mala tempora currunt. ALCHIMIE DEL POTERE NELLA PROVINCIA DELLA GRANDE PISTOIA

Alla base del suo consolidato sistema, da cui si è sviluppata perfino l’irresistibile ascesa di Matteo Renzi, ex scout demo-cattocom ma di impostazione evidentemente megalomane (forse Pistoia e Rignano condividono patrimoni genetici affini), non c’è stata giustizia che non abbia tollerato il sinistrismo post-fascista degli epigoni di Vanni Fucci

 

Piazza Duomo, dove i poteri cittadini si incrociano, si guardano, si sorvegliano e fanno silenzio

 

CUSTODI DEL SILENZIO

PIÙ CHE DELLA DEMOCRAZIA

 


 

Occorre una spiegazione?

 

È UNA MICRO-PROVINCIA, ma con aspirazione a recitare la parte dell’Incredibile Hulk o di Superman. E non si rende conto di essere solo una specie di piccolo Joker o, ancor peggio, di patetico Pinguino, nano come Denny DeVito e puzzolente del pesce – anche non fresco – di cui si nutre.

Se non la avesse fatta provincia il Duce, così detestato da tanti ben-pensanti dell’Anpi – che iscrivono fra gli antifascisti anche le giunte rosse tipo quella di Mazzanti a Quarrata, in non pochi casi la massima espressione della conculcazione e della negazione delle libertà costituzionali – Pistoia, forse, non esisterebbe che come un piccolo punto sulla carta geografica, nota per certi sudiciumi dell’amianto, per certi porcai dei fitofarmaci, per certe concentrazioni di veleno (vedi cloruro di vinile a Casalguidi) e per l’aria fina che i casalini sono costretti a respirare dal Cassero in giù.

Tutto rigorosamente firmato, per tre quarti di secolo, dalla sinistra Pci Pd quasi senza soluzione di continuità: in una stasi più solida e robusta della stessa essenza di Dio, che a Pistoia si prega con oggetti sacri e paramenti solo minati di rosso.

Alla base di questo consolidato sistema di potere, da cui si è sviluppata anche l’irresistibile ascesa di Matteo Renzi, ex scout demo-cattocom, ma di impostazione evidentemente megalomane (forse Pistoia e Rignano condividono patrimoni genetici affini), non c’è stata giustizia, neppure di destra, che non abbia tollerato il sinistrismo post-fascista pistoiese; né – nel periodo più recente per non dire attuale e tuttora in onda – una destra salita al potere non perché capace, ma perché incapaci i dem, che, abbracciando sùbito e soltanto il politically correct ispirato dai suoi politici, improvvisamente senatorizzati, e dalla natural disposizione alle “larghe intese”, non sembri, anche a colpo d’occhio, una perfetta continuità amministrativa dei democratici di sinistra.

Parlo di Tomasi a Pistoia, ancor più di Benesperi a Agliana, di Lunardi a Serravalle Pistoiese. Tutti esperimenti di destra malriusciti (come del resto era stata anche l’esperienza Scatragli di Montale e – vedremo – forse quella di Cutigliano-Abetone) e destinati a cedere il passo, sul marciapiede sconnesso della storia, fra non molto, a delle “bande di barbari” che, come amministratori, hanno solo saputo mettere le mani in tasca ai cittadini senza offrire loro una qualità di servizi neppur passabile.

Piccola come una pulce, ma piena di sé…

Terra di “Pinguino”, Pistoia e la sua provincia si connotano per non aver saputo dare risposte all’amianto; all’occupazione; alla sanità del suolo, dell’aria e dell’acqua; al consumo del territorio e alla corruzione strisciante che c’è stata, c’è e ci sarà anche domani se, pure con un balzo in avanti e le storie deplorevoli degli Untouchables e della Comunità Montana, non si è levato un classico ragno dal buco, se non imbambolando, con soluzioni-placebo, la schiera dei servi della gleba.

Sono questi impietosi giudizi – che dovrebbero stare tutti i giorni sulle pagine locali dei quotidiani progressisti pistoiesi, tutti avanguardisti dell’ideologia dem – che, non piacendo assolutamente a chi il potere ce l’ha e lo usa (e non di rado a sproposito), portano il libero pensiero fino all’aberrazione massima del dover sopportare accuse infamanti e ingiustificabili arresti domiciliari: roba che soffre del problema del cuoco, quello – cioè – di puzzare di cucina, d’intingoli e fritti.

Purtroppo, poiché mi rifiuto di fare il cronista delle frugiate, dei migliacci, della famosa zuppa del carcerato, chi mi vede – come fumo negli occhi – scappa a gambe levate.

Ma non mi lamento: perché non mi sono mai mosso, con le mie idee, per creare consenso intorno alla mia persona e trovare appoggi che non ci possono essere mai da parte dei più che strillano ma, ossimoricamente, solo sottovoce. Quel che ho fatto, fo e farò, è fatto per me, per la mia coscienza di uomo libero e di persona umana non disposta a stare dalla parte del sistema – se il sistema è questo.

Chi mi conosce, sa anche che il palamarismo e la giustizia di ispirazione dem non solo non mi attraggono, ma mi fanno letteralmente schifo.

Dove sono i partigiani della libertà? Nella giunta Mazzanti?

Cicerone, dopo la sua epurazione politica, usò, in una lettera alla moglie Terenzia, una frase significativa: Inimici mei mea mihi, non me ipsum ademerunt, i miei nemici personali – le scrisse – mi hanno portato via le mie cose (a lui la casa; a me oltre a una casa in una vicenda squallida iniziata nel 1989, di recente anche 4 computers, 1 tablet e 1 cellulare: strumenti privati e di lavoro, non corpi di reato), ma non hanno sottratto me a me stesso e alla mia coscienza, che è rimasta ferma com’era.

Anche lo stalinismo travestito da legge e giustizia è destinato a cadere. Sempre. Ciclicamente. Solo che i “comunisti cerebrali” del potere, ignoranti come sono, non ci arrivano e non ci arriveranno mai: credono di essere eterni e inamovibili, mentre sono soltanto degli emeriti stronzi con una spada laser in mano.

Buona fortuna a loro. Io preferisco e scelgo di essere così come sono. È misero, forse, ma onorevole.

Dagli arresti domiciliari, Edoardo Bianchini
[direttore@linealibera.it]

 

Ma la bilancia funzionerà davvero…?

 

La giustizia a Pistoia dà l’idea di non girare per il verso giusto. È che nessuno si prende mai la briga di spulciare le carte e contare quanti sventurati perdono soldi, casa e vita senza sapere di preciso che santo ringraziare: incerti fra San Jacopo e San Zeno di Verona, titolare del duomo. Due famiglie di giovani rovinati le conosco di persona e ne ho anche scritto le storie: che nessun altro giornale – ovviamente – ha raccolto.

 


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