PER FALCONE E BORSELLINO

Falcone e Borsellino

L’ANNIVERSARIO merita una continenza verbale che è doveroso omaggio e rispetto verso il Giudice Falcone e la sua scorta, il Giudice Borsellino e la sua scorta, assassinati dallo Stato – Mafia e di cui oggi si rinnovella il ricordo.

Un ricordo affidato a guitti della televisione di Stato con quella faccia da semi vedente da “tre palle un soldo” che si chiama F. Fazio, ed i battimano osceni di un pubblico marchettaro che ben rappresenta questa Repubblica di ladri-cialtroni-grassatori, etc. etc.

Mancava, perché ho spento “il bidone”, la Littizzetto con i suoi pruriti ma soprattutto mancava chi ci dicesse che la mafia e lo Stato italiano erano figli di quella mafia siciliana che attraverso il suo boss preparò lo sbarco anglo-americano con al seguito frattaglia varia per la “Liberazione d’Italia”.

Trentanove giorni: tanti ce ne sono voluti agli Alleati per conquistare la Sicilia. Nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1943 gli americani di George S. Patton sbarcano a Gela e i britannici di Bernard L. Montgomery a Pachino. Il 17 agosto le truppe di Patton entrano a Messina; l’isola è presa.

Al di là delle operazioni militari, della scarsa resistenza opposta dagli italiani contrapposta alla furiosa reazione tedesca, degli eccidi perpetrati dai tedeschi e dagli americani, resta sempre sospesa l’eterna domanda: qual è stato il ruolo della mafia nell’agevolare lo sbarco e l’avanzata? Domanda a cui, è bene dirlo subito, risulta difficile rispondere in termini precisi: non c’è mai stato da parte degli americani alcun interesse a svelare la reale entità dell’apporto mafioso, anzi si è cercato piuttosto di minimizzarlo. Ma in termini abbastanza grossolani si può rispondere che la mafia ha giocato un ruolo abbastanza marginale nelle operazioni militari, mentre si è decisamente impadronita delle amministrazioni civili che i militari si sono lasciati alle spalle […].

La marina degli Stati Uniti decide di entrare in contatto con la mafia che, notoriamente, controlla i docks del porto. Due boss, Joseph “Socks” Lanza e Meyer “Little Man” Lansky vanno segretamente a incontrare in carcere Charles “Lucky” Luciano. Il terreno è assolutamente favorevole a un compromesso: i mafiosi, per quanto le autorità statunitensi non se ne rendano conto, sono animati da patriottismo e inoltre gli americani hanno simpatizzato con i loro confratelli siciliani messi in carcere da Mussolini. Lansky, gangster newyorkese, è uno dei pochi non italiani, ma è ebreo, e quindi odia Hitler per le persecuzioni antiebraiche in Europa. Nessuna sorpresa, quindi, quando Luciano dichiara che il porto di New York sarebbe stato completamente dalla parte degli Alleati. E nessuna sorpresa, nemmeno, che le autorità americane non si pongano problemi morali: l’imperativo numero uno è vincere la guerra.

Questa strana alleanza tra mafia e Us Navy è nel pieno della sua attività quando, nel 1943, gli Alleati decidono di sbarcare in Sicilia. Si rendono contro di avere gravissime carenze nell’intelligence: sul terreno non c’è nemmeno un agente, né americano né britannico. L’unica fonte d’informazione è rappresentata dalle lettere scritte dai familiari ai prigionieri di guerra italiani originari dell’isola. Troppo poco.

Luciano chiede di essere messo in contatto con un altro mafioso, Joseph Adonis, boss di Brooklyn che si impegna a reclutare italo-americani con collegamenti in Sicilia. Come sia davvero andata quest’operazione non si sa: la marina ha sempre cercato di nasconderne gli esiti. Quel che si sa per certo, invece, è che alla vigilia dello sbarco il comandante della squadra americana, l’ammiraglio Kent H. Hewitt, scopre di non avere nemmeno un ufficiale in grado di parlare italiano. Ne raccattano sei in fretta e furia, quattro sono originari di New York, e glieli mandano. Sbarcano tra Gela e Licata, con la prima ondata del primo giorno. 

Hanno con loro un elenco di persone da contattare, gentilmente messo insieme dai mafiosi di New York: si tratta di malavitosi, per lo più espulsi dagli Stati Uniti. Uno di questi ufficiali, il tenente Paul A. Alfieri, in seguito dichiarerà: «Furono molto disponibili a cooperare e di grande utilità perché parlavano sia il dialetto della regione sia un po’ d’inglese».

Questa è la storia, piaccia o no.

Ricordare Falcone e Borsellino come fossero le vittime consapevoli ma storicamente inintelligenti del terreno dove andavano ad operare è come dire che la Dc da una parte ed il Pci dall’altra, fossero padroni in casa loro, mentre l’una ed i suoi cespugli erano servi degli Usa e gli altri, ancora più colpevolmente perché tramite i vari Natta e Napolitano si facevano anche pagare, erano servi dell’U.R.S.S.

Nonostante tutto ciò, Falcone e Borsellino e gli Uomini della Scorta vennero massacrati da un potere che si chiamava mafia in Sicilia e Stato a Roma; lo Stato-mafia. Quello di oggi, in altre forme e in altre maniere ma nella medesima sostanza anche oggi operante: e non solo in Sicilia, ma in tutta Italia.

Loro erano nell’immaginario collettivo e nella realtà giudici. A pensare a quelli di oggi, un poco di paragone e di umana “proporzione morale” viene naturalmente.

Non poteva mancare in questa trasmissione della televisione di stato quella figura che corrisponde al nome di Giuseppe Ayala che se ne va a Roma, abbandona il gruppo e diviene, ovviamente, deputato di questa Repubblica di burattini; quell’Ayala, naturalmente compagno e senatore Pd, che non si vergogna di apparire in tv per regalarci la sua verità.

Non sappiamo, perché abbiamo già detto di avere spento “il bussolotto” per lo schifo, se sia intervenuto anche l’ex procuratore antimafia Aldo Grasso, il compagno Presidente del Senato che, dopo aver sconfitto (!) la mafia, è, anche lui come il suo compagno Ayala, approdato a Roma per “terminare” il lavoro a favore del popolo.

Nonostante tutte le cialtronerie ascoltate in questa trasmissione che di sapore e contenuti mafiosi era permeata e criminalmente offerta ai giovani come verità rivelata, resta il ricordo di personaggi di cui questo Stato senza anima e senza coraggio ancora si serve e che sfrutta.

Fino a quando è una domanda che non troverà risposta. Azzardiamo noi: almeno fino a quando la verità non tornerà a essere Verità e la storia, Storia. Con buona pace dei partigiani (del coraggio) di nome Giuseppe Ayala ed Aldo Grasso.

[Felice De Matteis]

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