UN SERVIZIO de Le Iene di fine ottobre, Il nostro sì all’acqua pubblica calpestato, offre l’occasione per tornare su un tema che da sempre cerchiamo di porre in evidenza: la ripubblicizzazione del servizio idrico integrato.
Un tema complesso e quindi per certi versi incompatibile con l’esigenza di semplicità e immediatezza, dunque superficialità e slogan, dominante nell’opinione pubblica e nel dibattito politico a tutti i livelli.
Spesso e volentieri la questione dell’acqua pubblica, con tutte le sue implicazioni e premesse, non risulta chiara né ai politici di ogni ordine e grado né agli organi d’informazione, cui competerebbe la corretta sintesi e rappresentazione dei fatti e della realtà.
Della mobilitazione del referendum del 2011 in cui circa 27 milioni di italiani votarono per abrogare due norme che acceleravano nella direzione contraria alla “ripubblicizzazione del serivizio idrico”, rimane oggi solo un evanescente ricordo, costituito da un forum, ramificato in tutto lo stivale, di attivisti assai preparati: una falange tanto eroica quanto numericamente marginale.
Prova provata, da noi come altrove, sono le contestazioni e critiche indirizzate a Publiacqua presenti sulla stampa e nei social: le tariffe record (a fronte di rotture di tubazioni e lunghi tempi di riparazione) e le improvvise richieste di esosi arretrati e riconteggi tariffari che si abbattono sugli utenti.
A onor di cronaca va precisato che la votazione del 2011 comprendeva anche un quesito sull’improbabile rilancio del nucleare: e siccome la maggioranza degli italiani affronta gli appuntamenti democratici con emotività, oltreché in base al lavaggio del cervello subito passivamente nelle settimane precedenti ogni tornata elettorale, il disastro nucleare di Fukuschima Dai-ichi (a seguito di un violento maremoto), con nube radioattiva, costituì, presumibilmente, una molla decisiva della mobilitazione referendaria.
La circostanza su cui ci soffermiamo è che proprio la iena Nadia Toffa, l’icona più popolare e mediatica del giornalismo d’inchiesta ambientale (rivedere i celebri servizi: Quando il pomodoro cinese diventa Made in Italy, Curiamo gli ulivi del Salento, Salviamo gli ulivi del Salento) è inciampata in una serie di macroscopiche sviste sui termini della ripubblicizzazione dell’acqua.
Ciò ovviamente non toglie l’utilità del sevizio, che tra l’altro ha il merito di accendere la luce sulla rottamazione che il governo sta portando avanti, sia del referendum del 2011, sia della proposta di legge d’iniziativa parlamentare che recava questa dizione, da poco cancellata: «La gestione e l’erogazione del servizio idrico possono essere affidate esclusivamente a enti di diritto pubblico nel servizio idrico».
Tanto puzzo per un il referendum costituzionale, lasciano intendere Le Iene, quando quelli passati non solo vengono disattesi ma addirittura sovvertiti.
Dapprima la nostra iena chiede «che differenza c’è tra pubblico e privato, rispetto ai costi?» e, travisando la risposta di Paolo Carsetti, del Forum Italiano Movimenti per l’acqua, afferma erroneamente: «con il pubblico è il comune che ha gli utili e decide di investirli nella città».
Ecco il nocciolo della questione, l’equivoco che spesso anche gli attivisti non riescono a comunicare: la ripubblicizzazione serve a far sì che le tariffe del servizio idrico servano unicamente a sostenere investimenti e manutenzioni del servizio idrico stesso.
Come per il servizio idrico di Parigi, di Berlino e di tantissime città europee e americane, in cui l’acqua è gestita da enti di diritto pubblico, il cui obiettivo è il pareggio di bilancio.
Le società per azioni, spa (a capitale privato, pubblico, cioè comuni, o misto che siano), invece, hanno l’obbligo degli utili, altrimenti devono portare i libri contabili in tribunale e chiudere.
Il servizio idrico in altre parole non deve essere un bancomat per i proprietari, indipendentemente dal fatto che questi siano multinazionali che giocano in borsa o comuni. Basti l’esempio di Gaia, società sull’orlo del fallimento e, al pari di Publiacqua, caratterizzata da disservizi e tariffe da capogiro, i cui proprietari sono i Comuni della costa, ma anche Cutigliano e San Marcello.
Appare chiaro che un ragionamento sull’acqua pubblica impone di affrontare il tema del bilancio dei Comuni italiani, quasi tutti con l’emergenza-urgenza di chiudere in pareggio, della produttività dei dipendenti comunali e dell’efficienza della spesa. In un contesto di indennità di risultato a iosa e manutenzioni di giardini, strade e patrimonio inesistente.
Ricordiamo infine che il servizio idrico è un monopolio naturale, al pari della Difesa e della Giustizia, e in quanto tale delicato, come tutti i monopoli, nonché soggetto a spese improduttive.
Vi immaginate se Esercito e la Giustizia dovessero dividere gli utili con i propri azionisti, anziché provvedere alla deterrenza strategica o a tenere aperti i tribunali? Ecco, con l’acqua è così.
[Lorenzo Cristofani]
Vedi anche: