NUOVE PROVINCE. SEI DOMANDE A PERSONAGGI DI PRIMO PIANO – 1

Patrizio La Pietra e Massimo Baldi
Patrizio La Pietra e Massimo Baldi

PISTOIA. Ai bei tempi di Marcel Proust, nei ritrovi mondani era comune intrattenersi compilando il questionnaire, una sorta di gioco della verità da fare per scritto, per scandagliare gli animi dei partecipanti, i loro sentimenti, gusti e aspirazioni.

Noi lo proponiamo, attraverso sei quesiti, con lo stesso scopo d’indagine ma su un tema di interesse generale che sta crescendo nell’attenzione dell’opinione pubblica, la nuova Provincia, come e perché.

Abbiamo posto le domande ad una dozzina di personaggi illustri della nostra città, tra amministratori, Presidenti di associazioni di categoria, segretari di partito e opinion makers.

Solo alcuni de nostri invitati, per il momento, hanno inviato le loro risposte che comunque noi iniziamo a pubblicare a coppie, per evidenziare le varie posizioni e semplificarne la lettura.

DOMANDE   PATRIZIO LA PIETRA CONSIGLIERE PROVINCIALE PT   MASSIMO BALDI ASSOCIAZIONE ADESSO!PISTOIA
1. È convinto e pronto ad operare coerentemente per l’abolizione definitiva delle Province? Se no, perché? Partiamo col dire che in questo momento nessuno sta abolendo le province, nonostante la propaganda “renziana” ma è stata modificata, di fatto, solo l’elezione della forma di governo. Siamo passati da un consiglio eletto dal popolo ad un consiglio eletto dai partiti. Paradossale per una riforma che voleva togliere potere alla politica e eliminare enti inutili.
Nel merito, penso che l’abolizione delle province sia un errore, perché un ente di area vasta intermedio fra comune e regione è necessario. Ho sempre sostenuto che il problema non sono gli attuali livelli di governo; comune, provincia, regione e stato. Ma “chi fa cosa”, nel senso che dovrebbero esserci competenze certe per ogni livello senza sovrapposizione. In più per prima cosa si sarebbe dovuto eliminare quella pletora di enti collaterali, come consorzi, comunità montane, agenzie territoriali e regionali, ATO, partecipate etc. che si sovrappongono ai compiti dei livelli istituzionali creando costi (la Corte dei Conti stima circa 25 miliardi l’anno) e appesantendo la burocrazia per cittadini e imprese.
Se poi si voleva davvero intervenire sulla spesa, per prima cosa si doveva intervenire sulle regioni.
Convinto e pronto a operare. È una cosa di cui si parla da quando io non ero ancora nato. Sono felice che grazie al nuovo corso riformista del mio partito si stia passando dalle parole ai fatti.
2. Dovrebbe far parte del programma un “dimagrimento” del pubblico? Quali settori affiderebbe decisamente ai privati (per es.: promozione turistica, avviamento al lavoro, formazione professionale)   Il dimagrimento del pubblico, deve essere fatto, seguendo il ragionamento precedente, non solo in termini di quantità ma soprattutto in termini di qualità. Nel senso di una ottimizzazione del sistema.
Sicuramente ci sono molte cose che il pubblico dovrebbe affidare al privato come gestione ma prima occorre definire bene un sistema capace di effettuare un controllo vero.
Competenze come il Tpl, la formazione, il lavoro sicuramente potrebbero essere gestite dal privato tenendo presente però che sono un servizio pubblico. Anche la sanità, che rappresenta circa il 75% della spesa regionale, potrebbe ricadere in queste categorie. Bisogna cambiare passo e passare da un sistema assistenziale ad un vero sistema sociale, che sono due cose ben diverse.
  Le vacche grasse del ‘pubblico’ sono finite. Avere l’ossessione del ‘pubblico’ significa penalizzare la quantità e la qualità dei servizi, e dunque fare un torto al vero ‘pubblico’ di cui dobbiamo occuparci, i cittadini. In tutti i settori – eccezion fatta per i servizi primari, come sanità e acqua – deve svilupparsi una sussidiarietà intelligente tra pubblico e privato, in cui il pubblico controlla di più e gestisce di meno. Gli esempi che fa (turismo, lavoro, formazione) sono più che altro al centro di una redistribuzione delle competenze. Formazione e lavoro passeranno verosimilmente alla Regione, mentre il turismo allo Stato. In questo quadro, è evidente che a livello locale dovremmo premiare e valorizzare il privato, che in molti settori opera già in concorrenza con il pubblico.
3. Ritiene che la Città Metropolitana possa costituire una risorsa, possa essere motore dello sviluppo? Per Pistoia vede un’integrazione o una contrapposizione verso la città metropolitana? Facciamo riferimento a Firenze o a Lucca? Penso che la domanda debba porsi in termini diversi. Prima di tutto in questo momento non ci sono le condizioni giuridiche per cui Pistoia possa aderire alla città metropolitana di Firenze. Una cosa è l’area metropolitana (costituita con delibera regionale nel 2.000) su cui da anni esiste un lavoro di protocolli e intese con Prato e Firenze. Chi confonde le due cose dimostra di non aver capito quali sono adesso i termini della questione. Comunque sia, Pistoia è in una posizione per cui rischia di essere la periferia di un’area o dell’altra. La collocazione naturale è