PISTOIA. Concludiamo questa breve divagazione sulla figura umana e letteraria di Iva Perugi Gonfiantini con un’intervista alla nipote, Ivana Gonfiantini, che ha avuto la gentilezza – assolutamente non scontata – di accoglierci in casa, a Montignoso, raccontando e rispondendo per una mattinata a tutte le curiosità e domande con cui l’abbiamo letteralmente assaltata. Riportiamo alcuni incisi della conversazione.
«La nonna mi ha trasmesso la passione, letteraria, per un certo mondo orientale. Il suo autore preferito era Rabindranath Tagore, indiano – di cui ci viene mostrato il libro La luna crescente, Bemporad Editore –, un universo culturale da cui derivò il nome di Maya, il velo che nasconde il nulla. Anche la casa che comprò a Calamecca la chiamò Villa Maya.
«Si trattò di un grosso investimento: comprò diverse proprietà dai Contrucci e ne fece una unica con la villa che compare ancora in tante immagini. Era affezionatissima a quei luoghi, alla val di Forfora e alla Macchia Antonini. Proprio a Calamecca è successo un episodio tragico, che ha mi ha segnato.
«Vi si trovavano i genitori della mia mamme Eleonora, sul finire della guerra: due tedeschi furono uccisi non si è mai saputo da chi e, per rappresaglia presero le prime persone che trovarono e le trucidarono. C’è ancora la lapide nella piazza principale del paese (vedi). I miei nonni, poiché la casa è proprio in fondo al paese, la prima per chi sale dalla strada, furono uccisi.
«La nonna mi adorava, sono stata sempre con loro in Via di Porta San Marco, dove sono nata, fino al ’68, quando mi sono sposata e sono venuta via da Pistoia. Ma non ho mai tagliato i ponti.
«Mi sono lasciata un appartamentino (nel palazzo Caluri, quello in angolo tra Via Baroni, Via Porta San Marco e Via Trenfuni, dove ora c’è un bed and breakfast. Pubblicammo qui, seconda immagine, una pianta settecentesca del palazzo e delle sue pertinenze – n.d.r.) e aver così una scusa per tornare. Qualche settimana fa sono stata la liceo classico per i 90 anni del professor Gaiffi (vedi).
«Tra il ’98 e il ’99 la casa è stata venduta: era morto mio padre e tutti gli affetti sono stati sgomberati. Ricordo anche di aver consegnato un sacco nero pieno di libri della nonna ad un signore che si presentò, a suo dire, per conto della Forteguerriana. Non ho più saputo nulla.
«Eravamo tutti legati alla chiesa di San Bartolomeo, la chiesa di famiglia, ma non c’erano grossi rapporti con il quartiere, la nostra era una famiglia abbastanza chiusa, ma quando passeggiavamo in piazza del Duomo la nonna veniva fermata da tante persone e ringraziata.
«Dava ripetizioni private, dopo esser stata direttrice didattica dell’Asilo Regina Margherita. “Da fascista ho cercato solo di fare del bene” ricordo che ripeteva; come ogni regime è stato negativo diceva.
«Il nonno, Adelfo Gonfiantini, venne buttato fuori dalle poste dopo la guerra e il babbo, Goffredo Gonfiantini, radiato dall’ordine degli avvocati. La sua adesione al fascismo era stata limitata alla superficialità perché era uno spirito libero e contestatore per natura. Fu mandato anche ai lavori forzati, a mettere le mine sotto i ponti, controllato dai tedeschi con il fucile.
«Successivamente è stato ‘costretto’ anche dalla famiglia a prendere la tessera della Dc per essere reintegrato nell’ordine degli avvocati, come infatti è successo. Prima della guerra si stava bene, poi le cose sono cambiate e le risorse sono finite al punto chela mia mamma Eleonora dovette andare a lavorare, come insegnante. Fino a quel momento non esisteva che una donna dovesse andare a lavorare».
Ci viene mostrato un grosso sasso, con su scritta una data, 1944. «Altro episodio drammatico, avvenuto nella zona di Ramini, Collina Basa, da cui era originario il nonno e avevamo una casa, che avrebbe dovuto esser casa dei miei genitori.
«Una sera, nei giorni della ‘liberazione’, alcuni (non specificato: partigiani o facinorosi, ci viene da dire – n.d.r.) cercarono di entrare in casa, non si sa se per spaventare o fare razzia, rompendo una finestra.
«La nonna era anche appassionata di erbe officinali (si coglie dalla lettura dei romanzi, dove la cultura botanica impreziosisce il valore della prosa, in un ricorrere di vitalbe, zinnie, miosotis e aster – n.d.r.) e teneva dei corsi alle maestre che, per aver punteggio, dovevano appunto aggiornare la loro formazione.
«Era inoltre in contatto con una ditta francese per la lavorazione delle piante officinali e tutti i libri sono conservati nella libreria che ho conservato».
A questo punto si può solo auspicare che Pistoia Capitale della Cultura 2017 possa essere l’occasione anche per riscoprire Maya a partire dai tanti ambiti in cui Iva Perugi Gonfiantini lasciò una traccia.
Giriamo quindi direttamente al ‘Comitato Promotore’, al Sindaco e alla Giunta di Pistoia l’invito a valorizzare una figura comunque legata alla cultura della città.
[Lorenzo Cristofani]
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