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PISTOIA. Pubblichiamo una riflessione di un nostro affezionato lettore.
Qualche settimana fa, su suggerimento di Lorenzo Cristofani, amico di Linee Future, ho scaricato da Internet un documento lungo, articolato, impressionante, intitolato “Emilia-Romagna. Cose nostre”.
Tale lavoro, di cui sono autori tre coraggiosi giornalisti (Gaetano Alessi, Massimo Manzoli, Davide Vittori), che vivono sul territorio emiliano-romagnolo ci parla della infiltrazione, ma, ormai, si potrebbe dire, del dominio, della criminalità organizzata in Emilia-Romagna, da anni avvenuto con la connivenza, la complicità, la stupida indifferenza di molti, nella società civile, ma anche nel mondo della “politica” e delle istituzioni.
E, per chi voglia un po’ riflettere, leggere il documento permette di creare facili connessioni tra quanto avviene in questa regione, confinante con la nostra lungo una linea estesa diverse centinaia di kilometri e quanto, benissimo conosciuto da chi dovrebbe intervenire, ma stupidamente sottaciuto e sottovalutato, avviene in Toscana.
Come non pensare, infatti, alle somiglianze tra le due regioni per quanto riguarda le mani della criminalità sulla “filiera” della droga, sul litorale romagnolo ed a Bologna da una parte e sul litorale versiliese ed a Firenze dall’altra? (Qualcuno, tempo fa, ebbe a denunciare che, ad una apposita analisi, le acque dell’Arno risultavano presentare un altissimo tasso di residui di cocaina, ad es, ma poi, già il giorno dopo, sull’argomento tutto, di nuovo, taceva).
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Per non parlare delle acquisizioni violente dei locali notturni, di quelli dove si pratica il gioco d’azzardo, ecc, quasi sempre precedute da operazioni di strozzinaggio. C’è qualcuno disposto a scommettere che la Versilia, Montecatini, e via discorrendo, siano esenti da questo fenomeno?
E come non indignarsi di brutto, nel leggere questo documento, quando, a più riprese e nella descrizione delle più disparate indagini, si apprende che dal fiume di denaro che deriva da una miriade di attività criminose, si aggiunge, ed è ovvio a quel punto, una sfacciata ed impudente evasione fiscale, complice una legislatura che lascia aperte amplissime maglie, non si sa fino a che punto per insipienza e fino a che punto per calcolata malafede di chi dovrebbe concretamente provvedere?
Un racconto che lascia allibiti soprattutto coloro, ed io tra questi, i quali hanno sempre pensato all’Emilia-Romagna come ad una terra “grassa”, genuina, ricca, ma soprattutto civile e libera, dove fenomeni che sembrano, quantomeno culturalmente lontani da noi mille miglia, mai avrebbero potuto attecchire (e la stessa riflessione, in questo senso, si pensava che valesse per la Toscana).
Ed invece, complice l’effetto ipnotico ed abbagliante del “dio” denaro, le capacità intimidatorie dei criminali e la quasi assoluta assenza dello Stato dal territorio, o quantomeno una presenza assolutamente insufficiente, tutto ciò è avvenuto (e certamente avviene anche in Toscana).
Tra l’altro, e non era possibile che fosse altrimenti, più di un pezzo delle istituzioni (a livello di prefetture, questure, ecc) si sono rivelate colluse, senza sé e senza ma, come un bel po’di intercettazioni, nel tempo, hanno rivelato.

Si apprende che la presenza delle aziende mafiose nell’ambito delle opere pubbliche è capillare quasi ovunque, per quanto riguarda la costruzione di strade, i lavori all’aeroporto di Bologna, altri lavori che si svolgono in pieno centro di quest’ultima città, e via discorrendo. E qui, come non pensare che anche nelle opere inutili e cretine che i nostri parlamentari sponsorizzano in Toscana (seconda pista dell’aeroporto di Peretola, terza corsia della A11, ecc), non ci sia la mano della ‘ndrangheta o altre consimili associazioni?
