pisciate italiane. «AFFACCIA BEDDA E PISCIAMI ’NTRA N’OCCHIU QUANTU TI VÌU LU PIRIPÀCCHIU»

«Bella, affacciati! E pisciami in un occhio quando ti vedo il piripipàcchio» che, in siculo, è sinonimo di stìcchiu, la passera dei toscani. Un’interessante sentenza che ha origine da Sarcofago City ed è destinata a rivoluzionare il concetto di “atti osceni i luogo pubblico”


Pistoia sa sempre come connotarsi quale capitale della cultura


POVERI NOI! SE MAI L’ITALIA FU

A QUESTO PUNTO NON C’È PROPRIO PIÙ


 

Il volume da cui è tratta la citazione del canto siciliano

 

Me lo insegnava il segretario generale (l’ultimo vero di quella categoria) del Comune di Quarrata, il dottor Giuseppe Guggino, nativo di Caltavuturo, provincia di Palermo.

Era il 1975. Il Mazzanti (ossia il  fu-sindaco quarratino disonorevole ai sensi dell’articolo 54 della Costituzione) aveva 20 anni e tanti discorsi d’aria fritta che non ha mai perso; e il Romitino, or sindaco in mano al Mazzanti, aveva appena un anno e teneva il ciuccio in bocca (è nato il 14 novembre 1974). Ed era il tempo in cui il Gabriele se ne stava ben lontano dall’aver falsificato 1.015 firme di elettori toscani per il rinnovo del consiglio regionale.

La SS Gori, al contrario, si esercitava all’università per farsi dottorA e poi, dopo essere fiorita quale margherita, per realizzare un programmino inutile in 10 anni di nulla di cui oggi si vedono i deliranti effetti sul territorio ed oltre.

Non è però di questo che vorrei parlarvi, ma di una perla/pirla, caratterizzante della in-vivibilità della provincia “più peggio” d’Italia – come di recente battezzata dal Sole 24 Ora. Intendo Pistoia con il suo blasonato capoluogo di Sarcofago City.

L’occasione me la ha fornita un lettore che si contenta di restare anonimo. Il quale, due giorni fa mi ha spedito l’interessante notizia che vedete nell’immagine di apertura.

De minimis non curat praetor, è un principio del diritto che, liberamente tradotto, significa «il pretore non può occuparsi di tutte le pisciate». Principio del diritto santamente vero: e vi spiego perché.

Negli anni 70-80, conoscevo, personalmente e molto bene, un magistrato che, dal tribunale di Brescia si era fatto trasferire in un tranquillo paesone del Mantovano, Asola, come pretore del luogo.

Un giorno, mentre eravamo allegramente a pranzo dinanzi a un timballo di riso pieno di ciccia, il discorso cadde su un processo che quel pretore aveva dovuto celebrare a carico di un ubriaco sorpreso a pisciare, a notte fonda, alla saracinesca di un bar della zona.

Qualche solertone, di quei che non sanno che cazzo fare, lo avevano beccato, redarguito e denunciato per la solita zuppa degli atti osceni in luogo pubblico. Proprio come la storia della pisciata in autostrada di cui sopra.

Palazzo del Tribunale di Pistoia

Orrore e raccapriccio. Era anche un’espressione assai cara e usuale per quel pretore là.

Domanda mia: «E tu, che cosa hai fatto?». Risposta sua: «L’ho assolto e mandato tranquillamente a casa. Non potevo mica occuparmi di una pisciata come fosse un problema vitale per il mondo! Tra l’altro gli avevo chiesto perché si fosse fermato a urinare alla saracinesca del bar; e lui, con l’ingenuità di un bimbo, mi aveva risposto: “Signor Pretore… Mi scappava la pipì. Mi sono girato intorno e ho visto l’insegna… Bar Cessi…». E lì l’aveva fatta.

Sonora risata a tavola e avanti a tutta forza con il timballo. Non è una storia e Cessi è cognome vero e di quelle zone.

Dunque da questo potete vedere che, davvero, “il pretore non si occupa di pisciate”. Ma un altro detto famoso di Cicerone, summum ius summa iniuria, è un aforisma giuridico con cui si vuol dire che l’uso rigoroso e indiscriminato di una regola o l’applicazione rigida di una norma, possono diventare una tremenda ingiustizia, anche mortalmente/moralmente offensivissima, come – credo – nel caso così magistralmente chiarito dalla Suprema Corte.

