RICK HUTTON, UN CRONISTA DEL ROCK

Rick Hutton e la sua band
Rick Hutton e la sua band

PISTOIA. Il palco, per lui, è una costante, un’affezione, una passione, una malattia. Perché Rick Hutton, 62 anni tra non molto, volto strapopolare nell’Italia degli anni 80 grazie alla conduzione, con l’inseparabile Clive, di Videomusic, non è solo una fonte storica del rock, del blues e del R&B, ma anche e soprattutto, è il caso di dire, della musica, quella dal vivo.

Ieri sera infatti, con una delle sue tante formazioni che lo accompagnano da quando, nel 1969, iniziò a strimpellare la chitarra e a cantare, il decano presentatore del Festival Blues prima e contemporaneamente anche del Porretta Soul Festival poi, e tuttora, si è presentato a Santomato dove l’organizzazione dell’omonima rassegna gli ha concesso una serata del tutto particolare. Certo, concerto obbligatorio, come di gradito rito, ma con un filtro morale della storia e di quello che è successo mentre a Londra e dintorni, dove è nato, e in tutto il resto del Mondo, infuriava il Rinascimento.

“Non mi permetto il lusso di confondere il sacro con il profano – racconta Rick Hutton prima di consumare la cena offerta dal Circolo Arci, energetico prologo indispensabile alla serata live –, ma la musica ai tempi della mia adolescenza e giovinezza non era soltanto una dimensione sonora. La musica nasceva da un’esigenza specifica, che consisteva, soprattutto, nell’affrancarsi dalle famiglie, tanto per iniziare. Sono uscito dalle sgrinfie dei miei genitori poco più che maggiorenne e me la sono sempre cavata da solo. Gli anni 60 e 70 sono stati veramente epocali, un vero e proprio Rinascimento, che ripeto, non mi permetto il lusso di confondere con quello vero: vivo tra Lucca e Firenze e quel termine ha un significato specifico imparagonabile. E poi, tornando a parlare di musica, quella di quegli anni d’oro, credo irripetibili, aveva un connotato sociale e politico altissimo: era un veicolo di trasformazione: Woodstock è forse il momento cruciale, che è figlio di una serie di sommovimenti artistici che sfociarono in quel raduno fantastico”.

Non si guarda solo indietro, però, Rick Hutton. La musica ha continuato, imperterrita, a girare il mondo e a sondare gli animi.

“Certo e ci mancherebbe altro – aggiunge –. In Irlanda, ad esempio, esiste una band di mocciosi che fanno delle cose deliziose, importanti, avveniristiche: si chiamano The Stripes e invito tutti gli appassionati di cose nuove ad ascoltarli”.

La band del Santomato live è quella ufficiale di Rick Hutton da circa un lustro; il chitarrista, però, suona con l’italobritannico da ben 35 anni.

“Un feeling pazzesco – racconta Rick con quel suo slang imprecisato e imprecisabile, che lascerebbe pensare trattarsi di una posa, soprattutto alla luce del fatto che vive in Italia da circa quarant’anni -. Ci capiamo con gli sguardi, al resto ci pensa la sua chitarra, fantastica”.

Chiudiamo la conversazione con una battuta sul Festival Blues che si intravede all’orizzonte.

“Giovanni (Tafuro – n.d.r.) è un grande amico e devo dire che quest’anno sta mettendo in piedi una rassegna fantastica – aggiunge e conclude Rick -. Non voglio fare il dietrologo come sempre, ma il senso del Festival Blues era proprio legato alla sua fisionomia: tre giorni, concentrati, spremuti. Ora, invece, si inizierà a suonare il 7 luglio per arrivare fino al 24. Bello, certo, c’è più musica, maggior divertimento, più opportunità di ascoltare cose nuove, ma il Festival, così, perde qualcosa e somiglia molto di più al Summer dei cugini di Lucca”.

E chi ci dice che sia una disgrazia?

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