proprio da loro nel 2008 (loro due anni: noi dentro ancora dopo 8 anni).

L’hanno fatto con un’azione fulminea e sincrona di Governo e Fed. Ora però cosa succede: succede che s’intravedono segnali di rallentamento, anche se la disoccupazione è al 4.9%; succede che le politiche monetarie divergenti tra Fed e Bce, con i primi che hanno alzato i tassi e i secondi che non solo li abbassano ma che intendono fare ancora più espansione monetaria, ha rafforzato il dollaro.

Questo, oltre a mettere in seria difficoltà i Paesi con debiti sovrani denominati in dollari, crea un’asimmetria molto forte proprio con lo yuan e l’euro. Provate un po’ a vedere cosa accade quando di un treppiede, che so?, un cavalletto da pittore, accorciate all’improvviso una gamba, e ditemi che fine fa il bel quadretto che avevate dipinto.

Inoltre, tradizionalmente, e questo caso non fa eccezione, a dollaro alto corrisponde petrolio basso e se a questo aggiungiamo il crollo delle quotazioni dovuto all’eccesso produttivo combinato con una carenza di domanda (le cui ragioni analizzavo 2 settimane fa) ecco che si fa strike. I Paesi produttori, che rappresentano il 40% del Pil mondiale, sono alle corde, hanno visto crollare i loro introiti con conseguenti pericolosissime crisi di bilancio. Il rischio non riguarda solo l’economia, ma investe la stabilità politica di intere aree. Nazioni come la Russia e la stessa Arabia Saudita non possono implodere economicamente senza mettere a repentaglio l’economia e la stabilità politica mondiale.

LITTLE RENZI’S ITALY

A voi ci pensio, poi, vai!
«A voi ci pensio, poi, vai!»

Fatto questo bel giretto, utile come sempre per farci un’idea di cosa bolle nel pentolone, veniamo a noi: in Italia siamo duali, da una parte c’è la realtà e dall’altra Renzi.

Ve lo ricordate due settimane fa come strepitava contro la Merkel, Juncker, l’Ue, i poteri forti, i complotti, l’Area Rossa del Comune di Pistoia e la squadra di Quiddich di Grifondoro?

Bene, il nostro, come ormai si sa, è andato da Angela (come la chiama lui… ma lei lo sa che sono amici?… oops mi sto ingramignando… scusate), per battere i pugni sul tavolo. E ha fatto bene! Infatti ha ottenuto per le nostre banche meno di quanto le regole attuali permettono in tema di Bad Bank.

Accade così che i nostri, come spiegavo, mettono a punto un complicatissimo sistema di cartolarizzazione delle sofferenze bancarie. Questo due settimane fa: a quel punto, dopo un anno di “scontro durissimo” a suon di prosecco e pasticcini, tu cittadino comune cosa ti aspetti? Ti aspetti che Renzi riunisca subito il Consiglio dei Ministri per varare d’urgenza il decreto per rendere operativo questo accordo con Bruxelles.

Anche perché dal decreto all’effettiva messa sul mercato delle sofferenze ci passeranno come minimo 4-6 mesi. Invece… invece niente… restiamo in fiduciosa attesa (sarà che alla fine questa cosa non piace alle nostre banche, perché gli ribadisce con forza che… devono cacciare fuori i soldi! Devono ricapitalizzare e si sa… ai nostri i soldini piace prenderli, mica metterceli… se c’è da metterli ci pensi lo Stato, che ai profitti ci pensiamo noi! Che diamine!).

La stessa attesa però non dimostrano i mercati, che in queste due settimane hanno tagliato la testa al toro, facendolo loro un bel Bail-In sulle nostre banche, che in borsa affrontano un vero e proprio bagno di sangue, con perdite ingentissime per gli azionisti: oh che strano! Il mondo non ha pazienza: non è disposto ad aspettare che Renzi divenga nonno.

L’INGLESE DEL “BOMBA” E DEGLI ITALIANI

Draghi un sa l'inglese
«O… Draghi un sa l’inglese!»

Naturalmente come al solito politici, banchieri e stampa tutta continuano a gridare al complotto confortati in questo dall’ignoranza con la quale essi dimostrano di non comprendere l’inglese.

Giovedì Draghi rilascia la seguente dichiarazione: «There are forces in the global economy today that are conspiring to hold inflation down. Those forces might cause inflation to return more slowly to our objective. But there is no reason why they should lead to a permanently lower inflation rate».

Per i nostri è tutto chiaro: traducono letteralmente e tutti (compreso il Brunetta furioso) esclamano: “Visto che c’è il complotto? Ve l’avevamo detto!”. Grande ennesima figuraccia: Draghi ovviamente non parlava di complotti da parte di poteri occulti, ma di una serie di questioni, dal petrolio basso, alla crisi dei Paesi emergenti, al rallentamento cinese, che insieme, congiurano per tenere l’inflazione bassa.

Ma i nostri vanno dritti a sbattere contro il ridicolo: per capirci è come se un inglese traducesse la frase “mi ha fatto una parte di merda” con “ egli ha preso un pezzo di cacca, lo ha diviso in parti uguali e me ne ha dato una”.

Capite da soli l’effetto esilarante provocato dall’ignoranza dei nostri eroi. Intanto Visco, colui che doveva sorvegliare e non ha sorvegliato, continua a gran voce a dire che il Bail In va cassato: lui che, quando fu approvato, non disse pio.

