C’ERA UNA VOLTA il partito del Vaffanculo, fondato da un comico, che ormai da tempo ha smesso di far ridere, dato che le sue marionette non sembrano capaci neppure di togliersi una caccola dal naso, divise come sono fra loro e immerse in un brodo primordiale che quello delle Cosmicomiche di Calvino è solo un guazzetto di carne bianca senza sapore e per lo più sciapo (o… sciupo?).
Dall’intransigenza nazis/soviet-cino-cubana, ormai siamo – a cottura quasi ultimata – a un “compromissismo senza limiti”, che ogni tanto ha i sussulti e gli stessi scossoni che si sperimentano sulle strade d’Italia dove crollano i ponti Morandi; quella specie di nazione ormai denaturata come l’alcool: ci può stare tutto e il contrario di tutto; bianchi, neri, rossi, verdi e marroni come la merda (e con lo stesso odore e sapore) purché politically correct, che – in termini politici – significa ciò che in toscano fiorentino sanfredianino si incarna nel modo di dire «fare da potta e da culo», cioè accontentare tutto e tutti, che, nel liquame in cui siamo immersi come in un megapesto alla genovese, viene a significare «non essere un cazzo», augusta citazione dal Marchese del Grillo.
È una sorte ben triste e ben trista (fatevi spiegare la differenza dalla ex-minestra Fedeli, direttorA dell’Accademia della Crusca e del Cruschello), che deve conciliare l’inconciliabile: cioè la potta – come dicevamo – e il culo, due elementi che, pur sembrando a volte simili in quanto scorreggiano, sono una cosa ontologicamente (ce lo potrebbe spiegare bene Luigi Lombardi Vallauri) diversissima: dall’una escono bambini (pur se, in futuro, futuri stronzi) e dall’altro escono stronzi o cacaiole varie (che, tuttavia, non saranno ontologicamente mai a rischio di darviniana evoluzione in stronzi umani normali o Lgbt).
Se stamani mi permetto di parlare usando una sfilza di parole per quelle che sono, e quindi se sono un politicamente scorretto e ne do la prova, non solo me ne frego (Mussolini e basta?), ma me ne impipo (Manzoni) e me ne catafotto (Camilleri/Montalbano).
E tuttavia invito formalmente tutti quei beoti imbecilli che inneggiano al politically correct non perché ci credano (Zingaretti, culturalissimo, direbbe «ci credino»…), ma perché sono talmente asini, somari, ciuchi, ònagri, quadrupedi, millepiedi, ottusi, dementi (avendo frequentato le scuole pubbliche dell’insipienza e dell’impreparazione post-sessantottina e liberal-berluscon-piddìna), da non sapere una minchia di filosofia, di sofistica, di seconda sofistica, di ragionamento per assurdo e di letteratura antica e moderna: sicché, da perfetti incólti, si offendono dinanzi alla parola (di per sé innocua) potta e/o culo e, per questo, dovrebbero essere tout court mandati affanculo come diceva quel comico che non fa più ridere il quale, all’indomani delle elezioni, annunciò che i suoi uomini (ma quali?) avrebbero aperto il parlamento come “una scatoletta di tonno”. Gli è mancato, però, l’apriscatole e la gente è ancora costretta a mangiare le Insalatissime Rio Mare, perché il [s]parlamento è più blindato di prima.
Ecco: anche queste 5 Stelle polari del pianeta Nibiru (andate e leggete, se la Fedeli ve lo ha permesso e lo potete fare) fanno, come in America, il burro d’arachidi o lo sciroppo d’acero: un untume o un caramellìo in cui – grazie alla loro augusta ignoranza e assoluta mancanza di direzione – perdono qualsiasi tipo di bussola: e siccome il mondo è più o meno tondo come un coglione/testicolo, sapete bene che non si può navigare senza i riferimenti naturali (sole e stelle) o la famosa invenzione di Flavio Gioia: per chi è omologato in cultura politicamente corretta e non sa – come si dice – un cazzo, la bussola magnetica (secondo la tradizione).
Basterebbero anche le sole Affinità elettive di Johann Wolfgang von Goethe – ammesso che a scuola se ne parlasse e se ne facesse leggere anche solo poche pagina – per far capire, a certa intelligenza politicamente corretta, che l’acqua si mescola bene e sùbito con il vino, ma non con l’olio, con cui fa solo emulsione: per cui tutti vedremo che la gente beve il vino annacquato, ma – se non è demente – nessuno mai trangugerà una pinta di emulsione di oliacqua (a meno che non si parli di manicomio, cosa, anch’essa ormai cancellata dal politically correct di Basaglia e Pirella, per legge: una di quelle – come i provvedimenti antiomotransfo[r]bici – che, tagliando, di diritto, le palle ai maschi (qualche radical scriverebbe così: hai maschi!), li rende simili alle femmine; parifica (di nome e di fatto) il basso ventre dei cosiddetti esseri umani; rieduca i figli normali – secondo i dettami della Cirinnà/Mengele-eugenetica della sola diversità –, e ugualizza tutti e tutto in un pianeta di spallati contenti di essere un’emulsione non di oliacqua, ma di culpotta (che sa tanto di Pol Pot e, tutto sommato, di PolPett, elemento gastronomico in cui di solito finiscono tutte le cacate immangiabili che, per una settimana, pur portate in tavola di giorno in giorno, nessuno ha mai voluto toccare: ovverosia un vero e proprio troiaio).
