PISTOIA. Prosegue la rubrica che Linee Future dedica all’approfondimento di temi che molto sbrigativamente vengono etichettati con la dizione di “tematiche ambientaliste”. Sembrerebbe ormai diffusa la teorica consapevolezza, ad ogni livello, scientifico, accademico e forse anche nell’immaginario comune, del superamento netto di quel passato in cui, parafrasando Tommaso Montanari, “sviluppo” era uguale a “cemento”, in cui per “fare” era necessario violare la legge o aggirarla ed in cui i diritti fondamentali delle persone come la salute erano considerati ostacoli superabili e non obiettivi da raggiungere.
Tuttavia le scelte dell’attuale governo Renzi, lungi dal cambiare verso e dal guardare in avanti, verso il futuro, riportano terribilmente all’indietro il nostro paese: il decreto Sblocca Italia, ribattezzato anche sblocca-corruzione, Svendi-Italia o Blocca-città, costituisce la negazione della modernità e dello sviluppo inteso come bene di tutti e non interesse di pochi.
Non a caso una serie di personalità del mondo della cultura, dell’economia e del diritto (tra cui Carlo Petrini, Massimo Bray, Paolo Maddalena e altri non meno rinomati) hanno realizzato un volume (scaricabile gratuitamente qui: Rottama Italia. Perché lo Sblocca Italia è una minaccia per la democrazia e per il futuro), proprio perché la conoscenza e l’informazione sono l’unico mezzo per convincere che “sviluppo è ciò che innalza – e non ciò che distrugge – la qualità della vita”.
Anche Legambiente ha prodotto lo Sbloccafuturo: poche pagine per illustrare ciò che servirebbe all’Italia per ripartire.
In ogni caso oggi cerchiamo di parlare di tutte queste cose con Enrico Guastini, borsista di ricerca presso il Dipartimento di Gestione dei Sistemi Agrari, Alimentari e Forestali, già candidato sindaco di Pistoia per una lista ecologista nonché noto e apprezzato percussionista della Banda Borgognoni. Enrico Guastini ci scrive:
Mi vengono in mente le parole di un comico statunitense, George Carlin, che parlando degli ambientalisti diceva: «Salvare il pianeta? Non abbiamo ancora imparato a prenderci cura l’uno dell’altro e pensiamo di poter salvare il pianeta? È stato qui per miliardi di anni subendo esplosioni di vulcani, deriva dei continenti, inondazioni globali, piogge di meteore; non morirà per qualche borsina di plastica. Il pianeta non va da nessuna parte. Siamo noi che ce ne andiamo».
In altre parole, molte battaglie vengono collocate dall’aggettivo “ambientaliste” in un imprecisato orizzonte distante, mentre in realtà vengono poste in essere in funzione di un interesse squisitamente umano e questo accade perché l’ambiente non è un concetto astratto ma la realtà nella quale siamo immersi.
L’antropizzazione spinta dell’ultimo secolo ha però estraniato l’uomo dal contesto ambientale: per mangiare non dipendiamo più dal terreno che coltiviamo, ma dalla prossimità dei supermercati; l’energia che usiamo non è quella del territorio intorno a noi (legna per scaldare, animali per lavorare, acqua per i mulini) ma la importiamo da altri continenti (petrolio, gas); questa distanza tra produzione e consumo crea difficoltà nell’immaginare il reale impatto del nostro stile di vita.
L’ambientalismo deve quindi svestire l’abito riduttivo di “tutela dell’ambiente” per assumere quello di “gestione del rapporto tra uomo e ambiente”: parlare di Natura escludendo l’Uomo – come è stato troppo spesso fatto da alcuni esponenti di partiti e associazioni –, oltre ad essere concettualmente sbagliato, non può fare presa nella quotidianità di persone abituate a vivere in città e a dipendere da mediatori anche per i bisogni primari.
Una volta fatto questo passo cognitivo, diventerà chiaro che occuparsi della qualità dell’aria accanto agli inceneritori o lottare contro la “chimica vivaistica” significa voler evitare la moltiplicazione di varie patologie dell’apparato respiratorio e digerente, così come bloccare l’impermeabilizzazione dei terreni significa ridurre i danni a persone e cose causati da alluvioni e frane.
Affrontando il tema delle energie rinnovabili stiamo parlando di decine di migliaia di posti di lavoro (stimati dalla Bocconi) e una maggiore indipendenza da Paesi esteri, minori infrastrutture per trasporto dell’energia e quindi minore dispersione e maggiore efficienza.
Tutelare varietà locali di piante e animali significa mantenere la biodiversità (e quindi la stabilità degli ecosistemi), mentre i paesaggi tradizionali contribuiscono a rimarcare le peculiarità storiche e culturali dei diversi territori.
Salute, economia, finanza, lavoro, politica estera, tecnologia, sviluppo, benessere, cultura, turismo. Di questo parlano gli ambientalisti.
Se l’ambientalismo in Italia non ha mai avuto vita facile è solo per miopia, di una porzione dell’elettorato da una parte, di certi esponenti del mondo ambientalista dall’altra.
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P.S. – Una provocazione per concludere: è vero che l’Isis si finanzia con il petrolio iracheno e siriano? Se così fosse, ogni volta che facciamo il pieno noi finanziamo questa gente. Una politica economica e industriale più “ecologista” e basata su energie rinnovabili (come i Verdi hanno proposto per una vita) avrebbe evitato che i nostri soldi venissero usati per comprare le armi che oggi ci vengono puntate contro.
Vedi anche:
One thought on “PERCHÉ L’AMBIENTALISMO RESTA SEMPRE IN MINORANZA? – 10”
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