quarrata, gioie & dolori. LECCETO, IL COMUNE, IL MONTALBANO “ZONA DI TUTELA AMBIENTALE” UN CORNO, LA GUERRA FREDDA, GLI ANNI DELLA CORTINA DI FERRO, I VOPOS E I MURI DI BERLINO DA OGNI PARTE: SI VEDE IL MARSUPIO? 13

Cosa pensare di chi consuma il tempo, come comare Venera la zuppidda nei Malavoglia, a sorvegliare dalla finestra chi passa nella pubblica via per informarlo sui confini da difendere a ogni costo? Eppure questo accade sulla collina dove: non puoi fermarti, non puoi parcheggiare, non puoi guardare, non puoi fotografare e te ne devi andare a gambe levate, perché chi ci abita ha perfino il diritto della prima notte di nozze sulle spose. Ma Eriberto da Ficulle non era morto nel Medioevo…?

 

Da vent’anni a questa parte, da quando cioè il clan perròzzico ha occupato l’area alta del luogo degenerandola, appena si ferma, anche un solo istante, lungo la pubblica via, il viandante viene immediatamente raggiunto da una voce di persona che s’affaccia a una finestra della rocca di San Leo-Perrozzi lato Nord, che rivolge al malcapitato una raffica di domande: «Cosa sta cerando? Cosa vuole? Dove va? Chi è? Perché è qui?» e non solo…

GIR’ ICCÙLO, NÙN GUARDARE:

QUA NISSÙNO CI PÒ STARE!


PREMESSA PER LEGALI
DI FACILE PENNA

Sto raccontando fatti. Sto commentando fatti. Sto esprimendo opinioni su fatti. Cortesemente, state alla larga. Appena avrò finito, pubblicherò tutto in un bel volume.


Lecceto-Perrozzi. Queste capannine e piccole costruzioni sono in perfetta regola con la legge?

IL VIANDANTE che andava lungo il Biviere di Lentini, steso là come un pezzo di mare morto, e le stoppie riarse della Piana di Catania, e gli aranci sempre verdi di Francofonte, e i sugheri grigi di Resecone, e i pascoli deserti di Passaneto e di Passanitello, se domandava, per ingannare la noia della lunga strada polverosa, sotto il cielo fosco dal caldo, nell’ora in cui i campanelli della lettiga suonano tristamente nell’immensa campagna, e i muli lasciano ciondolare il capo e la coda, e il lettighiere canta la sua canzone malinconica per non lasciarsi vincere dal sonno della malaria: – Qui di chi è? – sentiva rispondersi: – Di Mazzarò –. (G. Verga, La roba da Novelle rusticane, 1883).

Evidentemente, aldilà della letteratura, ogni luogo, anche sul Montalbano quarratino, ha un Mazzarò che possiede tutto e tutto regola. O anche più Mazzarò. A Lecceto, per esempio, i Mazzarò sono a gruppi: da una parte ci sono i Mazzarò-Perrozzi, proprio sul dorso del contrafforte; più in basso, nella buca e nella depressione dinanzi all’Agriturismo Il Calesse, notissimo in Pistoia e provincia, caro anche ai volontari della Misericordia che v’andavano a cena a gozzoviglia, ma ben noto anche all’amministrazione sin dai tempi (che io sappia) della Sabrina Sergio Gori (perfino gli scienziati della Màgia, le giovani promesse del sapere, compreso il mio figlioccio adottivo russo, Ruslan Senkeev Arkadievic, vi erano ospitati durante la settimana pagata dalla Banca Alta Toscana) c’è il Mazzarò-Bassetti; e più in là, verso il Rio degli Arancini, e sotto Bindino, èccoti il Mazzarò-Gli Arancini.

Grazie alla brillante politica ambientale del Comune di Quarrata e alla stupefacente perizia dei suoi geometri (plurale di geometro) il viandante che va lungo la via di Lecceto e che si trova in una sorta di budello cieco in cui è impossibile qualsiasi forma di sosta o manovra (mai stato così) non ha bisogno di fare domande su chi sia il padrone della schiena d’asino del contrafforte: perché, da vent’anni a questa parte, da quando cioè il clan perròzzico ha occupato l’area alta del luogo degenerandola, appena si ferma, anche un solo istante, lungo la pubblica via, il viandante viene immediatamente raggiunto da una voce di persona che s’affaccia a una finestra della rocca di San Leo-Perrozzi. lato Nord, che rivolge al malcapitato una raffica di domande: «Cosa sta cerando? Cosa vuole? Dove va? Chi è? Perché è qui?» e non solo.