In ogni caso Draghi, sempre giovedì, dopo aver ammonito i tedeschi a dare corso al terzo pilastro dell’unione bancaria europea basato sulla messa in comune dei rischi, ha d’altro canto ribadito (ad uso e consumo nostro) che il Bail In è stato votato all’unanimità due anni fa, e che quindi ora va coerentemente applicato. Per la serie continuate a prendere musate.

Intanto anche la Consob continua e non vedere. Non vede per esempio che Saipem costola Eni, comprata in parte da Cdp (Cassa Depostiti Prestiti, alias Stato, alias noi cittadini) a 8.5 euro per azione, è passata in due settimane al valore di 0.5 euro per azione. Ma Consob non vede e se non vede non eccepisce.

Nei Paesi normali avrebbero sospeso le contrattazioni per difendere gli azionisti: qui no. Occhio, perché se l’attenzione torna a concentrarsi sul bersaglio grosso Mps, questo diventa un candidato perfetto a detonare l’esplosione del sistema bancario italiano: che è ben lontano da risolvere la questione legata alle sofferenze bancarie. E i mercati lo sanno, alla faccia delle cospirazioni immaginarie.

L’AUSTERITY IMPOSTA DALLA UE

Altra questione: Renzi ci rintrona da tempo con la favola dell’austerità imposta dall’Ue. Una leggenda appunto: per il 2016 l’Italia ha presentato una manovra che aumenta di mezzo punto il rapporto deficit/pil, con l’avanzo primario in diminuzione dello 0.75%, quindi una manovra chiaramente espansiva e non improntata all’austerity.

La cosa curiosa è che tale politica espansiva che, da manuale economico si fa in modo anticiclico (ovvero se siamo in fase recessiva si amplia il deficit per stimolare la ripresa… ciò è stato fatto mirabilmente da Obama in Usa nel 2008), noi la facciamo in presenza di una seppur modesta ripresa.

Perché: per coprire i buchi di bilancio creati da Renzi per dare le mance elettorali a destra e manca? Ma lo sappiamo noi italiani che il caro leader fa manovre in deficit spostando di anno in anno le clausole di salvaguardia che dovrebbero scattare per ottemperare agli obblighi ingenerati dal Fiscal Compact europeo firmato dai nostri politici tre anni fa? Ma lo sappiamo che tali clausole ammontano ormai ad una manovra lacrime e sangue di 40 miliardi di euro per il 2017? Scommettiamo che si va al voto entro il 2017? E scommettiamo che poi sono cavoli nostri? E lo capiamo ora perché Renzi sbraita con Juncker?

La questione non è più la manovra per il 2016, ma il 2017: anno in cui lui non vorrà ottemperare alle clausole di salvaguardia perché in quell’anno e forse prima ci porta al voto.

QUESTIONE CATTIVI TEDESCHI

L’Angela la manipolo io, vai!»
«L’Angela la manipolo io, vai!»

E qui entra in ballo la… “questione cattivi tedeschi”: ancora impera la barzelletta. Renzi ce l’ha con loro, rei di fare bene i propri interessi, di agire maggioranza ed opposizione nell’interesse del Paese, nel rispetto delle regole comunitarie.

Ora che loro hanno risolto con le banche e noi no, pretendiamo la messa in comune dei debiti bancari ripetendo il ritornello che loro hanno usato i soldi pubblici. Il problema è che l’hanno fatto quando si poteva e l’hanno fatto perché li avevano. Noi no, perché siamo con le pezze al sedere. Quindi abbiamo preferito mettere tutto sotto il tappeto e ora pretendiamo che paghino loro per noi.

Pernacchie da tutta Europa: Draghi giustamente dice che i debiti vanno messi in comune. I tedeschi dicono sì, ma non prima che anche noi risolviamo il pregresso come hanno fatto loro. E non è colpa loro se ci hanno pensato per tempo.

Attenzione: l’Italia fa bene a chiedere rispetto. Ma per averlo bisogna meritarselo. Non si può continuare a chiedere flessibilità (prendendosela prima che venga accordata) in dosi sempre maggiori e senza dare nulla in cambio.

Ci siamo presi 3 miliardi per “l’emergenza terrorismo”, che non ci ha colpiti, usandoli per metà per dare la mancia ai diciottenni; ci siamo presi la flessibilità per le spese generate dall’accoglienza e vorremmo usarla per ridurre l’Ires alle imprese… tutto in puro stile Totò che vende la Fontana di Trevi. Roba da paccottari di terz’ordine.

Così l’Ue è stufa di questo Renzi che prende ma non riduce il debito pubblico, non fa riforme serie e strutturali per ridurre la spesa improduttiva. Se esaminiamo un attimo tutti i provvedimenti presi sino ad ora si vede che solo il Job’s Act è strutturale. Il resto è tutta roba priva di coperture e fatta in deficit e che quindi non può assolutamente prefigurarsi come duratura nel tempo.

Chiudiamo in bellezza con i dati economici della settimana:

  • Acquisti dal manifatturiero: passiamo da 55.6 di dicembre passa a 53.2 in gennaio (in questi indici un numero sotto 50 indica recessione)
  • Disoccupazione sale all’11.4 in gennaio dal precedente 11.3
  • Acquisti del settore servizi: scende al 53.6 dal 55.3 di dicembre
  • Ipc (indice prezzi al consumo) va a -0.2 dallo 0 di dicembre

Che strano! Questa settimana né Renzi, né i suoi fedelissimi né la stampa amica ne hanno parlato…

Alla prossima! E ricordate… la Cina è vicina: iniziamo a conoscerla che ci portiamo avanti col lavoro.

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