PISTOIA. Dice più che bene un commentatore compulsivo come Antonio Pileggi, che si autodefinisce così, in un suo bel post su FB: “faremo un salto di civiltà quando un avviso di garanzia non sarà più una notizia… un’indagine non è una condanna… un atto amministrativo non corretto non è necessariamente illegittimo…”.
C’è tutto in queste parole, ma anche tutte le cose che in realtà non ci sono.
Nella vicenda che per una giornata ha scosso la piccola comunità pistoiese con l’annuncio di devastanti tsunami a danno di sindaco e giunta (la locuzione associazione a delinquere suona proprio male…) non ci sono avvisi di garanzia – e l’ha affermato il procuratore Canessa –. L’indagine non è niente di nuovo e l’atto amministrativo oggetto dell’indagine è da provare che sia non corretto, figuriamoci com’è lontano dall’essere illegittimo, almeno fino ad oggi.
Alessio Bartolomei, consigliere d’opposizione, in conferenza dei capigruppo ha detto di aver saputo dell’imminente irruzione della pesante vicenda giudiziaria, da una sua dipendente, quindi in modo casuale, ufficioso, sul posto di lavoro.
E se la persona, cui si riferiva Bartolomei, avesse raccolto le informazioni che riguardaavano la Giunta proprio frequentando ambienti tipo le Feste dell’Unità?
E allora la soffiata mefitica sarebbe stata promossa nell’ambiente della politica… Intanto il procuratore della Repubblica ha annunciato l’apertura di un’indagine per violazione del segreto istruttorio.
Probabilmente tutti, attori e interpreti, dovranno adesso spiegare qualcosa di più al Procuratore, di certo non si può proprio mai andare al mare tranquilli.
[Paola Fortunati]
UNA DONNA E TANTE…
PASTE, BRIOSCE E BOMBOLONI
USCIAMO dai fumi di Londra e parliamoci fuori dei denti, dato anche che questo quotidiano si batte per l’estrema chiarezza.
La collega Fortunati, nel pezzo che precede, parla prudentemente, dicendo che si potrebbe ipotizzare di informazioni raccolte «frequentando ambienti tipo le Feste dell’Unità».
Prudentemente, abbiamo scritto: ma questo, a quanto ci risulta, è stato più o meno detto.
Proprio Feste dell’Unità. Perché questa è Pistoia, una lavanderia di gora dove solerti massaie (con tutto il rispetto per le massaie serie e casalinghe) si trovano e conversano e raccontano di politica, puttanate e corna con la stessa disinvoltura con cui si parla di paste, briosce e bomboloni.
È certo che una indagine è in corso: succede in tutte le migliori famiglie, vero Pileggi? È certo che qualcosa si è mosso: o il dottor Canessa non avrebbe inviato la nota che vi mostriamo qui a fianco. Ma è certo anche che il tribunale di Pistoia non è un ambiente protetto e riservato: e fa bene, il Procuratore Capo, ad aprire «un procedimento per violazione del segreto di ufficio».
La situazione è di solare evidenza. E non è una novità per un palazzo di giustizia che è sempre stato – per quel che ne sappiamo – fuori controllo, come una trottola che gira male.
La lottizzazione del potere per decenni e decenni, il ricircolo di dirigenti e impiegati che si sono susseguiti nel tempo e che hanno girato per le stanze pistoiesi indisturbati perché (e diciamolo!) così si voleva “dove si puote ciò che si vuole e più non dimandare”, hanno portato all’attuale situazione e la hanno corroborata: una condizione in cui ora è tutto sputtanato e compromesso, perché, qualunque cosa accada, in un senso o nell’altro, chi ha voluto smuovere le acque c’è riuscito e ha destabilizzato il normale iter dei fatti e delle indagini. E poco importa chi e perché.
È una situazione – quella della violazione del segreto d’ufficio – che viene da lontano. Noi la abbiamo vissuta personalmente un quarto di secolo fa quando, decisi a denunciare un abominevole illecito penale, ci rivolgemmo alla Procura Generale di Firenze scrivendo che “non avevamo fiducia in quella di Pistoia”.
Allora era capo il dottor Manchia che – ce ne ricordiamo come fosse ieri – ci interrogò in maniera perentoria e aggressiva perché intendeva avere lumi precisi (e ci minacciava di mandarci sotto inchiesta) riguardo alla nostra “mancanza di fiducia”.
E la nostra risposta fu chiara e semplice: in primo luogo avere fiducia non era un dovere stabilito dalla legge; in secondo – queste furono in sostanza le nostre parole, dinanzi alle quali il dottor Manchia trovò facile rasserenarsi – “quel che si fa e si dice nel tribunale di Pistoia, dopo mezza giornata si risà dalla Sala, al Globo e per tutto il centro storico”.
L’epilogo non è funzionale al fatto in sé e per sé e lo tralasciamo: ma oggi è ancora una volta evidente che dalle stanze di piazza del Duomo esce, più che facilmente, di tutto e di più. E perciò non è inverosimile l’ipotesi secondo cui interi fascicoli siano stati dati a mano, da fotocopiare a piano-terra: immaginatevi con che risultati, se nei fascicoli sono sempre contenuti anche documenti essenziali e riservati.
Se la passione politica è tanta (e in questa città-gora lo è), è chiaro che qualcuno ha “esportato” l’inesportabile; ha violato il segreto d’ufficio; ha sparso al vento piume non più prendibili: insomma, ha inquinato l’ambiente e ha infangato comunque la serietà delle indagini offuscando la giustizia e la sua credibilità.
Ci auguriamo che davvero il dottor Canessa – giunto a Pistoia dopo vicende “non punto belle” e ben note a tutti, ma da molti sottovalutate per scandalosa convenienza – riesca a “chiappare” e mettere alla giusta gogna chi, mentre lava i panni alla gora, parla e conversa e racconta ai quattro venti «di politica, puttanate e corna con la stessa disinvoltura con cui si parla di paste, briosce e bomboloni».
Ce lo auguriamo perché siamo stufi di questa Italia e di questa Pistoia che puzza d’Italia dalla testa ai piedi.
Edoardo Bianchini
Ci sono burloni in giro che sostengono che tutto dipenda dal cuoco della Festa dell’Unita’ di Santomato, e dalle polpette che preparo’ al nostro sindaco in occasione della sua visita alla festa. Fantasie estive di buontemponi.
Caro Direttore, io penso che se Canessa vorrà, sarà semplice capire chi ha diffuso certe notizie riservate, oltretutto in modo grossolano. Basterà che riunisca i signori degli uffici dove le carte sono passate. Non credo si tratti poi di molta gente. Quel che è certo è che i tribunali italiani lavorano ancora in modo arcaico, ancora faldoni cartacei, quando, ai tempi del computer e della pec tutto potrebbe restare confinato nel pc del Procuratore capo. Tra l’alro l’informatica è la chiave di volta per ridurre tantissimo i tempi e rendere i tribunali e la Pa in generale, molto più efficenti di ora. È solo questione di volerlo fare.
Quanto al Pd ormai vien da chiedersi che tipo di entità sia. Stendiamo un velo pietoso e speriamo che alle prossime elezioni si riesca a cacciarli a pedate.
Massimo Scalas