Personalmente io non sono un coraggioso né un eroe: ma una persona che non rinuncia alla sua dignità umana e professionale, quello sì. E me ne faccio orgoglio e usbergo. Per questo non ho affatto intenzione di chinare il groppone alla forca caudina della fragile Procura della Repubblica di Pistoia che da sempre non funziona e mai ha funzionato
1° aprile 2021 a Pistoia
SONO NATO a Montorio, borgata Pìseri, faccia a faccia con la chiesa di Santo Stefano a Lucciano. Lì sono stato battezzato e sono sempre stato tra le mani di don Giuliano Mazzei, sampierano della giurisdizione dell’attuale proposto di Agliana Paolo Tofani.
Il mio compagno di elementari e medie chiamarlo don mi fa impressione, perché il suo filocomunismo cozza con il mio concetto di religione: una visione arretrata del mondo, la mia, e assai poco progressista; non certo come quella della Mafia di San Gallo, dove il teorico prìncipe fu il cardinal Martini (a me non simpatico, come del resto i troppo intellettuali di sinistra), e il pratico un certo signore tedesco dal nome inquietante, monsignor Ivo Fürer, che mi rammenta la svastica, benché di color rosso.
A Orio, dove c’era il castello (= il gruppo centrale delle case) e la bottega di alimentari di Realmo, c’erano anche la bottega e la casa dello zi’ Cianca e di Icilio il falegname, con qualche scalino per entrare; e poco più in basso la casa della zia Sestilia, che aveva sposato uno dei fratelli Bracali, razza di mia nonna Eugenia, madre di mio padre Lamberto.
La zia Sestilia aveva avuto due figli – maschio e femmina. Il maschio si chiamava Adone, non era bello come un Adone, ma era una brava persona. E durante la guerra d’Albania, traversò, senza correre, come se stesse passeggiando, una passerella di legno su un fiumiciattolo mentre le pallottole degli albanesi, giustamente inferociti per l’invasione della loro terra, fischiavano da ogni parte.
Passò indenne, senza neppure un graffio. Il suo comandante commentò: «O è un eroe o è un pazzo». Era un pazzo, lo dico subito. Suo padre, uno dei 12 figli della nonna Clementina, sposata con il nonno Milio (= Emilio) era morto non so se in guerra o per cause di guerra.
Oggi l’amico Mauro Banchini, giornalista professionista di ispirazione cattolica, ha scritto un bellissimo articolo sul coraggio dei giornalisti. Ve lo consiglio: lo trovate a questo link. Leggetelo con attenzione, perché merita sotto ogni punto di vista, sebbene concluda con una esortazione non al coraggio, ma alla coscienza del proprio non-coraggio: quello dei giornalisti pistoiesi che si inchinano al potere per vile obbedienza e salvaculismo.
Già, la coscienza: una dote che non tocca a tutti. Anzi, va a pochissimi: sia giornalisti che uomini delle istituzioni, fra i quali, in primo luogo, voglio porre i giudici, quando con certa loro spocchia, si comportano non come Costituzione comanda, con terzietà irreprensibile, ma come dei gabellieri medievali tipo quelli di Frìttole in Non ci resta che piangere: chi siete, quanti siete, dove andate, cosa portate, un fiorino.
Personalmente io non sono un coraggioso né un eroe: ma una persona che non rinuncia alla sua dignità umana e professionale, quello sì. E me ne faccio orgoglio e usbergo.
Per questo non ho affatto intenzione di chinare il groppone alla forca caudina della fragile Procura della Repubblica di Pistoia che da sempre non funziona e mai ha funzionato; da cui – poveri noi soggetti al giudice naturale – tutto entra e esce senza controllo. La conosco, questa Procura, dal 1967, èra di Giuseppe Manchia e la ho subìta, mio malgrado, fino al provvido signor Claudio Curreli e alla signora Patrizia Martucci: ne conosco più che qualcosa. Ne ho ancora tante da dire.
Un paniere di vimini, attingerebbe più acqua da un pozzo che non la Procura di Pistoia, che, con i suoi Pm, si permette – in maniera vergognosa e incontestabile: e l’ho dimostrato documentalmente – di dire in faccia al dottor Coletta che i suoi ordini, impartiti ai subordinati, possono essere tranquillamente ignorati dai subordinati. Come se non contassero niente.
Io non mi fido – e ne ho il pieno diritto – di questa Procura e di tutti questi Procuratori ai quali mandi la roba e ti perdono i fascicoli – o alcuni, forse, ne insabbiano; ne fanno sparire.