In margine ai racconti di cui sopra, si apprende anche che i tanto sbandierati certificati antimafia sono spesso poco più che carta straccia, e che tantissimi delinquenti, peraltro conosciutissimi alle forze dell’ordine e che non dovrebbero più assolutamente essere presenti sul mercato, continuano a lavorare senza problemi, ed anche in opere di alto livello, grazie a false attestazioni antimafia.
Viene poi quasi naturale leggere delle minacce e delle intimidazioni rivolte a quei pochi che si sforzano di tenere alta l’attenzione, delle auto e dei mezzi di lavoro incendiati, ed altro ancora, come se, invece che in Emilia-Romagna, ci si trovasse nella Piana di Gioia Tauro, nella “Terra dei Fuochi” od in altre plaghe consimili, e tutto questo fa una impressione quasi agghiacciante.
Come anche fa riflettere che i successi contro la criminalità siano dovuti quasi esclusivamente alla meritoria opera delle forze dell’ordine, quando è loro permesso di lavorare, senza che ci sia o quasi alcuna forma di collaborazione da parte della società civile, con il territorio quasi completamente controllato dalle associazioni criminali, per quanto riguarda in primis l’argomento droga, ma certamente non solo quello.
Una riflessione aggiuntiva si deve fare poi per quanto riguarda il capitolo “gioco d’azzardo”, e riguarda il fatto che lo Stato ha reso “legali”, per bassi interessi di bottega, giochi e modalità di gioco che avrebbero dovuto essere considerati illegali.
La commissione parlamentare antimafia, a proposito del gioco d’azzardo e delle sue connessioni con il crimine organizzato, già nel 2010 fece una dettagliatissima relazione, ma non sembra che chi di dovere ne abbia mai preso veramente atto; evidentemente c’è una calcolata tendenza a sottovalutare in questo settore l’implicazione delle associazioni mafiose, con il silenzio quasi totale, tra l’altro, degli organi di stampa.
Il lavoro dei giornalisti prosegue parlando del traffico d’armi dal Porto di Ravenna verso la Somalia, collegato con lo smaltimento di rifiuti tossici; ed a tal proposito mi viene in mente che sarebbe buona cosa tenere gli occhi aperti anche per vigilare su cosa accade nell’ambito di porti e porticcioli della Toscana, ed il primo che mi viene in mente, così, a caso, è quello di Talamone.
Si parla poi del problema degli appalti (è una delle prime e più lucrose fonti di finanziamento per la malavita) e dei subappalti con la formula del massimo ribasso, con evidenti ed inevitabili conseguenze sulla qualità del lavoro; un protagonista di assegnazioni con questa procedura, in un caso, è stata addirittura la prefettura di Bologna.
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Per quanto riguarda la Toscana, mi domando se nessuno è andato ancora a ficcare il naso sui lavori di quadruplicamento della Siena-Grosseto nella zona di Casal di Pari ed oltre. Oppure al neomega svincolo della A12 alla altezza di Rosignano. O nella zona di Palazzo del Pero in provincia di Arezzo, con una bella strada a quattro corsie in una zona semidisabitata, almeno secondo i parametri di chi vive nella zona Pistoia-Prato-Firenze.
C’è poi una piccola dedica alle ditte fantasma di trasporto merci che non dispongono neppure di un camion; il tutto, comunque, utile ad infiltrarsi nei cantieri.
Si parla poi delle mafie straniere che gestiscono a loro volta prostituzione, immigrazione clandestina, spaccio di stupefacenti, grazie anche all’esistenza di quel paradiso fiscale chiamato San Marino. A questo, alla fine, serve tale inutile staterello: altro che discorsi sulla Storia, l’autonomia, la libera repubblica, la cultura, la specificità, e chissà quanti altri paroloni che potrebbe pronunciare, magari credendoci seriamente, qualche storico d’occasione.
E tra l’altro, mi sembra ovvio riflettere come su San Marino possano benissimo convergere capitali criminali provenienti anche da altri luoghi che non siano il litorale romagnolo e dintorni, ivi compresa la non lontanissima Toscana.
