MÁRQUEZ AI TEMPI DELLA MARINONI

Alessandro Nidi, Laura Marinoni, Marco Caronna
Alessandro Nidi, Laura Marinoni, Marco Caronna

PISTOIA. È forse l’unico romanzo della sua incantevole bibliografia che si presta ad audaci riletture teatrali, L’amore ai tempi del colera, ma riuscire a riassumere il dipinto di un amore di oltre 50 anni di attesa in un’ora e 35 minuti di rappresentazione, con una forza e una leggerezza meravigliose, è cosa faticosa.

A meno che, a cimentarsi nell’operazione, non siano Cristina Pezzoli, regista, Alessandro Nidi e Marco Caronna, collettori musicali e quell’animale incantevole di Laura Marinoni, perché in questo caso, il risultato, è stupefacente.

E stupefatto, ieri sera, venerdì 12 giugno, è restato il pubblico del Funaro, che si è letteralmente lasciato gongolare dall’audace riadattamento teatrale che i quattro artisti citati hanno esercitato sull’opera anomala di Gabriel García Márquez, che proprio e solo per questo incidente letterario abbandonò la sua proverbiale militanza politica e intellettuale per concedersi all’onirismo e al sogno.

La trama è nota (chi non la conosce abbandoni ora la lettura di questa immodesta recensione): Florentino Ariza aspetterà una vita intera l’amore rubatogli dal dottor Urbino di Fermina Daza, una perseveranza che sarà inaspettatamente premiata dopo oltre mezzo secolo di attesa.

Ma la bellezza poetica di Marquez è teatralmente improponibile: le sue tele non sono immagini nitide e distinte; il paesaggio è tardo romantico, con una serie infinita di sfumature che non fanno da corollario, ma contengono, tutte, le psicosi della narrazione, elementi apparentemente superflui che sono in realtà necessari, anzi, indispensabili e che conducono, per mano, il lettore, fino all’epilogo, inimmaginabile e fantastico, scatenato dall’incipit.

Laura Marinoni con Cristina Pezzoli
Laura Marinoni con Cristina Pezzoli

La visionaria Cristina Pezzoli che si è messa all’anima la trasposizione si è affidata a tre complici prestigiosi, che hanno incarnato, contemporaneamente, tanto l’umore dell’autore quanto l’atipicità della regista: il risultato è stato fantastico.

Certo, ci voleva una bestia feroce e malleabile come Laura Marinoni, per riuscire a tenere alta l’allegra concentrazione di Marquez e il riadattamento della Pezzoli, ma i fuoriclasse servono a questo: a rendere possibile, anzi, entusiasmante, qualcosa che è apparentemente improponibile.

Perché Laura Marinoni è davvero una e trina e non certo per i baffi scenografici appiccicatile tra il naso e le labbra per farle indossare, senza cambi di scena, gli umori della giovanissima avvenente di Caribe e quelli dei suoi due spasimanti: è una cantrice straordinaria, da Caetano Veloso a Enzo Jannacci, passando per le musiche afrosudamericane, un’interprete, raffinatissima, del vecchio e del nuovo teatro, con spiccate accezioni camaleontiche che la trasformano da irresistibile oggetto-soggetto di desiderio in insolente bellimbusto, con una puntualità e un fascino descrittivi che si esaltano, anziché scoraggiarsi, di fronte al minimalismo imposto tanto dal rigore della regia, quanto dall’angusto candore della location.

Sul palco obliquo del Funaro, che ieri ha chiuso in bellezza una stagione stellare, due funi sospese, alcuni secchi di latta e una poltrona, per la siesta. In questo spazio, a diretto contatto con le quattro file di seggioline finalmente restaurate e ora invitanti allo spettacolo, Alessandro Nidi alle tastiere, Marco Caronna alle chitarre, percussioni e quant’altro possa dare adito ad immaginazioni caraibiche e Laura Marinoni, l’interprete, la narratrice, la colonna sonora, l’avvenente donzella, il pretestuoso spasimante, l’incrollabile innamorato, la gente di Caribe, il padre di Fermina, il suo maggiordomo e tutto quel cosmo indefinito e indefinibile che popola, sistematicamente, le scene dei romanzi di Marquez e che ieri sera, con Pezzoli-Marinoni-Nidi-Caronna si è consumato in un batter d’occhio in una pericolosissima alcova di provincia.

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