quella dell’area metropolitana, ma bisognerà creare dei meccanismi per garantire una certa autonomia dal centralismo politico e istituzionale di Firenze. Mantenere l’autonomia provinciale potrebbe essere uno di questi. Peraltro personalmente la città metropolitana di Firenze rappresenta un altro obbrobrio istituzionale. Si pensi che il concetto di città metropolitana nasce sul modello di città che con l’espansione urbanistica hanno inglobato altri comuni e territori creando un unico nucleo urbano omogeneo. Ma Firenze non è Roma, Milano o Torino. Cosa c’entra il Mugello o l’empolese con Campi Bisenzio e Sesto? Pistoia, se si vuole bene, deve aderire alla città metropolitana di Firenze. Restarne fuori significa penalizzare la nostra economia e, in genere, il nostro tessuto sociale e culturale. Questo vale soprattutto per i nostri territori periferici e montani. Vogliamo che comuni come Abetone e Sambuca restino toscani? Diamo loro un quadro istituzionale metropolitano in cui la loro presenza abbia un valore. Altrimenti, come possiamo biasimare il loro desiderio di passare con Modena e Bologna?
4. Quale potrebbe essere l’opera che può innescare lo sviluppo del territorio? Ne indichi una.   Molto spesso le grandi opere, per la logica degli appalti, vengono aggiudicati da imprese non del territorio spostando i benefici altrove. E sicuramente non può essere una solo opera a dare slancio allo sviluppo.
Lo sviluppo del territorio può arrivare solo dalle imprese, artigiani e commercianti l’amministrazione deve adoperarsi per permettere, a chi vuole, di investire e lavorare. Ad esempio occorrerebbe fare in modo che le regole, almeno a livello provinciale, siano uguali per tutti. Comunque opere infrastrutturali sono importanti per lo sviluppo di un territorio. Basti pensare al raddoppio della linea ferroviaria o alla terza corsia dell’autostrada. O ad una nuova viabilità per l’area montana.
  Devo indicarne almeno due: linea metropolitana Lucca-Pistoia-Prato-Firenze e un piano di ristrutturazioni per i territori a rischio spopolamento, come quelli della nostra montagna. Costruire zero e riqualificare tanto.
5. Può indicare un servizio che sia in grado di assicurare un futuro migliore ai cittadini? In base alle competenze provinciali, possiamo cercare di dare un futuro migliore ai cittadini con una programmazione scolastica che tenga conto delle specificità del territorio con una maggiore cooperazione fra scuola e mondo del lavoro. Così come è importante il controllo del territorio, soprattutto per quanto riguarda l’assetto idrogeologico. Non è pensabile che ad ogni pioggia ci siano intere zone allegate. L eccezionalità può esserci ma negli ultimi anni sembra una regole. Un servizio sanitario più articolato e presente sul territorio, con meno dirigenti e più operatori. E con maggiore attenzione ai soggetti più deboli, come i non autosufficienti, che ad oggi non stanno percependo risorse in realtà già disponibili. Fino ad ora, soprattutto nella zona Pistoia-Piana-Montagna, abbiamo investito più energie nell’organizzazione di un fantasma, la Società della Salute, che nella persecuzione della finalità che quel soggetto doveva avere, una servizio sanitario efficiente, diffuso e prossimo al cittadino.
6. Infine, è opportuno che il Sindaco del Comune capoluogo sia anche Presidente della Provincia (seppure in questa versione transitoria) oppure è meglio indicare un altro soggetto?   In linea generale credo opportuno che nessun sindaco sia il nuovo presidente. Primo il ruolo di presidente non può essere fatto a mezzo servizio, così come il ruolo di sindaco, ormai inflazionato da molti incarichi e che di fatto rendono il sindaco meno attento al proprio territorio. Inoltre un sindaco potrà essere influenzato sulle scelte, soprattutto a livello di investimenti, proprio dal suo ruolo di sindaco, che lo obbliga a tutelare al massimo il suo comune. A maggior ragione il sindaco del capoluogo non può essere il candidato ideale.
Ma il problema vero è che con il sistema attuale di elezione si rischia di avere un consiglio monocolore PD senza che si tenga conto delle minoranze. Per questo motivo e per il fatto che siamo in fase costituente in cui si dovranno riscrivere gli statuti e i regolamenti del nuovo ente i partiti dovrebbero trovare un accordo per permettere a tutti le forze politiche di essere rappresentate. Vedremo se prevarrà il buon senso o meno.
  Chi pensa che abbia qualcosa contro la nomina di Bertinelli si sbaglia. Ma se l’idea è: lo fa lui perché è il sindaco del comune capoluogo punto e basta, allora non ci sto. Si parta dalla politica, dai temi, in primo luogo quello del futuro orientamento del territorio dopo l’abolizione delle province. E su quella base si scelgano i candidati. Se poi vuole sapere quale sarebbe per me un segnale politico forte glielo dico: eleggere a presidente della provincia un sindaco della montagna. Ma credo che resterà un mio sogno.

Seguirà, a breve, il raffronto tra i partecipanti al nostro “gioco”, con Luciano Pallini e Alberto Lapenna.

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