MAURIZIO MILANI, BASKET A TUTTO CAMPO FRA PASSATO E PRESENTE

Maurizio Milani
Maurizio Milani

PISTOIA. Maurizio Milani, per il popolo del PalaCarrara “Mizio”, classe 1973, gestisce da qualche anno assieme a Francesco Abbri il mitico “Alibabar bar del Palazzetto”.

Ex Untouchables, dirigente delle giovanili del Pistoia Basket, ha vissuto da ragazzo in primissima linea gli anni della serie A targata Olimpia.

Oggi, da un punto di vista molto particolare, ovvero quello del barista preferito di giocatori, staff tecnico-dirigenziale e semplici appassionati, si gode le stagioni della Giorgio Tesi Group nel basket che conta.

Dietro al bancone del bar tante foto incorniciate che sono storia di un amore, tantissime sciarpe delle tifoserie organizzate e tante maglie storiche, tra le quali quella biancoazzurra di Crippa, quella dell’indimenticabile Teo Bertolazzi, e poi quelle del Fiorellone scolpito nella storia e della leggenda Giacomo Gek Galanda. Un posto, l’Alibabar, dove chi ama i canestri si sente a casa.

Ciao Mizio! Il tuo bar è diventato un punto di passaggio obbligato per i tifosi che vogliono consumare qualcosa dando un’occhiata ai ragazzi che finiscono l’allenamento o che vogliono conoscere le ultimissime in anteprima. Quando ti è venuto in mente di gestire il bar? Come ti sei trovato socio di Francesco Abbri? Come nasce la vostra amicizia?

L’idea di rilevare il bar mi è venuta dopo la finale dei playoff di A2 persa contro Brindisi. Conosco Francesco da tempo, siamo stati avversari in campo e ci trovavamo spesso clienti proprio di quello che oggi è il nostro bar, ma onestamente quando siamo diventati soci non avevo idea di come potesse essere lavorare con lui. Sono molto contento della mia scelta, Francesco è un ragazzo semplice, onesto e con valori forti: difficile trovarne al giorno d’oggi.

In tanti anni di tifo nei hai viste di tutte di più: quali differenze tra i giovani tifosi biancoazzurri di qualche anno fa e i giovani biancorossi di oggi?

Il tifo di qualche anno fa era profondamente diverso. La passione è sempre quella, ma allora era più pericoloso: erano anni in cui le tifoserie erano per lo più “ultras”. Non esistevano i social networks e le discussioni anche all’interno del gruppo organizzato erano più genuine. Oggi in curva ci sono tanti giovani proprio perché i tempi sono cambiati. Stessa passione, coreografie sempre bellissime, ma la vera differenza tra gli Untouchables e la Baraonda consiste nel fatto che quello che abbiamo organizzato negli anni novanta dentro un palasport non si era mai visto. Ripenso al muro, alla giornalata: colpi di genio che non avevano precedenti.

Quali sono le aspettative del tifoso, oggi? Tu che stagione prevedi? Più in generale e in prospettiva, credi che Pistoia possa davvero aspirare a diventare una basket city?

Le aspettative dei tifosi sono giustamente molto alte. Personalmente spero in una salvezza comoda e rapida, e a metà stagione sarebbe bello sperare nei playoff: e se poi nei quarti non incrociassimo Milano, chissà. Pistoia come città ha tutte le carte in regola per diventare una basket city. Una squadra in serie A, Bottegone in serie B, e poi appena fuori Montale in serie C e Quarrata in serie D. Un bacino di appassionati potenzialmente enorme. In più, abbiamo Galanda che sta portando mentalità e idee importanti.

Cosa si dicono i tifosi dinanzi a un caffè?

La frase ricorrente è: Allora? Novità? Biglietti?

Raccontaci un aneddoto buffo che hai vissuto da barista…

Le richieste dei giocatori, senza dubbio. Graves, grande appassionato di Girella. Hicks fissato col croccante, al ritmo di due confezioni a settimana. Come dimenticare, poi, le colazioni di Borra e Civinini: puro cabaret…

Chi negli anni ti ha lasciato un ricordo indelebile?

Da ragazzino innamorato di basket, da abitante di Cireglio, da amico (e maestro, aggiunge lo scrivente) di Kobe, beh, non posso che rispondere Joe Bryant. Gioco ancora da amatore con il suo n. 19!

Le sensazioni del 10 maggio 1992 e quelle del 22 giugno 2013?

Diverse. Nel 1992 avevo 19 anni, e vissi la cosa come lo sbocco naturale di un percorso importante: prima o poi era chiaro che saremmo saliti in serie A. Nel 2013 è stato un traguardo veramente importante. Ho capito che avevamo fatto qualcosa di incredibile con pochi mezzi. La sensazione da quel 22 giugno è stata quella che tutti avrebbero fatto qualsiasi cosa per non perdere più questa serie A: lo hanno fatto società e sponsor, lo hanno fatto i tifosi sottoscrivendo 2000 abbonamenti.

E il più grande leader carismatico sul campo? Dimmi un nome…

Per me Joe Bryant, dentro e fuori dal campo!

Il giocatore che non hai mai sopportato? Sii sincero…

Bonaccorsi (lo scrivente sottoscrive – n.d.r.). Faceva l’amicone fuori e poi teneva solo al suo interesse personale. Non propriamente un uomo-squadra!

La maglia biancorossa n. 7 oggi è ritirata a memoria di una persona meravigliosa e di un grande capitano. Qualche mese fa è nata l’associazione “7foryou”, di cui sei fondatore, in ricordo di Matteo Bertolazzi. Parlaci di Matteo. Quali valori sportivi e umani cercate di trasmettere con l’associazione?

Matteo era solare, umile, sempre pronto ad aiutare gli altri. Questi sono i valori che cerchiamo di trasmettere anche con la nostra associazione. Il ricordo più genuino che ho è quello dopo una partita qui al PalaCarrara; non ricordo quale. Matteo era di fretta, chiamato più volte dal resto della squadra che lo aspettava per andare a cena, eppure tornò un attimo indietro per fare una foto con mio figlio. Piccoli gesti che dicono tutto di una persona…

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