A tal proposito, senza seguire alla lettera la cronologia del lavoro dei tre autori, passerei a parlare di quella che, nell’ambiente giudiziario riminese, è stata chiamata l’“Operazione Titano”, in cui, ancora una volta, si evidenziano i legami criminali tra San Marino (detta appunto la Repubblica del Titano) e Casal di Principe, ma non solo, per quanto riguarda estorsioni, recupero crediti condito da violenze e minacce, truffe, evasione fiscale, riciclaggio, usura, intestazioni fittizie.
Si vede tra l’altro una volta di più che, in caso di sequestro di beni di provenienza mafiosa, questi criminali, anche quando le cose sono in mano alle istituzioni statali, riescono sempre e comunque ad esercitare il loro potere intimidatorio senza guardare in faccia a nessuno.
Le indagini collegate alla “Operazione Titano”, dimostrano, più di altre, come esista, ormai, sul territorio romagnolo, una omertà che non ha niente da invidiare a quella che si potrebbe riscontrare nelle plaghe calabresi o siciliane e di come i locali “colletti bianchi” siano, quando complici, quando asserviti, quando succubi, dei poteri criminali.
Il lavoro prosegue ponendo l’attenzione sul fenomeno dei negozi di “Compro oro” (ce ne è un discreto numero anche in Toscana, compresa Pistoia e dintorni), utilissimi anch’essi al riciclaggio di denaro sporco. Tutte le segnalazioni di irregolarità in tal senso sulle operazioni collegate, provengono da sportelli bancari o postali, mentre praticamente nulle sono le segnalazioni provenienti dagli studi professionali, di avvocati in primis, ma anche di commercialisti, revisori dei conti, ecc; segno della esistenza di una rete di vergognosa complicità a livello di professionisti di alto bordo.
Si apprende poi con raccapriccio di paesi della civilissima Emilia, come Bentivoglio ed Ozzano, trasformati, nella indifferenza e complicità di tutti, in centri di narcotraffico internazionale con cui si inonda l’Europa di coca e di milioni di euro sporchi; si apprende della ‘ndrangheta che mette le mani sul mercato immobiliare emiliano, anche qui grazie ad avvocati, commercialisti, geometri emiliani, secondo il principio che “pecunia non olet”; in questo caso tutti professionisti consapevolissimi di chi fossero i loro clienti/committenti.
Per non parlare della malavita (ma ce lo potevamo facilmente immaginare) che mette le mani sulla ricostruzione post terremoto, mentre mancano le risorse per fare i controlli.
In questo ambito anche il trucco della sovrafatturazione per ottenere maggiori rimborsi pubblici nei lavori post terremoto è ampiamente diffuso e coadiuvato da professionisti compiacenti.
Collegato agli argomenti di cui sopra, c’è poi quello della costituzione delle società di comodo della più disparata specie e con le più disparate finalità criminali (evasione fiscale, riciclaggio, rientro in possesso di beni sequestrati, ecc) da cui si deduce come gravissime siano le falle insite nella legislazione che presiede, in Italia, al diritto societario; da noi si possono costituire le società che si vogliono, intestate a chi si vuole, con i soldi delle più svariate provenienze, e con le complicità e connivenze più svariate, senza che niente accada.
La spending review, di fatto, limita il lavoro delle forze dell’ordine in materia di controlli, e, quindi, le responsabilità della politica sono evidenti.
A proposito di tutta questa caterva di reati, veniamo di fatto posti davanti ad un’altra realtà: spesso gli arrestati sono ”pregiudicati”. Un più attento esame indica che sono persone tornate a delinquere dopo una prima, e magari una seconda detenzione. Appare quindi evidente che le pene, per molti tipi di reati sono troppo lievi, se mai vengono effettivamente irrogate e scontate fino in fondo; e, quindi, che ci sono troppe “sdruciture” nelle maglie della “Giustizia”.
Ed inoltre è chiaro che il più delle volte fallisce clamorosamente quella teorica finalità della pena detentiva che consiste nella rieducazione del condannato. Anzi, dai racconti di chi vive in quel mondo, dalle intercettazioni, ecc, emerge un’altra cosa, che in realtà tutti sappiamo, ma rimane anch’essa spesso sotto traccia: che gli appartenenti alla criminalità organizzata, complice anche la rete di appoggi e corruzione di chi dovrebbe, anche all’interno del mondo carcerario, tutelare l’ordine e troncare senza riguardo i contatti con i delinquenti rimasti fuori, dal carcere continuano tranquillamente a tenerli, questi contatti, ed a gestire senza troppi problemi i propri affari.