Ma la vogliamo far finita di credere che potta e culo siano la stessa cosa a ogni effetto? Che scopare o pigliarlo in culo sia un semplice accidente fenomenico-filosofico? Che un maschio e una femmina siano la stessa cosa, quando sappiamo bene che uno ha la prostata (nelle sale d’attesa dell’Usl: pròstica o altra amenità) e l’altra, invece, no? C’è qualcosa di male a essere maschio e femmina? O il male sta nella demente ignoranza di chi vuole che tutto sia uguale, un brodo primordiale di merda che galleggia su tutta la terra come la plastica nel Pacifico?
I credenti si chiedano che cosa ne pensano i loro testi sacri (Bibbia, Nuovo Testamento e Corano hanno idee molto chiare in proposito). Gli atei – che personalmente mi fanno ridere perché non hanno mai dimostrato nulla sulla inesistenza – leggano e rileggano tutto da Darwin in poi e si acculturino un po’ meno approssimativamente. I laici – se non sono secondo etimologia, quel che dice il loro nome, cioè delle “[teste] di pietra”, nel qual caso potremmo farci delle belle massicciate per le strade mai manutenute d’Italia, a costo zero e in decrescita felice – dovranno pur capire che trattare da figlio di Vendola un’incolpevole spermatozoo, acquistato in uno zoo criogenico e piantato su un ovosodo di una venditrice di uova al pari di una contadina dell’Irpinia; impiantato, alla fine, in un forno a microonde/incubatrice (da «incubo», però) estranea, il tutto dietro un immorale/ignobile circolo di denaro che avvalora gli studi di Mengele, fa schifo, fa vomitare, fa venir voglia di non essere mai nati in un mondo che, così, è la somma di una gonorrea cerebrale più che della gomorrea di Gomorra o della sodomia elevata a nobile regime di vita: a cui, peraltro, oggi, è già riconosciuto il diritto all’unione civile. Volete, in più, rieducare anche i normali solo perché sono numericamente superiori rispetto ai diversi? Organizzerete, per questo, corsi di abilitazione professionale e di recupero ad Aushwitz?
Stando le cose a questi punti, tutti i radical dei quartieri alti, “aperti” a tutto, devono intraprendere ancora altri percorsi per l’affermazione di altri diritti civili dopo che le unioni civili sono ormai una realtà assodata.
Ora, per compiere l’opera, dovranno
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battersi perché i bisessuali possano sposarsi con un maschio e una femmina contemporaneamente
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fare approvare una legge per cui tutti i diversi di cervello (dementi, cerebrolesi, pazzi furiosi sotto sedativo h 24, anche se i pazzi non esistono più da Basaglia e Pirella) siano in quota D (= dementi) in tutti i consessi, alla stregua delle Quote Rosa
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far passare un provvedimento per cui tutti gli Lgbt siano in quota in tutti i consessi perché, per tutelare davvero tutte le minoranze, una lesbica/un gay fanno minoranza a sé e così via
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tutelare «i ragni e i visigoti» di La vita è bella (una minchia) di Roberto Benigni, ex Pci e oggi ricco sfondato e – direbbe Corona – Capalbio
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rendere eleggibili in parlamento, pro quota, i malati di Alzheimer, Parkinson, emorroidi, sifilide, trichomonas, candida etc.
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far passare una legge che impone Facebook (o Feci-book?) a tutti perché «dobbiamo essere tutti uguali e stare vicini vicini» salvo insultarci, azzannarci e trinciarci a vicenda con la ferocia apodittica della sinistra progressista che inneggia alla Carola e ai capezzoli liberi all’aria come i radicali liberi
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decretare che ricchi e poveri sono la stessa cosa e che i poveri hanno sul contocorrente, in saldo disponibile, gli stessi soldi di Soros…
e volete che continui o la pianto qui?
Ma nessuno si rende conto di che razza di cazzo di mondo è stato creato intorno a noi dall’intelligenza dei liberal e dei progressisti?
Un amico è stato condannato in tribunale, a Pistoia, perché aveva definito una signora, che ha perso tutte le elezioni a cui ha partecipato, una «politica trombata» qual era realmente. L’espressione era sessista, disse il giudice che parlava solo in napoletano. E che, peraltro, era a Pistoia in punizione – dicevano – in quanto indagato per collusione con la camorra.
Non aggiungo altro su un «mondo sconclusionato» come questo. Quando mi leverò dai coglioni, cantando Il testamento di De André, e molti saranno felici perché finalmente ho tolto il disturbo e potranno liberamente grattarsi il culo senza che io lo scriva, sarà per me un sollievo e nessun rimpianto per niente:
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non ho mai chinato la testa dinanzi a un uomo qualunque potere esercitasse
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non sono mai andato contro la mia coscienza
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non ho mai fatto falsa testimonianza, come non pochi dei miei colleghi giornalisti
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non ho mai rubato niente a nessuno, ma da molti sono stato derubato anche con la ceralacca di avallo della Magistratura santa, sana, libera e indipendente, di questa città-sarcofago
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mi sono sfavato (come dicono i ragazzi) di aver dovuto vivere, io, minoranza delle minoranze, non tutelato da nessuno e malvisto dai politically correct liberal-progressisti.
Oh, sarà una liberazione vera e definitiva! E si compirà in toto il consiglio di un caro amico ordinario all’Università di Parma che, negli anni 80, mi scriveva (le lettere le ho nel cassetto, un giorno potranno essere anche pubblicate): «Bianchini, mandali a cacare!».
PS. Chiedo umilmente perdono a chi, come la mia allieva che non batte pari, Barbara, naturalizzata labronica, mi rimprovererà per troppa libertà espressiva, di – come si dice – parresìa (eppure lei, dalla Gazza, ne dovrebbe aver sentite anche di peggio…). Ma farò – e deve farsene una ragione – come Dante/Benigni: «Dante non si pente più!».
Edoardo Bianchini
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