Premessa doverosa, sono allergico al concetto di “carro”. Non riesco a capire, anzi direi fatico a tollerare, il meccanismo perverso per cui se fai una critica, una considerazione, o se magari cambi idea alla luce di novità sostanziali, deve necessariamente arrivare qualcuno a spiegarti che dal fantomatico carro non si sale e non si scende. Mi accingo a scrivere due righe sugli azzurri e vi prego, risparmiatemi la banalità del carro, non ho proprio da salire o scendere da alcunché.
La verità è che la nostra amatissima nazionale ha abbondantemente deluso le aspettative e c’è poco da aggiungere. Pass per Rio da conquistare in casa, 14mila appassionati a spingere dalle tribune e fischietti amici in più di un’occasione, avversari da battere abbondantemente alla portata, eppure ancora una volta i nostri eroi si vedranno le Olimpiadi in televisione. Perché? Non era questa la nazionale più forte di tutti i tempi? Ma non scherziamo, rispondo io.
La verità è che questa percezione – a mio modesto avviso, sarebbe tanto bello aprire un bel dibattito – è dovuta a due fattori. Il primo è una clamorosa serie di fraintendimenti di fondo. Dire che mai prima di adesso possiamo permetterci di schierare la bellezza di 3 giocatori che militano in franchigie Nba è ovviamente corretto, il problema è capire di quale Nba stiamo parlando.
Forse quella che regalò al mondo il Dream Team del ’92? Ma non scherziamo, la lega americana di oggi non è nemmeno lontana parente di quella che ha prodotto il roster indimenticabile ed imbattibile di Barcellona. La Nba di oggi è una clamorosa macchina da soldi – tanto di cappello a chi sa farla funzionare – ma di extraterrestri veri se ne contano sulle dita di una mano o poco più. La lega a stelle e strisce ha ormai aperto le porte al resto del mondo per il semplice motivo che il merchandising a loro non lo spiega nessuno, non per altro. Fatta salva la lodevole eccezione di un Dirk Nowitzki, campione vero, per il resto non è così significativo che qualcuno dei nostri giochi in America. Sono ottimi giocatori, senza dubbio, ma forse non quei fenomeni che qualcuno ha avuto buon gioco a raccontare.
Tornate in zona, ragazzi, tornate a misurarvi la pressione in un top club europeo dove potete ricominciare ad essere un fattore vero. Dove vi capiterà molto spesso che la palla pesi una tonnellata. Certo, il Beli ha vinto l’anello starà pensando qualcuno. Anche Porrini ha vinto un bel numero di trofei con la Juventus, non credo di dover aggiungere altro.
La verità è che tra gli azzurri campioni di Europa nel 1999 e quelli argento ad Atene nel 2004 erano presenti diversi talenti, molto meno social ed impomatati degli attuali, che non avrebbero potuto nemmeno sognare di arrivare nella NBA, perché allora non era nemmeno immaginabile, tolte le eccezioni di due fenomeni veri come Rusconi ed Esposito, che pure fecero tanta fatica e tanta panca. Signori, Myers e Basile erano abituati a prendersi responsabilità ed a fare canestro.
Purtroppo per loro, non avevano nessuno alle spalle ad urlare “Galanda stepback”, ma facevano canestro, eccome se lo facevano. A loro non è toccato il Flaviotranquillismo, ovvero il secondo fattore che ha portato molti a sopravvalutare gli azzurri. Flaviotranquillismo, sissignore, ovvero la capacità di raccontare una realtà parallela del tutto inesistente.
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So che per molti dei lettori di questo pezzo sfioro la blasfemia, ma correrò il rischio della scomunica. Io quel tipo di racconto non riesco ad accettarlo, è più forte di me. Potrei capire si trattasse di uno sbarbatello alle prime armi, ma siccome stiamo parlando di un giornalista che ha avuto il privilegio di commentare anche partite di Magic Johnson, non possono essere accettate come credibili le iperboli con cui vengono raccontati gesti tecnici che sarebbero banali anche al campetto di periferia.
Capito, lui ha visto Magic (per capire di cosa stiamo parlando, clicca qui), quando racconta di un passaggio diretto a due mani da petto a petto come fosse il più clamoroso degli assist ci sta palesemente prendendo per i fondelli. Via, è impossibile che stia davvero credendo a quello che lui stesso racconta. Insomma, se alla casalinga di Voghera viene detto che un tiro in sospensione dalla lunetta è un tiro “ a coefficiente tecnico di altezza siderale”, magari lei poverina pensa seriamente che gli azzurri siano fenomeni.
O no? Purtroppo la narrazione è funzionale alla carriera, temo. Più semplici avere sorrisi, consenso e pacche sulle spalle, oltre a qualche ospitata nei salotti Sky, se il giocatore di turno si sente adorato e non ha paura di domande o critiche. Invece, cari amici, bisognerebbe ricominciare ad apprezzare chi prova a sviscerare, chi ci mette un pizzico di pepe, chi non deve rendere conto.
Leggete Claudio Pea, vedi qui, un giornalista vero che sa di pallacanestro e che vi consiglio caldamente, leggete il vecchio mai banale Sergio Tavcar, di cui segnalo questo pezzo irriverente. Ricominciamo anche a perdonare qualche eventuale errore di valutazione, quando inevitabilmente capita. Meglio quella della totale assenza di qualsivoglia spunto critico.
Sia chiaro, abbiamo perso soprattutto perché vi erano limiti oggettivi di roster, quali la sostanziale assenza di lunghi di valore e la mancanza di almeno un cambio in regia. Probabilmente ha anche sbagliato Messina nel non convocare Amedeo Della Valle, viste le polveri bagnatissime dei fenomeni Nba. Il punto è che mi sarebbe piaciuto che qualcuno lo avesse suggerito in cronaca, sarà per la prossima volta.
[Luca Cipriani]