PISTOIA. Da che mondo è mondo, almeno in Italia (ma crediamo che la regola non scritta sia valida dovunque), si sa che allo stadio è necessario comportarsi in un determinato modo: stando calmi, non reagendo alle provocazioni. Il tifoso quando si confonde nella massa smarrisce i propri connotati di persona, avvicinandosi più alle fiere (nel senso di animali feroci, non di mercati: non tutto è business, please).
Ce l’hanno insegnato da piccoli, è valido sempre. Se la folla urla, grida, inveisce, meglio tenersi lontani; se la stessa ti attacca, meglio non provocarla. Questo lo sa il ragazzino che frequenta le moderne arene, lo sa (o lo dovrebbe sapere) ancor meglio l’adulto o l’addetto ai lavori. Quel che è accettato all’interno di un impianto da gioco è semplicemente assurdo, pazzesco in altri contesti, ma tant’è, sperando che tutto cambi e in fretta (ahimè, non è mai mutata una virgola).
Nessuno si sognerebbe di andare nella piazza principale della propria città a dare in escandescenze, a pronunciare male parole o addirittura a bestemmiare, diffamando e calunniando questo o quello. Perché verrebbe subito raggiunto dalle forze dell’ordine e giustamente bloccato e portato in caserma o in questura, come minimo per accertamenti.
Ebbene in uno stadio tutto questo non accade e l’uomo si sente libero di sbraitare ai quattro venti le proprie frustrazioni settimanali. Allo stadio la persona in quanto tale non esiste, esistono soltanto la vittoria e la sconfitta (neppure il pareggio, vissuto come simil-sconfitta).
Sono solito raccontare un aneddoto di qualche anno fa, quando ero il telecronista della Pistoiese. Al termine di una partita vittoriosa, camminando verso la sala-stampa incrociai due anziani signori, marito e moglie, che mi fermarono complimentandosi per la competenza, la voce, la simpatia. Furono gentilissimi.
La settimana successiva, alla fine della seconda gara casalinga consecutiva, un immeritato k.o. della squadra arancione, nello stesso tragitto m’imbattei nuovamente nei due signori. Stavolta, considerato che li avevo conosciuti la volta precedente, fui il primo a salutarli, ma mal me ne incolse perché mi ricoprirono d’improperi.
La Pistoiese aveva perso e io ero identificato come Pistoiese. Ieri allo stadio, dopo l’amaro scivolone, l’ennesimo della serie, nel derby con la Lucchese, a fine incontro, assieme ad altri colleghi, mi sono diretto verso la sala-stampa (curioso che per arrivarci si debba sempre passare in mezzo ai supporter della Curva Nord, sono passati decenni ma nessuno ha risolto, con il buonsenso, una semplice questione di ordine pubblico).
Ebbene giunti in prossimità del cancello – insolitamente chiuso a chiave – con la folla vociante ed eufemisticamente arrabbiata che s’ingrossava, abbiamo assistito a questa scena: 2, 3 carabinieri immobili, in attesa degli eventi, il presidente della Pistoiese Orazio Ferrari, che è passato rapidissimo, ha aperto il cancello a pochi (tra cui la figlia) e invece di dileguarsi si è fermato a rispondere a qualche sostenitore che, sbagliando, gli ha scaricato (verbalmente) addosso di tutto (c’è modo e modo di contestare, offendere è il più errato che ci sia).
Ciò premesso, anche un bimbo saprebbe che non ci si mette a tu per tu con la folla inferocita, proprio per evitare gravi problemi di ordine pubblico. Tra l’altro, mettersi a rispondere dietro un cancello con gli altri costretti fuori, beh non parrebbe proprio cosa buona e giusta (sia detto senza alcuna polemica, ma con la consapevolezza di aver visto più di un collega impaurito dalla situazione che si stava venendo a creare).
Morale della favola: chi l’ha, adoperi il buonsenso. Sempre. Perché non ci sono giustificazioni che reggono.