Lecceto Perrozzi. Ecco che fine ha fatto la piazzola est che era da sempre di uso pubblico, anche se il ragioniere lo nega. Grazie a Giorgio Innocenti e alla Nadia Bellomo

Immediatamente dopo, la solita voce ripete. a disco rotto: «Qui c’è tutto nostro… Non può sostare… non lasci la macchina vicino al muro che ce lo rovina… gli spazi sono tutti privati… qui non ci sono piazzole con servitù di utilizzo pubblico… abbiamo passato tutto ai nostri avvocati…» e mavaffancùlo come esclama Johnny Stecchino nella famosa scena del casco di banane a Palermo.

Nella novella del Verga, quando a Mazzarò, padrone del baccellaio – come si dice a Pistoia –, «dissero che era tempo di lasciare la sua roba, per pensare all’anima, uscì nel cortile come un pazzo, barcollando, e andava ammazzando a colpi di bastone le sue anitre e i suoi tacchini, e strillava: – Roba mia, vientene con me! –».

Stessa cosa, prima o poi, dovrà accadere con i possessori del nulla che, impadronitisi di un bene qualsiasi, lo trasformano, a loro piacimento e capriccio – anche perché la viltà delle istituzioni è tale che non si oppongono mai alle richieste dei quattrinai e dei notabili! –, snatùrano tutto ciò che c’è da sempre, e rompono in coglioni a chicche&sia (Totò) per far vedere che loro, i despoti, esistono; che sono ricchi e potenti e fanno… come cazzo vogliono.

Da vent’anni a Lecceto si assiste a questo casino autolegalizzato e accettato da un Comune di Quarrata che non sorveglia una minchia né sul territorio né su altro che non sia il proprio interesse a non aver grane, rimandando tutto il resto al famoso principio legale del chi ha la rogna si gratti e non rompeteci il cazzo che dobbiamo solo stare 6 ore al giorno in ufficio per tirare lo stipendio, amen!

Voglio ricordare, a tutti i lettori, tre episodi, a due dei quali ho assistito personalmente e non da solo. Li racconto come giornalista e quindi come testimone che – chi mi conosce dopo 53 anni di professione lo sa bene – non racconta mai balle. Risalgono all’incirca, agli anni 2007-2008.

Lecceto Perrozzi. Sul muro della casa, a sinistra, al piano superiore, c’è la finestra della cella-Nord, da cui si odono le voci dall’alto dei cieli…

Primo episodio. Salii a Lecceto con mia madre e lasciai la macchina vicino al muro di Villa Perrozzi-San Leo. Dalla finestra, come dall’altoparlante del Lager, ecco la solita voce: «No, lì no!». Risposta: «O signora, devo fermarmi per qualche minuto, abbia pazienza!». Si potrebbe andare tutti quanto allo zoo comunale… vengo anch’io: no, tu no! In quel caso: No lì no!

Che ne dite, lettori normali? Se, ogni volta che vi fermate su una strada pubblica, si aprisse una finestra e una donnina vi rompesse i coglioni in questo modo, non adottereste la tecnica Grillo/Vaffanculo?

Secondo episodio. Siamo lì, io, mia madre e altri, e lei si china e raccoglie un sasso luccichente (oriese-liccetano-luccianese) di spato d’Islanda volgarmente detto calcite, formula adatta alla circostanza CaCO3 (cioè: caco tre volte).

La signora, evidentemente alla finestra tutto il giorno senza saper che fare, avverte sùbito: «No… quel sasso è mio; lo rimetta a posto!». Mia madre, ormai buonanima dal 2016, un po’ scoglionata come i liccetani doc: «Si potrà sapere il che succede, se piglio un sasso!».

La gentile castellana ribatte: «Eh… ma se tutti passano e prendono un sasso…». Sfavata, come era logico, la liccetana doc butta il sasso a terra e commenta: «E tu vedrai che un giorno tu n’avrai anche troppi di questi sassi. E addosso, anche…».

Nel terzo mistero gaudioso si contempla come Graziano Vannucci, nato e cresciuto a Lecceto e legato al luogo da motivi naturali di affetto; abituato a passare di là, e a raccogliere gli asparagi per farsi una frittata, ebbe l’ardire di staccare una punta dalla piantina.

Immediatamente la solita voce, stile Jahwè, intervenne dalla finestra: «No, eh! Lì c’è nostro: non deve prendere nulla, perché se tutti passano e portano via un asparago (e ora notate bene l’orribile conseguenza del ladrocinio! – n.d.r.) a noi cosa rimane?». Graziano si raggelò al pensare che la numerosa e poverissima famiglia Perrozzi sarebbe rimasta senza cibo, come il conte Ugolino nella torre della Muta a Pisa!

