PISTOIA. In un tranquillo pomeriggio di fine agosto, passeggio per la sorniona cittadina che nella sua indifferente, silente levità accoglie gli sguardi di qualche turista incuriosito; qualche negozio è ancora chiuso, in alcuni leggo affittasi, altri bandoni non apriranno più fino al prossimo miracolo economico.
Mi piace trovarmi agli incroci di qualche scorcio così caratteristico, piccole strade che raccolgono storie passate, muri antichi impregnati dei passi e delle voci che nel tempo hanno segnato la storia di Pistoia.
Passeggio con l’animo stanco, quasi disincantato, in quella disposizione di spirito dopo una fatica erculea, in questo caso una sedimentazione temporale che rende greve il passo dopo un tempo di vicissitudini.
Pistoia mi appare stanca, anch’essa come una trasposizione di spirito assume i connotati di un volto segnato, imbellettato nelle occasioni, chiuso in altre, che non lascia più trasparire la sua freschezza, la sua zampillante allegria di un tempo; segno dei tempi mi dico fra me, la città ha assunto il colore delle lenti che abbiamo indossato.
Mi dirigo in cattedrale per trovare un po’ di ristoro ai pensieri cupi, un po’ di refrigerio alla canicola di questo assolato pomeriggio. Incontro una persona che aiuta a pulire la chiesa, che svolge un servizio dopo aver perso il lavoro da diversi anni non ha più ritrovato un occasione di riscatto.
A bruciapelo gli chiedo: “Cosa manca alla città”?
Quasi in modo ingenuo e forse retorico; lui mi guarda e dopo una leggera esitazione mi dice che la città è sporca, non basta pulire con le spazzatrici meccaniche, ma ci sono un sacco di cicche per le strade, un sacco di rifiuti agli angoli come sul viale Adua. Poi mi esprime la sua amarezza di sentirsi abbandonato dalle istituzioni, lui, dopo sei anni di disoccupazione non è stato mai chiamato dal centro per l’impiego per una occasione: solo per rifare il curriculum vitae.
Mi dice che in altri Paesi lo Stato non ti lascia solo! Come dargli torto…
Esco nella luce vespertina che nel suo bagliore inonda di ottimismo ogni cosa, quel lucore che trasfigura anche Piazza Garibaldi, una misera piazzetta diventata il ritrovo di qualche senza-speranza, qualche rumeno emarginato, qualche clochard invisibile che comincia a farsi vedere anche nella borghese Pistoia.
Per la precisione vedo su una panchina una donna anziana sfigurata dal caldo e dalla fatica con dei borsoni appresso, ho quasi lo slancio di dirle perchè non si è rivolta alla Caritas, chiederle se ha bisogno di qualcosa. Fuma e sembra assente. Pistoia città della Cultura, dove la cultura è una diga alla marea montante della stupidità odierna, alla brutalità, alla visione pan economica che sta informando le nostre fragili esistenze..dove sono i segni tangibili della cultura umanistica se si lasciano indietro tanti invisibili….?
Mi fermo in un piccolo e caratteristico negozio di una strada letteraria, un piccolo vicolo dove potresti immaginarti una carrozza che aspetta, una finestra aperta dove un pittore osserva il paesaggio per la sua tela; entro dentro dove un amico mi aspetta per un caffè.
Andiamo insieme al bar da Armando. Gli chiedo qualche pensiero su cosa manca alla città. Carlo mi risponde che dal punto di vista politico, manca la lungimiranza, il guardare in avanti pensando alle prossime generazioni; mi dice con rassegnazione che ha visto pochissime volte il sindaco passare per le stade; una sera fa l’ha incontrato in piazza duomo e come ricordo l’ha scritto sul calendario; poi ha fatto una analogia in cui in mezzo c’’è uno iato immenso paragonado la presenza di un sindaco come La Pira a il nostro attuale..
