Vedi: http://linealibera.it/intensita-di-cura-al-san-jacopo-esperienza-di-riferimento-nazionale/
BIBBIENA (AR). Da anni la sanità toscana sta cambiando. Dall’avvento del Presidente Rossi oggi e ieri Assessore alla Sanità stiamo assistendo ad una trasformazione radicale e ad una involuzione inimmaginabile solo alcuni anni indietro.
Il ricordo delle sagge parole di Enrico Rossi agli albori della sua carriera ancora riecheggia nelle mie orecchie. Razionalizzazione, eliminare gli sprechi, migliorare la risposta sanitaria, incrementare la prevenzione per diminuire i ricoveri e far ruotare; che tradotto in dialetto toscano significa far girare o spostare i professionisti, intesi come medici e non i pazienti.
Quello a cui abbiamo assistito è sotto gli occhi di tutti.
Spese e sprechi sono lievitati nel tempo in carrozzoni sempre più numerosi con costi altissimi. La tanto nominata e promessa prevenzione non è mai arrivata ma in compenso abbiamo assistito ad un costante abbattimento di ospedali soprattutto periferici o montani ma in generale piccoli ospedali che facevano da corollario ai grandi e più specializzati complessi ospedalieri.
Questo ha determinato un abbattimento di posti letto in picchiata che ha portato ad una disomogeneità e disparità di offerta e di disponibilità di posti letto tra aree metropolitane e aree minori o marginali ma potremmo usare anche il termine distribuzione irrazionale che oggi non soddisfa né i centri più popolati né le zone meno abitate.
Infatti il taglio di posti letto con soppressione di ospedali o reparti ha portato alcune zone della toscana (vedi Abetone di Pistoia o il Casentino) ad 1,9 posti letto per 1000 abitanti con una media nazionale superiore a 3,7; ed ha portato i grandi ospedali ad essere intasati perché non ci sono più gli ospedali filtro che hanno soppresso.
Questo modello si ispira a quello sperimentato circa 40 anni fa dalla Toyota Production System che si basava sull’idea che tutte le attività sono linee di produzione con un loro percorso ideale: pertanto deve essere sempre perseguita la velocità di scorrimento delle attività senza interruzioni inutili ed intoppi inaspettati.
Contrastano questo razionale organizzativo: gli atteggiamenti autoreferenziali, l’incapacità di lavorare in gruppo e la rinuncia a riunioni periodiche del team assistenziale per valutare le possibili criticità con annesse possibili soluzioni.
Gli obbiettivi finali per tutti sono: riduzione degli spazi, ottimizzazione dei percorsi, riduzioni degli sforzi, delle scorte e del tempo di erogazione delle attività dedicate al cliente. La sfida sarà vinta da chi meglio assimilerà il concetto di flusso e della necessità di mantenere il movimento dell’onda di azione.
La necessità di percorsi di assistenza territoriali integrati con quelli dell’ospedale è la seconda criticità perché il percorso intraospedaliero non può stopparsi alle porte dello stesso ospedale dove si potrebbe rischiare di abbandonare il malato alla buona volontà di qualche operatore del territorio.
In questo senso parte integrante per la fluidità dell’intero sistema è la sburocratizzazione del sistema stesso e la ricettività ed organizzazione, anche edile, delle strutture ospedaliere e territoriali.
Attenzione però a non equivocare in via esclusiva il concetto di flusso con quello di velocità e di volume delle prestazioni, perché il vero obbiettivo è e rimane solo la ricerca della fluidità idonea per il volume di attività necessaria e utile al paziente.
Alcune personali perplessità: estrapolando dalla logica Toyota il percorso assistenziale è definito come “linea di produzione di salute”; questo implica che l’esercizio professionale degli operatori è inquadrato in una sorta di produttività tipo catena di montaggio che se va bene per la produzione di macchine diventa discutibile quando si parla di sanità sia dal punto di vista etico sia da quello di tollerabilità medico legale.
Una domanda ma il rapporto medico-paziente, sino ad oggi da tutti accettato come salvaguardia fiduciaria qualitativa di ogni prestazione assistenziale, con cosa è stato barattato?… E scusate se è poco.
Allego anche i seguenti link. In sintesi: mentre il razionale teorico a sostegno di queste innovazioni clinico-organizzative raccoglie un ragguardevole entusiasmo e altrettanto ragguardevoli risorse vengono impegnate in queste sperimentazioni gestionali, gli interventi operativi, le strategie per implementarli, gli esiti e gli indicatori per misurarne l’impatto rimangono poco definiti e pochissimo documentati. La carenza di studi pubblicati su un tema così in auge viene attribuita alla cattiva consuetudine a non valutare in maniera rigorosa questi interventi o, in alternativa, al frequente insuccesso di queste sperimentazioni.
L’invito – poco sorprendente – è per la crescita di una ricerca che aiuti a sviluppare una conoscenza condivisibile, che stabilisca i prerequisiti o le contingenze favorevoli alla realizzazione di un’assistenza organizzata per processi, proponga strumenti per renderla accettabile e fattibile e, soprattutto, individui indicatori validi per misurarne l’impatto finanziario, organizzativo e clinico.
Eppure il tema del coordinamento, dell’integrazione, della continuità delle cure è dibattuto dagli anni 50, come raccontano altri autori olandesi nel numero di novembre di Family Practice (Uijen A et al, How unique is continuity of care? A review of continuity and related concepts, Family Practice 2011; doi: 10.1093/fampra/cmr104).
Al fine di identificare i valori centrali che ruotano intorno al concetto di patient-centered care vengono analizzati gli editoriali e gli articoli di commento/dibattito degli ultimi sessant’anni. Nonostante i ricercatori di strumenti per il coordinamento, l’integrazione e la continuità delle cure ritengano di operare in sfere concettuali diverse e separate tra loro, la sovrapposizione di temi è apparente. La definizione di continuità di cure incorpora come elementi salienti la figura assistenziale dedicata che conosce e segue il paziente nei diversi contesti di cura, la comunicazione delle informazioni relative al paziente tra i diversi erogatori e la loro cooperazione nell’assicurarsi che le decisioni assistenziali siano collegate.
La definizione di coordinamento richiama il lavoro in gruppo dei diversi professionisti, comprendendo il tema della comunicazione e cooperazione, come anche la definizione di integrazione a cui si aggiungono il tema della condivisione di responsabilità e di organizzazione delle cure.
La sovrapposizione di temi non ha tuttavia facilitato lo sviluppo di validi strumenti di misura che ci aiutino a stabilire quando un processo di cura è integrato, continuo o coordinato, né in quali migliori esiti di salute questi processi dovrebbero tradursi.
Anche in questo caso la mancanza di evidenze empiriche e di una conoscenza cumulabile porta gli autori di questa revisione a sottolineare la necessità di individuare degli strumenti di misura. Del resto è nella possibilità di misurare quanto attiene ad un concetto che se ne stabilisce la potenzialità di tradurlo in fatti.
Vedi:
- http://www.tenews.it/giornale/2014/07/21/nessuna-risposta-sulla-sanita-pronto-ad-aprire-una-vertenza-54666/
- http://www.senzasoste.it/dintorni/il-fallimento-del-sistema-sanitario-toscano
- http://www.lanazione.it/grosseto/cronaca/2014/02/06/1021507-denuncia-posti-letto.shtml
- http://www.sanita.ilsole24ore.com/art/lavoro-e-professione/2014-04-01/tagli-posti-letto-ospedale-133347.php
[*] – Presidente del Comitato Regionale Emergenza Sanità Toscana, ospite