BUOCESIANI & COMUNISTI?
TUTTI INZIÈM: SI SON “RAVVISTI”!
DI SOLITO mi mettevo a ridere quando, nel 1967, agli inizi della mia scrittura su La Nazione, un signore molto sui generis, Luciano Michelozzi, nato in Francia, assai anarchico, ma anche elettricista e fotografo-commerciante-radioamatore-televisivo perché tele-visionario, che mi faceva da fotografo per il giornale fascista di Enrico Mattei, mi diceva: «Ma cosa vuoi capire, Bianchini? Ci prendono tutti per il culo e di noi se ne fregano! Ma sta’ zitto, madonna e po’ bòna!». Era madonna e po’ bòna! se non erano moccoli anche peggiori. Di rado, ma ogni tanto c’erano anche quelli.
Dal 1967 ad oggi sono passati 53 anni (questo calcolo lo sanno fare perfino la Fedeli e l’Azzolina) ma le cose, cioè la nostra condizione umana, non solo non sono migliorate come ci saremmo aspettati, ma sono andate via via peggiorando, degradandosi, cancellando tutti quei valori morali che avevano ispirato da una parte i candidi buocesiani anticomunisti viscerali; e dall’altra i rossissimi comunisti, di quelli veri che mangiavano i bambini e che io, a dire la verità, rimpiango: perché quelli di oggi, bianco-rossi & gialli, s-governano insieme la pseudo-repubblica, ma nell’accezione del verbo governare di stampo contadino, cioè «spargere il concime». E, per farlo comprendere a fondo ai cerebrolesi dei dottori del post-68 e della scuola di Barbiana, diciamolo chiaro: significa «ricoprire di merda lo stato», oggi in mano a un manipolo di inetti (se non delinquentes) e tuttavia peggiori delle pustole del mollusco contagioso, l’ultimo stadio della varicella e dell’Herpes Zoster o Fuoco di Sant’Antonio.
Per carità non grattatevi! Tantomeno i coglioni, o v’impustolate dappertutto e vi resteranno le peggiori cicatrici che spuntano non da un Covid, ma da un virus davvero letale: quello del buonismo boldrinico e delle marce della giustizia e della legalità che, in Italia, non si immagina neppure cosa siano; e oggi sono ignote perché, da Tangentopoli in poi, dopo la grandiosa rimoralizzazione che portò i comunisti (o quel che ne restava) al governo, quel 10% di giustizia e legalità residuali almeno riconosciute dai padri/ladri della Prima Repubblica, se n’è andato gioiosamente a farsi fottere fra gli applausi di tutti.
Aveva ragione Luciano Michelozzi? La domanda la rivolgo, ora, a uno dei suoi figli, Marino, peraltro amico e cresciuto sotto i miei occhi durante la frequentazione con suo padre. Marino – e non me ne voglia, per favore – è perfettamente inserito nel «sistema don Abbondio», per citare non un cinci qualsiasi, ma un compagno importante, del Pci (poi, però, radicale) noto per la sua avversione alla mafia, Leonardo Sciascia, che in saggio sui Promessi Sposi scriveva:
… questa visione della vita, questo pessimismo, è per don Abbondio un riparo e un alibi: don Abbondio è forte, è il più forte di tutti, è colui che effettualmente vince, è colui per il quale veramente il “lieto fine” del romanzo è un “lieto fine”. Il suo sistema è un sistema di servitù volontaria: non semplicemente accettato, ma scelto e perseguito da una posizione di forza, da una posizione di indipendenza, qual era quella di un prete nella Lombardia spagnola del secolo XVII. Un sistema perfetto, tetragono, inattaccabile. Tutto vi si spezza contro. L’uomo del Guicciardini, l’uomo del “particulare” contro cui tuonò il De Sanctis, perviene con don Abbondio alla sua miserevole ma duratura apoteosi. Ed è dietro questa sua apoteosi, in funzione della sua apoteosi, che Manzoni delinea – accorato, ansioso, ammonitore – un disperato ritratto delle cose d’Italia: l’Italia delle grida, l’Italia dei padri provinciali e dei conte-zio, l’Italia dei Ferrer italiani dal doppio linguaggio, l’Italia della mafia, degli azzeccagarbugli, degli sbirri che portan rispetto ai prepotenti, delle coscienze che facilmente si acquietano…» [L. Sciascia, in «Cruciverba», 1983].