E vi pareva che Pistoia, anche in questa circostanza, non fosse all’avanguardia? Dotata di un tribunale a mio parere peggiore dell’inquisizione quanto a beghinismo persecutorio e punitivo, soprattutto esercitato contro chi esercita il vero libero pensiero e i diritti  di cui all’art. 21 della Costituzione (a mio parere i giudici pistoiesi non lo hanno neppur letto all’università, posso pensarlo?), i magistrati di qui, con il loro rigor (non moralis, ma mortis, idest/cioè: asfissia cerebrale, ben evidente anche quando si inventano, di sana pianta, lo «stalking giornalistico» contro Linea Libera), fanno finire una “pisciata in autostrada” direttamente in Cassazione.

Amore in strada di notte nelle vie del centro cittadino. Ve lo ricordate, sepolcri imbiancati di Pistoia?

Perché, di fatto, con il loro moralistico rigore, che non è uguale per tutti i cittadini pistoiesi (ma solo per alcuni di loro, specie se sgraditi), hanno spinto la “vittima pisciatrice” a cercare giustizia nel peggiore dei luoghi possibili, la Suprema Corte, che fa anche rima con morte, non di rado, della vera giustizia.

Tutta insieme mi pare una vicenda da processo di Kafka (ma forse, più giustamente, di cacca). Pensate che questi bravi tutori della pubblica moralità a Pistoia non hanno mosso un dito per i due giovini di buone speranze che nei mesi scorsi stavano trombando di notte in pieno centro e addirittura parlavano con gli abitanti della zona che si erano mobilitati perché non riuscivano a chiudere occhio, stanti i muggiti di Pasife entrata (come scriveva Dante) nella vacca.

E se qualcuno pensa che sia, questa, un’espressione «incontinente», può pensarlo solo perché lui stesso è un emerito asino senza istruzione che invece di leggere Dante direttamente, se lo ascolta in estasi dalla bocca di Roberto Benigni. Ripeto: un asino. Del che il mondo di oggi è pieno.

Anche questo è un aspetto pistoiese di notevole rilievo: ogni giudice fa come gli pare e nessuno dice niente a nessuno, anzi si puntellano gli uni gli altri alla faccia dei loro datori di lavoro; quei cittadini che li pagano per poi essere trattati, in aula, non di rado, come cani in chiesa. E purtroppo scrivo quello che vedo in questa città.

Lo stesso procuratore generale della Cassazione ammonisce: l’art. 21 della Costituzione è sacro. Ma andate a spiegarlo a certi PM e sostituti che vivono al terzo piano del tribunale…

Pensate solo al fenomeno Claudio Curreli da me continuamente citato e assolutamente ignorato da: il dirigente della sezione penale Stefano Billet; il PM capo Tommaso Coletta; il presidente del Tribunale Maurizio Babarisi; l’ordine degli avvocati di Pistoia e oltre; la Camera Penale di Pistoia e oltre. Così può bastare per accendere un cerino sulla realtà pistoiese?

Tacito scriveva corruptissima re publica plurimae leges: in uno stato marcio ci sono montagne di leggi, che ovviamente non servono a nulla. Ma forse per l’Italia di oggi occorrerebbe dire re publica italica pessimi magistratus. Che è la stessa cosa detta con parole diverse.

Torno alla citazione iniziale, assai appropriata.

Affaccia bedda e pisciami ’ntra n’occhiu
quantu ti viu lu piripacchiu!
Ora ca ti l’haju vistu, trasitìnni,
ca l’ha quantu la vucca d’un pagliaru!

I due versi finali della quartina disegnano alla perfezione lo squallore dello stato indemocratico in dissoluzione e delle «autorità costituite» di cui parla sempre, con tanta enfasi, la Gip Patrizia Martucci.

Il carrettiere siculo, che invitava la sua bella a mostrargli la passera, sembra descrivere alla perfezione uno stato-fidanzata in disarmo: «Ora che l’ho vista (la tua passera) – dice l’uomo –, lèvati di torno, vàttene…». E aggiunge, demoralizzato: «Perché è larga quando l’ingresso (la bocca, vucca) di un pagliaio!». Requiem aeternam.

Ricordo ai giudici che mi leggeranno, che lo stesso chiacchieratissimo Giovanni Salvi, amico – mi dicono: è vero? – del fu PM Dell’Anno, riconosce il valore dell’art. 21 citato…

Edoardo Bianchini
[direttore@linealibera.it]


Per i curiosi il pretore di Asola non è una mia invenzione. Era persona concreta e reale: mio cognato


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