Dal punto di vista sociale, mi replica che Pistoia è una città molto chiusa dove non c’è solidarietà, c’è molto egoismo.. Naturalmente i Pistolesi sono uomini discordevoli, crudeli e salvatichi. E poi clientelismo, nepotismo, famiglie che mettono dentro figli e nipoti…anche su questo quanto ci sarebbe da dire.. i soliti gruppi, le solite lobby che gestiscono le occasioni per farsi notare, per avere un tornaconto mentre molte persone con talenti sono non apprezzati per quello che valgono; quanti artisti semisconosciuti perché non sono capaci di entrare nelle grazie di qualcuno o semplicemente perché non hanno spazio.
Così una città che potrebbe essere di più, rimane nella mediocrità perché fa comodo tenerla così. Si uscendo dal bar eccomi in strada, in questo sentore cittadino e penso alla solitudine che questa città trasmette nella sua ermetica espressività, un ossimoro solo apparente, una solitudine che culla come un nepente la creatività di poeti che qui abbondano, trovando alimento nella melanconia serale che questa città trasmette.
Piazza del duomo di sera è una elegia dell’ Agorà, dove con sforzo romantico incontri le persone a cui vorresti parlare.
Qualche anno scrissi questi versi pensando a Pistoia:
Pistoia
Un senso di impotenza giace nell’animo tradito del tempo
nella fioca luce,
tremula mossa dal vento
nell’umida giornata,
nell’attesa morsa di un’angoscia.
Balbettare invano il tuo nome
mia felicità, ti cerco nel profondo
ma non so dove luogo radicare.
Nel greve sentire di una pioggia incessante
che pesa sul cuore, nel senso nostalgico di un armonia perduta.
Mia città natale, dove reca in me il dissidio di un tempo perduto
triste lo sguardo su ciò che resta
mentre cangia il paesaggio.
[massimiliano filippelli]
Non a caso viene chiamata Tristoia,
A pistoia vige il “familismo” estremo in cui se non appartieni alle famiglie giuste è come se non esistessi, i pistoiesi in genere sono aristocrtatici e campagnoli allo stesso tempo,fanno gli spocchiosi e si comprano la macchinona con i soldi dei nonni ricchi.
Pistoia è una città senza futuro, basta vedere che i residenti sono in calo (meno di 90000) perché non c’è lavoro e perché nulla mai cambierà nella città immobile e spocchiosa.
Pistoia è anche la città meno turistica della Toscana, ci sono pochi alberghi, poche attrazioni, i negozi sono aperti in orari strani e poche ore,i pochi turisti che arrivano si trovano smarriti e vengono accolti con diffidenza.D’inverno non c’è nulla d’estate neanche e ogni volta che provano a fare qualcosa c’è sempre qualcuno che protesta perché è stata violata la quiete immobile di Tristoia
Pistoia e’ anche la città del “comitato” avverso a qualunque innovazione.
Sulla natura e l’inclinazione di Pistoia e dei pistoiesi, si può discutere fino a domani e, forse, non arrivare a niente. Ovviamente, poi, ognuno ha esigenze ed aspettative connaturate con il proprio carattere, sesso, età, ecc, e quindi diversissime caso per caso. Per quanto mi riguarda, sono nato a Pistoia e sono sempre stato residente qui, addirittura nella stessa parrocchia; sia pure parlando a nome mio e non pretendendo di rappresentare nessuno, affermo con chiarezza che mi sono sempre trovato benissimo in questa città e non mi sarei mai voluto muovere per niente al mondo, sia quando avevo venti anni, sia adesso che ne ho sessantacinque e sono pensionato; e tra l’altro, mi sembra di avere ancora un sacco di cose da fare. Per dire che le occasioni bisogna anche andarsele a cercare, darsi da fare, avere inventiva, non aspettare che le organizzino sempre gli altri e poi strillare perché non va bene.
Se poi qualcuno ritiene, con facile spirito di patata, di affibbiare a questa città il nomignolo di “Tristoia”, le alternative sono due:
1) Togliere il disturbo e andare altrove.
2) Uscire dal piagnisteo sterile e impegnarsi per cercare di cambiare un po’ le cose, senza avere paura, quando occorre, di tirare anche delle poderose sassate nello stagno, o in piccionaia a seconda dei casi.
Piero Giovannelli