A questa gente è permesso, anche in carcere, di intimidire compagni, guardie, ecc, trovando complicità insospettate ai livelli più alti.Ed in alcuni casi si apprende di delinquenti di altissimo bordo spediti solo ai domiciliari (come dire in albergo, visto come vanno le cose in Italia).
Nei dettagliati resoconti emergono in più di un caso i cortocircuiti del nostro sistema legislativo, che permettono le scarcerazioni facili dei mafiosi. È una cosa ripugnante, se si pensa che ciò è dovuto, con ogni probabilità, ai tirapiedi della criminalità che stanno in Parlamento e sono abilissimi a disseminare di subdoli cavilli formali i percorsi delle leggi antimafia, peraltro neppure troppo abbondanti e celermente intrapresi.
E poi, ecco il capitolo delle armi, di cui queste organizzazioni sono state trovate in possesso in territorio emiliano. Chi gliele ha fornite? Il controllo dello Stato, anche qui, dove è andato a finire?
Sembrerebbe, e se è così è stupefacente, che le armi, almeno in parte, arrivino dall’esercito della Repubblica Ceca, ed un pluriassassino di nome Acrì ha continuato, a questo proposito, a telefonarsi indisturbato dal carcere con i cechi.
Perché, seriamente, e guai agli stupidi o in malafede che protestano in nome dei presunti “diritti” non si applica davvero il carcere durissimo per questa gente? Perché, se si parla di “diritti” in modo serio, e non da salotto radical chic, i primi ad avere dei diritti reali sono i cittadini onesti, che vorrebbero vedere una bella disinfestazione da questo tipo di delinquenza.
Quanto al discorso dei rapporti tra ‘ndrangheta (e forse non solo) e Repubblica Ceca, sembrano ripetersi i meccanismi clandestini con cui al tempo delle Brigate Rosse e simili, in quei luoghi, allora sotto la cappa del comunismo, si rifornivano i nostri estremisti di sinistra.
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Alla fine di tutta questa lunga storia, voglio mettere due “ciliegine” sulla torta, prova che alla sfacciataggine, alla arroganza, al ridicolo ed alla spudoratezza non c’è limite.
1) Gli avvocati e le famiglie di uno dei tanti criminali di cui si parla, peraltro legato ad uno dei partiti politici sanmarinesi e giustamente messo in carcere, si sono addirittura rivolti alla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo, lamentando le “inumane” condizioni di carcerazione di questo individuo, poverino. Farsesco ed offensivo se si pensa ai tantissimi che molte zone del mondo sono davvero privi di libertà e soffrono, a vario titolo, in carceri veramente disumane, sottoposti a torture e privazioni di ogni genere.
2) Una delle famiglie mafiose che infestano la zona, si è addirittura presentata davanti al Tribunale di Rimini minacciando di darsi fuoco se non avesse ottenuto il dissequestro di certi beni che riteneva di sua proprietà. Tutto ciò la dice lunga sulla mentalità arrogante, prepotente, lontanissima dai nostri concetti di vivere civile. E per di più, questi “signori” sono andati millantando pie appartenenze religiose, impegni parrocchiali e nel volontariato. Ed allora viene da chiedersi: “Ma la Chiesa, su tutta questa ignobile commistione tra pseudosacro e criminalità, fino a quando continuerà, salvo l’impegno personale di Papa Francesco, a non avere niente, o troppo poco da dire?”.
Piero Giovannelli
“Tra Brescello e Montecchio il tesoro delle cosche
In anteprima il report di “Confiscati Bene” su Reggio Emilia: da Vertinelli a Giglio, ecco dove il clan aveva nascosto i propri beni” http://gazzettadireggio.gelocal.it/reggio/cronaca/2016/03/21/news/tra-brescello-e-montecchio-il-tesoro-delle-cosche-1.13162009