PISTOIA. Nel mese di maggio ricorre il quarantesimo anno del “Mercato Antiquario Città di Pistoia”. Il prossino appuntamento è in programma nel fine settimana alla “Cattedrale”, il centro fiere di via Pertini, Sulla importanza culturale rappresentato da questo tradizionale appuntamento interviene Amerigo Folchi a nome del Comitato Pro Mercato Antiquario di Pistoia, autore di un intervento che pubblichiamo di seguito.
“Il Mercato Antiquario di Pistoia – afferma – non deve scomparire e quindi è necessaria una attenzione particolare perchè ciò non avvenga, per salvaguardare una manifestazione che ormai dopo 40 anni è diventata tradizione. Oltre a mantenere una possibilità lavorativa agli espositori, è anche un dilettevole intrattenimento per la cittadinanza ed ha pure una valenza per i turisti che affluiscono in città”.
FERRO E RUGGINE = PROFUMO DI STORIA E DI NOSTALGIA–
A giro tra i banchi del Mercato Antiquario in cerca di rarità o curiosità in ferro battuto e rame.
Una delle principali attività della montagna pistoiese era legata alla lavorazione del minerale ferroso, estratto dalle miniere dell’isola d’Elba e trasportato in queste zone per essere lavorato, sfruttando la ricchezza di acque e di boschi. Dalla metà del 500 questa attività divenne monopolio della Magona del Granducato, che così controllava tutta la produzione del ferro.
Particolare attenzione venne posta verso le foreste della montagna pistoiese specialmente quando divenne indispensabile la produzione di legname e di carbone, carburanti essenziali per alimentare la fucina e di far muovere i magli delle innumerevoli ferriere sparse sul nostro territorio. La montagna era la sede naturale per la trasformazione della ghisa in ferro e per questo vennero importati da Brescia e di preciso dalla val Trompia maestri armaioli esperti nella lavorazione del ferro ed iniziarono a operare a trasferire la tecnologia nelle ferriere pistoiesi.
In quel caso si producevano fili di ferro, chiodi, sarrature, chiavi, cardini e battenti per porte, attrezzi per l’agricoltura come vanghe, picconi, falci, aratri ecc. Insieme alla lavorazione del ferro si immette anche quella del rame, usato per lo più per la produzione di utensili da cucina e la casa come; olle, paioli, zine e padelle.
Le industrie per la lavorazione del rame a Limestre e a Mamiano avevano portato la montagna pistoiese ai vertici nazionali di tale produzione
Agli inizi del 700 i ministri della Magona di Firenze si trasferiscono a Pistoia e misero la loro sede in un palazzo in via S.t.Andrea, e a proposito, molte ferriere si trasformeranno in fonderie, e dalla montagna si trasferiranno nel centro cittadino. Erano attive le officine di ferro battuto dei Benvenuti e Michelucci, di Bresli, e di Lippi e Marradi & Benti per la fusione in bronzo, i Rafanelli per la fusione di campane e campanelli.
I Tronci per canne d’organo e piatti sonori, tutt’oggi produttivi e famosi in tutto il mondo. Giuseppe Michelucci insieme al figlio Bartolomeo iniziò la lavorazione artistica del ferro nei locali delle officine del Conservatorio degli orfani, voluto da Niccolò Puccini, con ingresso in via Fonda intorno gli anni sessanta dell’800, dopo qualche anno aggiunse la fusione artistica dei metalli, assumendo grande notorietà di rilievo nazionale. Dagli inizi del 900 la fonderia fu gestita da uno dei figli, Renzo, per disinteresse del fratello Giovanni che seguì la carriera di Architetto.
Fin dal 700 fu attivo in Pistoia un imbrunitoio per la chiodagione che la Magona aveva affittato dalla famiglia Pappagalli. Nel 1810 l’azienda acquistò l’ex convento di S,Francesco da Paola situato nella piazza degli Armeni e lo trasformarono in chioderia, continuò a lavorare fino al 1866 quando entrarono in possesso dell’edificio i Frati Cappuccini, che lo trasformarono di nuovo in convento e ricostruirono la chiesa.
A Capostrada c’era uno dei più antichi insediamenti della Magona qui erano situati i depositi per la raccolta della ghisa destinata alle ferriere della montagna.
Una delle ferriere più antiche era quella di S.Felice, acquistata dalla Magona nel 1572, divenne uno degli impianti più competitivi nel territorio. Nel 1700 era segnalato nei pressi di Piteccio un “distendino” ovvero l’officina ove si distende il ferro, per fare lamiere e si producevano contenitori di latta, badili e attrezzi per l’agricoltura.
In Candeglia agli inizi dell’800 venne impiantata una rameria in un gruppo di edifici appertenuto ai Medici che probabilmente aveva ospitato una fabbrica di armi. A proposito di armi la storia della produzione di canne da Archibugio e di pistola a Pistoia è certamente documentata. Ma l’origine del nome “pistola” è controversa. Si legge negli scritti d’epoca che il nome “pistola” deriva da “Pistoia” ove, si dice, l’arma sarebbe stata inventata da un Camillo Vitelli nel 1546. Affermazione che non ha alcun fondamento documentato, però va tenuto presente che ogni leggenda ha quasi sempre un qualche radice storica reale. Da Pistoia, sembra invece, che prenda il nome uno strumento da taglio qui inventato e usato nel medioevo, visibile nel museo dell’ospedale del Ceppo, chiamato col nome di Bistorio o Pistorienses Gladii. ovvero “il bisturi”. Più plausibile che Pistoia derivi dal latino “ Pistoriae o Pistorium” che significa pestare il grano.
Amerigo Folchi a nome del Comitato pro- Mercato Antiquario di Pistoia