miracoli. FRA ANEDDOTI ROMANI E SISTEMI PISTOIESI, IN PROCURA MEGLIO ASSAI DI LOURDES

Segretarie evanescenti e cancellieri che non ci sono ma improvvisamente si materializzano anche se solo dopo tre ore di estenuante attesa. E la Costituzione va beatamente a farsi “catafottere”, per dirla alla Montalbano


Palazzo del Tribunale di Pistoia

UFFICI IN COMA E SGARBI SOPRAFFINI

IL TUTTO “A GRATIS” PER I CITTADINI


 

Veramente il tribunale è il peggior luogo ove un comune mortale possa trovarsi. E non solo per l’arroganza con cui viene trattato da certi magistrati, ma anche per l’alterigia sprezzante sfoderata, con estrema facilità, dagli impiegati e dalle impiegate. Tutti? No, perché qualche persona ammodo si trova: ma una buona parte, purtroppo non ha ritegno.

Quello che sto per raccontarvi, con la solita serena franchezza, e forza di chi non ha punta voglia di farsi schiacciare, non mi riguarda affatto. Narro una storia non mia personale, ma del testimone diretto del sopruso perpetrato e proprio laddove (uffici giudiziari) il cittadino qualunque spende il proprio denaro per pagare stipendi a mio avviso spesso immeritati.

Ora che avete letto l’aneddoto di Scipione Nasica e di Ennio raccontatoci da Cicerone – che molti legulei non hanno neppure diritto di nominare, se non sono nati il 3 gennaio come lui –, vi narro una mia personale esperienza. Sempre riferita al signor tribunale, sempre di Pistoia, ma – ne sono certo – riferibile anche a molti altri tribunali d’Italia, dove «chi vince, perde e chi perde, perde due volte» (antico proverbio siculo).

Anche se sembrerà strano a molti – e in prima linea tutta la procura di Pistoia e collegàti, forse… – anch’io, in gioventù (per citare la settima lettera di Platone, apocrifa, ma eccezionale) ebbi un magistrato in famiglia: carattere pessimo, ma schiena dritta come un filo a piombo. E uomo senza tanti proclami. Non uno che strombazzava di voler lavorare per la «gente comune», ma uno che veramente lo faceva in silenzio in mille modi. Soprattutto onorando il suo mestiere con «disciplina ed onore» come da Costituzione.

Nel 1972, mentre era da me, poiché dovevo recarmi in tribunale per registrare una testata giornalistica locale, gli chiesi di accompagnarmi. E così fece.

In cancelleria civile la porta del cancelliere era spalancata. Ci affacciamo per chiedere permesso e, visto che nessuno rispondeva, provammo ad entrare. A quel punto, a porta aperta e stanza vuota e con noi dentro, giunge un ometto che ci fa una cosiddetta «parte di merda».

Chi mi accompagnava non fiata. Si fa mettere fuori in malo modo, quasi preso per un braccio. Mentre la porta del cancelliere si è richiusa, lui si avvicina a un usciere, tira fuori un suo biglietto da visita, lo dà all’inserviente e gli chiede di consegnarlo, per favore, a chi stava chiuso dentro quella stanza.

Il risultato non fu una scena esilarante: fu tragica, tragicissima direi. Avreste dovuto vedere con che “lingua da lecco” costui, che poco prima quasi ci aveva preso a calci in culo, si prostrò dinanzi al potere prima non esibito e neppure con l’intenzione di esserlo.

Perché la pubblica amministrazione italiana, tutta, indistintamente – perché, in percentuali da inflazione del marco nella Repubblica di Weimar nel 1923 –, è fatta, tenuta per la cavezza, rovinata, maltrattata, adattata, padroneggiata, lesa, sbeffeggiata da e per chi ci sta dentro consapevole di essere impunito qualunque cosa faccia. Il cittadino viene dopo e non conta, mentre loro… sono loro alla Marchese del Grillo.

E nella pubblica amministrazione italiana, per esplicita affermazione in aula da parte del giudice Luca Gaspari, ci sta anche la cosiddetta giustizia: con magistrati, segretarie, cancellieri, cancellate e cancellini per sbianchettare il cittadino ridendogli in faccia e trattandolo come una pezza da piedi, caro signor non-presidente Sergio Mattarella!

Edoardo Bianchini
[direttore@linealibera.it]


L’Italia non è né una repubblica né una democrazia e la Costituzione è servita solo da specchietto per allodole


Print Friendly, PDF & Email