PISTOIA-SERRAVALLE. Martedì scorso il Consiglio Sanitario della Regione Toscana, organo tecnico consultivo dell’Assessorato alla Salute, ha dato il via libera alla somministrazione della RU486, la nota pillola abortiva, anche nei consultori o ambulatori, escludendo il ricovero ospedaliero. Si tratta del primo caso del genere in Italia. Il Consiglio ne spiega la metodologia: la donna che ne fa uso dovrà restare per due ore in osservazione presso il consultorio cui si è rivolta; dopo 48 ore dovrà tornare per assumere un secondo farmaco e dopo 15 giorni dovrà effettuare una visita di controllo.
Tale decisione, del tutto superficiale in quanto da una parte banalizza il concepimento e la gravidanza dall’altra ignora completamente la salute delle donne, denota solo un approccio ideologico alla questione. Infatti prima di tutto non tiene conto del fatto che il Consiglio Superiore di Sanità, composto dai massimi esperti del nostro Paese, esprimendosi per ben tre volte sul tema, ha ribadito che per la tutela della salute della donna è necessario che l’assunzione della pillola avvenga in ambito ospedaliero “fino alla verifica dell’avvenuta espulsione”.
In secondo luogo non considera che l’AIFA, l’ente farmacologico italiano, prescrive anch’essa per la RU 486 il regime di ricovero. Infine dimostra che tale Consiglio Sanitario, con in testa il governatore Rossi, si atteggia ad autorità specialistica indiscussa in materia di aborto farmacologico, quando però evidentemente ne ignora del tutto la letteratura scientifica, il tasso di mortalità, gli effetti collaterali e gli eventi avversi: infatti, secondo dati scientifici, nel mondo sono circa una trentina le donne morte a seguito di aborto chimico, molte delle quali a causa di emorragie improvvise.
Permettendo l’aborto farmacologico al di fuori delle strutture ospedaliere appare chiara la volontà politica di superare la legge 194 per arrivare alla diffusione dell’aborto a domicilio, con il rischio tutto ideologico di equiparare la gravidanza a un mal di denti o a un mal di testa da combattere con un farmaco o a scambiare la RU486 per un “metodo contraccettivo”. Conseguenza di ciò è la banalizzazione di un evento drammatico che purtroppo determinerà ancora di più la solitudine della donna.
Elena Bardelli
Fdi-Alleanza Nazionale