«QUANDO A PISTOIA LE CASE ERANO CHIUSE»

La locandina della presentazione
La locandina della presentazione

PISTOIA. Sabato 13 settembre alle 17 nell’auditorium Terzani della biblioteca San Giorgio si terrà la presentazione del libro Quando a Pistoia le case erano chiuse della studiosa Grazia Villani. L’incontro sarà introdotto dall’assessore alla cultura Elena Becheri, a cui seguirà l’intervista del giornalista Lorenzo Cristofani all’autrice. L’evento è realizzato con la collaborazione degli Amici della San Giorgio e della Fidapa sezione di Pistoia, continuando nel percorso di approfondimento sulle tematiche al femminile.

Il libro tratta della storia delle case tolleranza a Pistoia, dalla loro istituzione col decreto Cavour del 1860 fino alla loro abolizione con la legge Merlin del 1958. Viene analizzato un secolo di storia (dall’Unità d’Italia fino al primo dopoguerra) grazie alle molte fonti raccolte dall’autrice, che si è servita di registri del tribunale civile e penale, cartelle ospedaliere, archivi della Prefettura, mezzi di informazione dell’epoca e testimonianze dirette, così da delineare un quadro della situazione pistoiese e nazionale.

[balloni – comune pt]

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One thought on “«QUANDO A PISTOIA LE CASE ERANO CHIUSE»

  1. dal libro di Grazia Villani :”All’ombra del Ceppo, in via Tomba, si succedevano quattro bordelli: qui, sotto lo sguardo distratto delle terracotte invetriate di Santi Buglioni, rappresentanti le sette opere di Misericordia corporale, ogni giorno vi si praticava blasfemamente l’ottava.
    Passeggiare per questa strada o anche solo attraversarla era impensabile per chi, uomo o donna, non volesse ritrovarsi in situazioni equivoche o sconvenienti; veniva considerato disdicevole anche il transito in via del Ceppo, perché avrebbe significato costeggiare dal retro i postriboli: così, in genere, persino di mattina, i pistoiesi preferivano evitare l’intero isolato, girando direttamente da via Buonfanti.
    Quei passanti che, meno inclini al conformismo di provincia, osavano accedere alla strada dello scandalo, si trovavano comunque dissuasi dal varcarne il selciato, a causa dell’odore nauseabondo aleggiante nel vicolo: era consuetudine, infatti, per motivi d’igiene sanitaria, che i clienti urinassero dopo aver consumato un incontro sessuale; spesso però, per la loro stessa negligenza o per la fretta delle ragazze, intente a racimolare più marchette possibili, essi non espletavano il bisogno all’interno della casa, bensì all’esterno, lungo la strada o contro i muri, provocando le immaginabili conseguenze di natura olfattiva”.

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