referendum. «SIAMO AL PONTE ALLE TAVOLE O SULLA LUNA?»

Ponte alle Tavole - Pistoia
Ponte alle Tavole, Pistoia

PISTOIA. Si è svolto qualche giorno fa al Circolo Arci di Ponte alle Tavole un interessante dibattito sul prossimo referendum costituzionale. Si sono confrontati, moderatore Maurizio Bozzaotre, il prof. Roberto D’Alimonte, sostenitore delle ragioni del Sì ed il prof. Giovanni Tarli Barbieri sostenitore delle ragioni del No.

La serata era organizzata dal comitato “Basta un Sì-San Giorgio”, in collaborazione con gli analoghi comitati “Basta un Sì” della Provincia di Pistoia.

Una volta accennato che si è trattato di un confronto interessante, appassionato e civile nello stesso tempo, aggiungo subito che non intendo entrare nei dettagli del medesimo, ma piuttosto soffermarmi su altri particolari, diciamo così, di contorno, ma molto istruttivi.

Si inizia con una signora, immagino dirigente Pd della sezione, incaricata di introdurre la serata, salutare gli ospiti, ringraziare i gestori del circolo. E fin qui tutto normale.

Subito dopo è il turno di due giovani, brillanti, educati, ben vestiti, soprattutto la ragazza; questa, in particolare, informa il pubblico che, per questa occasione (e spero vivamente che non diventi un vizio!), le domande dovranno essere rivolte non nella tradizionale e logica modalità in cui si alza la mano e se il moderatore ci dà la parola si parla.

No! Questa volta, in nome del progresso, in omaggio alla tecnologia imperante, e proni ad una notevole civetteria modaiola, c’è una novità: le domande dovranno essere rivolte, componendo un numero che viene per l’occasione comunicato, in modalità WhatsApp.

Una modalità che sarà pure segno dei tempi, del progresso, ecc., ma, a me è sembrata subito asettica, anonima, rarefatta, senz’anima, oltreché a togliermi la possibilità di fare, a mia volta, diverse domande. Che abisso, mi sono detto, rispetto all’epoca in cui, in quegli ambienti, i comunisti del tempo che fu inveivano in maniera sanguigna e magari lanciavano quella tragica invocazione (mai, per fortuna, tradottasi in realtà): “Haddavvenì Baffone!”.

Subito si apre un siparietto molto istruttivo. Alle mie spalle è presente Giampaolo Pagliai, già vicesindaco in una lontana stagione e fino a pochi anni fa vecchio ed ancora ruggente leone del consiglio comunale pistoiese. Anche questa volta, quanto a ruggiti, non è da meno, nonostante gli anni che avanzano. Grida, pressappoco: “Basta! È una vergogna! È uno schifo! Me ne vado!” E poi, già in fondo alla sala: “Qui siamo in Bulgaria!”.

A questo punto, si può ammettere che il comportamento di Pagliai è stato quantomeno “colorito” e non certo “politicamente corretto”. Ma più impressionante, in questo frangente, è stata la risposta della ragazza: “Bene, si accomodi pure. Buona serata!” e la perfetta, o quasi, indifferenza della intera sala (così, almeno, mi è sembrato). Nessuna partecipazione emotiva, nessuno, anche impercettibile, sbigottimento alle parole di Pagliai.

Già un controllo impressionante delle proprie emozioni, nonostante la giovane età; già un totale calarsi nella parte di “signorina buonasera”, che deve recitare algidamente il proprio copione, così come le è stato insegnato. Quanto al povero Pagliai, di fatto trattato, sia pure con estrema eleganza, come un vecchio rincoglionito, vada pure per la sua strada.

Giampaolo Pagliai e Claudio Martelli
Giampaolo Pagliai e Claudio Martelli

Allora, a chiusura di questa prima parte, una cosa la dico subito: si possono certamente mettere in discussione le idee politiche, la personalità ed il carattere di Giampaolo Pagliai, da cui, peraltro, nella vita, ho spesso tenuto una certa distanza. Ma l’episodio descritto mi rafforza in una opinione che già avevo maturato: che in questa società di personaggi scoloriti, di giovani tutti prodotti in fotocopia e senza un barlume di originalità e di indipendenza rispetto al conformismo dominante, uno come il Pagliai, ogni tanto, ci vuole, fa bene alla salute, ha l’effetto di una risvegliante secchiata di acqua fresca per gente appisolata.

E qui, salto alla parte finale: i due oratori terminano di esporre le loro ragioni ed i due giovani, che nel frattempo si erano ritirati dietro un banchino a raccogliere gli interventi che pervenivano in modalità WhatsApp, si ripresentano sul palco annunciando di avere raccolto molte domande. Viene lecito domandarsi: “Da chi?”, “In quale ordine?”. Se si fosse agito nella maniera tradizionale e trasparente ognuno avrebbe potuto sapere e vedere in tempo reale, e soprattutto non si sarebbero potute nascondere eventuali domande scomode. Con questo WhatsApp del cavolo, invece, quale garanzia di trasparenza e democraticità può avere il pubblico normale?

I sospetti aumentano quando vengono esposte le domande prescelte, rivolte all’uno o all’altro relatore. Sono domande certamente normali e legittime, ma piatte, senza sussulti, a cui, in almeno due casi, sia D’Alimonte che Tarli-Barbieri rispondono: “Ma questo argomento già lo abbiamo trattato!”. Salvo, magari, riprendere ugualmente la parola, per approfondire, allargare l’orizzonte, ecc.

Ed allora, alle considerazioni già fatte ne aggiungo altre due:

  1. I due giovani avrebbero dovuto impiegare un pochino più cervello e meno tecnologia avanzata nel selezionare le domande, stando magari più attenti a ciò che i relatori già avevano spiegato.
  2. Anche coloro che hanno formulato le domande, penso, avrebbero dovuto ascoltare di più e spippolare meno compulsivamente sui propri cellulari, magari per motivi che con la serata niente c’entravano.

Vicino a me, ad esempio, per un po’, c’è stata una signora che non ha smesso un attimo di compulsare, quando sullo smartphone, quando sul tablet. Sarà possibile che, in mezzo a questa maniacale agitazione digitale, abbia capito tutto quanto si andava dicendo?

Io ci scommetterei molto poco.

Piero Giovannelli

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