Mi spiace dover sottolineare, ancora una volta, a tutti i capoccia e i capoccioni del Comune di Quarrata, che episodi di questo genere possono verificarsi perché i comunali geometri (plurale di geometro) consentono a chicche&sia di fare quel cazzo che vuole anche in aree in cui ci sono 4 dico 4 vincoli:

1. l’ambientale del Montalbano;
2.l’idrogeologico;
3. il boschivo-forestale e
4., almeno per il borgo di Lecceto basso, il cimiteriale – dato che mi pare di aver visto che il cimitero di Lucciano rientra nei 200 metri in linea d’aria. Ma dai geometri-ingegneri che perdono le strade sulle mappe, che c’è da aspettarsi di meglio?

All’università – che ho concluso non su una di quelle gàbole (Milano) a presa di culo, svizzere e/o private, che rilasciano diplomi di laurea su carta igienica da Trota a Tirana – grazie a quei due o tre esamucci di psicologia che ho superato, e a oltre mezzo secolo di frequentazione di gente (compresi i matti delle Ville Sbertoli, almeno finché Basaglia e Pirella non chiusero i manicomi perché politicamente la pazzia non esiste…) non mi resta per niente difficile riflettere su una sostanziale ipotesi (e dico ipotesi, attenzione signori avvocati del Menga…) di disagio sociale per quanti altro non sembrano aver da fare se non battere e sorvegliare i confini dei loro stati sovrani come i Vopos lungo il muro di Berlino.

Lecceto Perrozzi. La piazzola ovest come è stata mureggiata dai Vopos. Dietro c’è la proprietà Giacomo Martini-Paola Gori. I Martini-Gori per decenni hanno sempre lasciato le auto su quest’area fino all’arrivo del ragioniere

Domenica scorsa, 9 agosto, nel pomeriggio, una vocina diversa dalla finestra della cella nord del torrione della Rocca di San Leo-Perrozzi, ha rivolto le stesse domande a un collega giornalista che era andato appositamente a vedere la situazione sul luogo per rendersene conto di persona. E la vocina si è pure incazzata perché il collega ha scattato le foto che vi pubblico in questo commento.

In uno dei film di Asterix il Comune viene definito la casa che rende folli. E non solo quelli che dicono di lavorarci dentro: prima ancora rende folli i cittadini e rompe i coglioni a tutti per non romperli a nessuno – salvo poi levarsi il dito di culo rispondendo (lasciàtemelo dire: a testa di cazzo) «Se avete problemi, i cazzi sono vostri! Andate dal giudice civile!».

E il cittadino paga schiere di geometri, ingegneri, dottori, dirigenti, segretari comunali e posizioni organizzative (posizioni quali? Come quelle degli islamici sul tappeto della preghiera…?) perché creino conflitto sociale e odio fra i cittadini? Bella repubblica di Napolitano e Mattarella, guarda!

Lecceto Perrozzi. A proposito, questa bella casetta marrone in legno, sul retro del fienile, è in perfetta regola con le norme urbanistiche del permissivo Comune di Quarrata…?

Fossi il sindaco, smetterei di stare a giocare a burraco e tornerei a corsa dalle ferie per cominciare a pensare a come risolvere il puttanaio del Montalbano!

NOTA. Per quanti sono asini per natura oltre che per posizione, voglio semplicemente ricordare che mia madre, Bruna Lapini, non è mai potuta tornare neanche un istante nella sua casa natale dalla Pasqua del 2008 in poi.

I Perrozzi, fidi alleati degli Alberti-Ferri-Meoni, avendo incatenato tutto e tutti, hanno, di fatto impedito che una ultraottuagenaria con invalidità del 100% e priva di autonomia potesse essere portata sin dinanzi all’uscio di casa sua.

E qui, politici e amministratori dei nostri corbelli, non si tratta di questioni privatistiche: si tratta di cervello e di semplice umanità; di prevaricazioni, di stronzate, di atti emulativi e sostanziale stupidità.

Un’altra volta vi narro la storia quanto costano 600 metriquadri di terreno agricolo a Lecceto secondo i parametri valutativi di Soros/Mazzarò-Bassetti. Vi divertirete senz’altro…

Edoardo Bianchini
[direttore@linealibera.it]
Art. 21 Ma in Comun non c’è nessuno?

La casa che rende folli…

 

L’art. 97 Cost., prescrive il dovere dell’amministrazione di non discriminazione delle posizioni dei soggetti coinvolti dalla sua azione, nel perseguimento degli interessi affidati alla sua cura (imparzialità) e l’esigenza della PA d’essere un soggetto agente efficace, cioè mentre un’impresa privata agisce con efficienza se raggiunge un certo profitto, per la PA il profitto è rappresentato dall’utile sociale raggiunto attraverso un più o meno grande sacrificio di posizioni soggettive (buon andamento).
Per l’art. 97 Cost.: i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione.
Sembra di vedere il Comune di Quarrata, non c’è dubbio (che non è certo l’unico in questo stato di generale sconquasso). Una baracca di dottori con un sacco di fogli, diplomi e master[chef]…


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