PISTOIA. Dovremmo convertire il termine buon costume in chiave televisiva, applicandolo possibilmente ai programmi e talk show sulla Rai, per i quali tutti noi fessacchiotti siamo obbligati a pagare il noiosissimo canone, oggi in bolletta grazie al Bomba.
Consiglio: se avete un minimo di autonomia intellettuale, evitate Agorà su Rai 3 alle 8 di mattina, altrimenti la colazione vi rimarrà indigesta.
Il buon costume, inteso come onestà e onore, lì non sta di casa. E Gerardo Greco, il conduttore, gongola con le sue guanciotte rosee nel condurre il talk show, ogni mattina di più, inesorabilmente, con sempre maggiore faziosità.
Sembra di rivedere il Santoro dei bei tempi andati, quelli di Annozero, quando il servizio pubblico, che nel suddetto caso somigliava più a una latrina pubblica, consisteva nello squadrismo televisivo di sinistra, organizzando la trasmissione, gli inviati e le pubblicità (poche, grazie al canone) in modo da imbavagliare il berlusconiano di turno fucilando la sua libertà di esprimere il proprio pensiero.
Epica fu la telefonata del direttore generale Rai Masi, il quale disse a Santoro che l’intera azienda, tramite lui, stava formalmente prendendo le distanze dalla sua conduzione. E un Santoro livido di rabbia lo sfidò chiedendogli se dovesse interrompere la puntata.
Oggi su Rai 3 Santoro non c’è più, ma il disservizio pubblico prosegue inesorabile.Funziona così: il leghista è in collegamento, in studio sono presenti il renziano, il comunista e il giornalista per bene, politicamente corretto che si attiene al vocabolario che La Repubblica ci ha imposto di utilizzare.
Se si parla dei milioni di italiani poveri, il servizio mandato in onda ritrae due negri senza tetto di provenienza sconosciuta i quali si dicono addirittura felici dell’avere una brandina su cui dormire. Se invece a Lampedusa sono sbarcati altri mille clandestini, il servizio ritrae i suddetti mentre scendono dalla barca avvolti nei teli dorati, ovviamente tutti maschi e tutti giovani.
Viene data parola al leghista il quale ha a disposizione trenta secondi netti per esprimere la propria opinione, poiché al trentunesimo il conduttore interviene dicendosi indignato per l’utilizzo delle parole clandestini e invasione.
La palla torna in studio e tutti si asciugano gli occhi per la commozione, per la profondità di quei servizi mandati in onda, per le facce smunte degli africani, i nostri fratelli che hanno bisogno di accoglienza e aiuto: il razzista leghista si sbraccia, ma il conduttore non lo considera.
In alternativa c’è sempre il classico servizio di una banalità mostruosa: girare a casaccio per la periferia romana in cerca di un gruppo di pericolosi neofascisti, neonazisti, hitleriani. Ne beccano uno davanti al bar dove si trova con gli amici, in romano stretto egli afferma di non apprezzare i 4,6 miliardi di euro che lo Stato investirà per l’accoglienza e il mantenimento dei clandestini, a fronte dei milioni di italiani poveri.
Discorso che fila, concetto sempliciotto ma più che vero, non espresso in un italiano impeccabile ma non per questo denigrabile. In studio la pensano diversamente. Sbuffa il conduttore che inizia nervosamente a camminare in cerchio attorno agli ospiti e si dichiara annoiato, mentre gli altri premi nobel berciano che tale soggetto ricorda loro gli anni trenta in Germania, quando per il malcontento generale ebbe inizio il nazismo.
Se il leghista non è presente, ma il renziano o il comunista lo citano denigrandolo, il conduttore li implora: “Fon fatemi difendere anche la Lega che è assente, suvvia!”. La loro mente fine e candida non può macchiarsi di tale infamità: “Difendere un leghista è reato”, canticchiano sui sofà televisivi i bastonatori della sinistra al caviale.
La solita sinistra che trovi ai convegni sulla libertà di stampa, che si indignava per l’editto bulgaro ma non per Nicola Porro o Maurizio Belpietro, ché loro sono amici dei leghisti. Ma che sepolcro male imbiancato!
Ed ecco che, sulla Rai che dovrebbe fare servizio pubblico, se non ti uniformi alle regole del politicamente coglione, vieni malmenato con un forbito italiano dai tre o quattro squadristi perbenisti che, inviati dal cielo, occupano lo studio televisivo per controllare e sanzionare.
Dato il livello, probabilmente se li mandassimo tutti affanculo faremmo anche noi del servizio pubblico.
[Lorenzo Zuppini]