ORRORE E DISUMANITÀ

Storia di un Lager napoletano
Storia di un Lager di casa nostra

NEANCHE DEI PORCI sarebbero sopravvissuti. Chiara (il nome è quello riportato dai quotidiani nazionali, ignoriamo se sia o meno di fantasia) ce l’ha fatta. Forse. Gli agenti di polizia sono riusciti ad entrare in tempo in quell’appartamento del secondo, terzo piano, nel quartiere residenziale del Vomero, a Napoli, per liberarla da quel porcile inumano al quale la madre l’ha costretta per otto anni.

Oltre a chi l’aveva messa al mondo (mamma o madre sarebbe davvero troppo), sul registro degli indagati sono finiti l’amministratore del condominio e il portiere dello stabile dove la ragazza è stata segregata e abbandonata negli ultimi otto anni. Le immagini del momento della liberazione sono qualcosa che va oltre la più tribale ed efferata fantasia: Chiara è china dietro un divano, sommersa dalla sporcizia, che pervade ogni angolo dell’appartamento. Prima di sollevarsi sulle sue gambe scheletriche, sembra cercare qualcosa, tra i rifiuti della casa, che pare non voler lasciare, quel lager dove è stata reclusa.

Non sappiamo se le cure e le terapie sanitarie sapranno cancellare, con calma e pazienza certosina, otto anni di pura follia. La ragazza, 36 anni, da quanto si apprende, ha un diploma di licenzia media superiore ed è anche iscritta all’Università.

Bene, nessuno, dico nessuno dei suoi conoscenti (mi verrebbe fatta di scrivere amici, ma è una parola fuori luogo), in tutto questo tempo si è posto il problema di sapere che fine avesse fatto Chiara. Solo la madre, il portiere e l’amministratore erano al corrente di questo campo di concentramento domestico? E tutti gli altri? Troppo impegnati a cambiare le immagini dei propri profili di facebook?

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