PISTOIA. Un uomo, un po’ folletto un po’ poeta (probabilmente folle, come ogni poeta vero), con la chitarra. Solo, sul palco. Una voce ricca di modulazioni, per cantare, per raccontarsi.
È calato il sipario sul “Pistoia Blues” con il concerto (esibizione, narrazione, gorgheggio?) del figlio d’Irlanda Damien Rice, il menestrello che visse tre volte (per ora).
Una chiusura particolare, intimista e sperimentale, di una manifestazione ancora una volta – polemiche comprese – da applausi, considerati qualità e numeri. Un arrivederci con un artista che pare aver ritrovato il gusto di suonare e cantare per se stesso e quindi, in modo migliore, per gli altri.
Damien dialoga col pubblico, composto da numerosi anglosassoni, alterna inglese e italiano (ha vissuto, per brevi periodi, nel Belpaese), è bendisposto, non s’incaz… per alcuni sciocchini che, nei pressi di Piazza del Duomo, lo disturbano proprio sul più bello, fa battute, dimostra di essere intelligente e sensibile, in una parola completo.
È uno spettacolo, il suo, da seguire attentamente, per i virtuosismi e le carezze in note, per il saper cambiare più volte registro senza snaturarsi, restando lui, solo lui.
È in vena, sfiora e sferza la chitarra con quelle dita che farebbero impazzire signore e signorine, chiede la complicità degli astanti, da cui persino riceve e beve, di gusto, una birra (fresca, immaginiamo).
La gente, i presenti lo conoscono e lo rispettano, nelle pause come nei momenti di alta vibrazione; ne cantano le strofe, quasi a mo’ di ninna nanna, di dolci melodie.
Parrebbe aprirsi, non aver segreti e invece sì. Quando i fan si fanno sotto, avvicinandosi al maestoso palco, si capisce che la verve è frutto d’abilità e di un tavolino piccolo, ma portentoso, capace di contenere tante bottiglie, fra vini e liquori.
Allora non è vero che di sola acqua si vive: con moderazione, si può bagnare la gola con un pregiato vinello e colorare il mondo con un arcobaleno di note (almeno da Pistoia city a Dublino, passando per la Luna e le stelle).
Good night, Damien.
[Gianluca Barni]