pistoia-elezioni. TRA GESTIONE DEL PATRIMONIO SIMBOLICO E RICERCA DELLA RAPPRESENTANZA

Palazzo di Giano

PISTOIA. Ben 22 liste e 9 candidati a sindaco saranno presenti alle elezioni comunali dell’11 giugno.

Il proliferare di liste e di candidati a sindaco non sono il segno di un sistema politico locale dinamico, ma la testimonianza della profonda crisi della rappresentanza determinata dalla crescente frammentazione della nostra società.

Le vecchie forme della politica non sono più in grado di ricomporre i diversi interessi in una fase in cui la mano invisibile del mercato è diventata, anche nel nostro territorio, sempre più ingovernabile.

È possibile, tanto per fare qualche esempio, una mediazione fra gli interessi dei vivaisti e l’emersione del lavoro nero, o fra i commercianti del centro storico e lo sviluppo di un serio trasporto pubblico, unico strumento per abbattere le polveri sottili che, insieme all’uso intensivo dei fitofarmaci, portano Pistoia ai primi posti in Italia per decessi per tumore?

Gli esempi si potrebbero moltiplicare in riferimento all’utilizzo selvaggio delle falde acquifere, allo smaltimento dei rifiuti, all’uso del territorio, ma quello che emerge è sempre l’impossibilità di una mediazione istituzionale e di conseguenza la non rappresentabilità dei soggetti che non hanno affari da tutelare.

La giunta uscente, del resto, si è semplicemente limitata a prendere atto dell’impossibilità di trasformare il conflitto di interessi in innovazione sociale, scegliendo di fatto di subordinarsi ai poteri forti presenti in città come unica via per dinamizzare una realtà altrimenti stagnante.

Ma l’impossibilità della rappresentanza non è solo determinata dalla pervasività del mercato. Le trasformazioni sociali indotte dalla crisi economica hanno fatto prevalere, anche nella nostra città, il lavoro nei servizi rispetto a quello direttamente produttivo con l’incremento enorme dei soggetti coinvolti nella comunicazione, nelle cure sanitarie, nell’industria del divertimento, nell’educazione ecc.

Carlo Dami dei Cobas

Si è venuta così configurando una società in cui è stata distrutta ogni distinzione fra politica ed economia rendendo obsoleta la forma separata della rappresentanza agita mediante i partiti ed i sindacati, la cui crisi è mascherata solo dal fatto di essere ancora capaci di gestire un patrimonio simbolico (il partito come mediatore degli interessi particolari e il sindacato in rappresentanza del lavoro) che non ha più alcuna rispondenza nei processi reali che attraversano la nostra società.

Non è che a livello di giunta comunale non si sia tentato di ridare forma alla rappresentanza, ma si sono messe in campo alcune pratiche fallimentari come ad esempio la cosiddetta democrazia partecipata che è stata ridotta a consultazioni i cui esiti, per problemi di bilancio e/o per subalternità al mercato, sono stati puntualmente contraddetti.

Invece di sperimentare la cessione di pezzi di sovranità a organismi autorganizzati, di finanziare attività autogestite, di sperimentare forme di reddito sociale e nuovi servizi sociali per i cittadini vecchi e nuovi, investendo i soggetti reali di poteri decisionali, si è cercato di incanalare la critica nell’ambito delle compatibilità finanziarie sovradeterminate dai decisori politici ed economici.

Con queste considerazioni non voglio sostenere una statica e inefficace contrapposizione tra realtà sociali e istituzioni. La giunta comunale ha privilegiato i processi formali del potere istituzionale invece di favorire la piena autonomia delle realtà sociali che si muovono nel nostro territorio, facendo da tappo ad ogni ipotesi di trasformazione nel rapporto dialettico fra queste realtà e il sistema politico.

Per attuare un vero cambiamento adeguato all’attuale configurazione sociale era invece necessario dinamizzare il livello istituzionale mettendolo in rapporto con i conflitti sociali, sperimentando nuove forme dell’agire politico-sociale-culturale che mettessero al centro le forme di autogestione e autorganizzazione presenti nel nostro territorio.

A causa della mancata volontà di rapportarsi a queste pratiche (i motivi sono molti, non ultimo quello di una cultura politica obsoleta), il livello istituzionale si è ridotto a fornire ai cittadini nient’altro che il brodino riscaldato di una partecipazione fasulla.

Attaccare la rendita urbana, aprire a forme di reddito sociale, investire nei servizi, attuare percorsi di autogoverno, favorire l’autorganizzazione e l’autogestione.

Questi i temi su cui aprire vertenze per un diverso governo della città. Il tempo è maturo per nuovi rapporti fra gli uomini: un’altra città è possibile.

Carlo Dami
Portavoce Cobas

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