La giustezza inconfutabile della mia opinione (non mi fido non è reato: la resistenza, ma non quella dell’Anpi, ce lo ha insegnato) la ha fornita lo spettacolo poco onorevole della prima udienza del mio maxiprocesso-invenzione (rinviata per vizi di notifica) di ieri l’altro, martedì 30 marzo scorso.
Il signor Claudio Curreli, il grande inquisitore, il gestore di un vero e proprio cumulo di immondizie, raccattate, senza capo né coda, da 16 sedicenti vittime, era assente.
Si sono presentati, al suo posto, il signor Giuseppe Grieco e il signor Tommaso Coletta. E precisamente a fare cosa? A sostenere che non apprezzavano affatto la decisione del Tribunale del Riesame sull’invenzione di sana pianta di un reato che non esiste (lo stolking giornalistico), ma che serve loro perché occorre soffocare chi, come me, vuole vivere la propria vita senza essere condizionato da ragionieri/Ctu del Tribunale stesso, e da Comuni, come quello di Quarrata, i cui dipendenti firmano, in quattro, false certificazioni, permessi e concessioni o condoni non dovuti. Tutta roba sulla quale la fragile Procura di Pistoia è del tutto informata, ma sulla quale non intende in alcun modo indagare e decidere in ossequio al dovere di esercitare l’azione penale.
La storia si ripete: solo che io non intendo farmi giudicare da chi, in tutta questa vergognosa vicenda, non ha svolto nemmeno un decimo delle indagini con cui aveva l’obbligo di procedere prima di rovesciarmi addosso l’intera discarica del Cassero.
Tra me e la Procura di Pistoia c’è incompatibilità: come tra il signor Claudio Curreli e la dottoressa Nicoletta Maria Curci, sua gentile consorte: due magistrati che operano in settori affinissimi all’interno dello stesso tribunale.
Mi spiace per tutti coloro che vorrebbero vedermi felicemente defunto, ma traverserò la passerella dell’Albania sulla quale Adone mosse i suoi passi come a passeggio. E dalla quale uscì illeso.
La domanda è: ma siamo nella realtà di un paese davvero democratico o si tratta solo di uno scherzo da 1° di aprile 2021?
Edoardo Bianchini
[direttore@linealibera.it]
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Ci vorrebbe proprio
un’umile lavanda dei piedi
OGGI È anche il giovedì santo, giorno in cui, per tradizione, Cristo lava i piedi ai suoi. Io credo che, in segno di umiltà e di ravvedimento, dovrebbe essere don Piergiorgio Baronti, il proposto di San Michele a Bottegone, a prendere il catino e lavare i miei piedi con tutta la cura che richiedono.
Don Baronti – anche se ancora non so bene per cosa – mi ha querelato: forse perché ho pubblicato una lettera di gente del Bottegone che si lamentava del fatto che, con la Capannina a tutta canna, non riusciva a dormire. Grave colpa criticare un prete, specie se aggressivo come il Baronti.
Senza indugio frapporre, il signor Claudio Curreli, animato da una spinta evidentemente punitiva, mi ha indagato (ma su che e cosa? su chi si lamenta di non riuscire a chiudere occhio?) e ha concluso che, pericoloso e delinquente qual sono, ho infangato l’onore e il decoro di don Baronti.
Caro signor Curreli, si informi e bene, come del resto è suo dovere. L’onore e il decoro il signor Piergiorgio Baronti li ha già messi da parte da un bel po’: con il suo fare politica (e non sarebbe poi tanto quella brutta storia dei 5 Stelle a Badia a Pacciana) e con il suo fare sport non come un ministro di culto, ma come un aggressivo bullo da spalti, blasfemo, aggressivo contro il direttore di gara e violento.
Rilegga bene i giornali. Parlo del Tirreno e della Repubblica. E giudichi quanto può essere l’onore e il decoro di un becero per difendersi dal quale fu fatto intervenire il 112.
Se Dio (che a mio avviso non c’è) ci indaga, quando moriamo, con i metodi di cui si avvale la Procura pistoiese, siamo tutti condannati sin da sùbito all’eterna dannazione. Perfino quelli che sentono, come missione, l’obbligo morale imperativo di salvare dal peccato le prostitute delle rotonde di Agliana.
Pace e bene a tutti. E Buona Pasqua, augurando all’assessore Agnellone di Agliana di non finire – come i suoi simili – in costolette e arrosti vari!
Christòs anèsti, alethòs anèsti! E – detto fra noi – ebbe un gran coraggio…
Consultare
L’arbitro chiama i carabinieri: «Il prete sugli spalti mi insulta»
Don Piergiorgio Baronti «Lo so, ho un po’ esagerato ma quello non sa arbitrare»