Cari lettori, avete visto, nei giorni scorsi, una sequenza di mie osservazioni all’uso e all’abuso del territorio fatto da parte del Comune di Quarrata e, specificamente, dai suoi funzionari, una serie infinita di don Abbondio.
Avete visto anche, in parte, una risposta autoconservativa e di autodifesa di due dirigenti (Iuri Gelli, capo dei tecnici; e Marco Bai, capo della Gestapo locale). Una risposta che fa cadere il pan di mano. Una risposta da preti che cercano di tener buono Renzo intenzionato a sposarsi a tutti i costi e intestardito a volere spiegazioni e non ciance.
Ma l’osceno – lasciate che lo dica –, il vomitevole, il vergognoso, l’indemocratico, il reticente, l’omertoso e cos’altro volete voi, non sta qui, nella difesa di questi due che annaspano per pararsi il culetto d’oro (vecchia réclame di pannolini).
In primo luogo sta nel fatto che il famoso primo cittadino di Quarrata (ma dei nostri stivali?), il sindaco Marco Mazzanti, mio scolaro 68ino in prima media, si è comportato come il famoso asin bigio che rosicchiava un cardo rosso e turchino in Davanti San Guido del Carducci: tutto quel chiasso non l’ha degnato di un solo sguardo e ha continuato a brucare rinsordito (forse) da tutto il tempo che passa a giocare a Burraco (così mi dicono).
E un po’ lo scuso pure, perché sarà preparatissimo in politica, ma forse per scrivere due righe gli ci vuole un ghost writer, cioè uno scrittore-fantasma che componga al suo posto. Con lui si sono comportati nello stesso modo l’assessore all’edilizia (Simone Niccolai) e quello ai lavori pubblici in odore (almeno a quel che si avverte dal naso) di successione a Mazzanti: un politico di lungo corso (Gabriele Romiti, alias il Romitino), ma forse di breve preparazione scolastico-istituzionale.
In secondo luogo, però, mi ha fatto un’ancor più grande impressione, ovviamente negativa, il constatare, con dispiaciuto disappunto, che nessuno di tutti coloro che avevano ricevuto la documentazione sui fatti sputtanati e sputtananti della gestione distorta del territorio (e parlo dei presidenti delle commissioni consiliari, dei capigruppo del consiglio comunale e delle forze di opposizione); nessuno, dicevo, si è neppure fermato un istante per domandarsi: ma che sta succedendo? Di cosa si parla? Sarà il caso di contattare un cittadino che – in questo mondo di stracchini di Nonno Nanni – ha stranamente il coraggio di accendere se non una sirena d’allarme, almeno un bel riflettore su certi temi?
E questo silenzio donabbondiesco – che non compare solo a Quarrata, ma in Italia e nel mondo intero – c’è perché un signore molto sui generis, Luciano Michelozzi, nato in Francia, molto anarchico, fotografo-commerciante-radioamatore-televisivo perché tele-visionario, che mi faceva da fotografo per il giornale fascista di Enrico Mattei, mi diceva: «Ma cosa vuoi capire, Bianchini? Ci prendono tutti per il culo e di noi se ne fregano! Ma sta’ zitto, madonna e po’ bòna!».
E quelle sue parole anarchiche sono ancor oggi validissime e vere e adatte sia a un elettricista, come Luciano, che a un sergente dell’esercito, a un carabiniere o anche a un geometra laureato in ingegneria civile e che sta dove sta perché forse – come avviene in certa pubblica amministrazione – nel settore dei dirigenti la decisione dello scatto di qualità si realizza non con la certezza del diritto, ma con la preordinata e scientificamente calettata cooptazione da parte dei politici.
Cosa, ad esempio, che accade anche per i segretari comunali che non sono, in buona sostanza, altro che un nulla, ma bello rosso come la mela che un sindaco può trovare il sabato mattina sui banchi della frutta a Quarrata.
I segretari comunali erano veri quando ti arrivavano dal Ministero dell’Interno e te li dovevi tenere, che ti piacesse o no; non erano gente scelta come sopra e pronta – in troppi casi – a legare l’asino all’anello che gli dice il padrone. Bel casino Bassanini, sì!
Sciascia il comunista poi convertito al radicalismo, diceva che l’Italia era un «sistema don Abbondio». Io dico che, allo stesso modo, la nostra cosiddetta repubblica (quella di Mattarella e dei Pd, però; e anche dei cattolici “aperti a tutto”, sodomia istituzionalizzata compresa – basta comandare – e della legge Zan-Scalfarotto) è un boscabbaccano di preti spretati e di monache un po’ troie come quella di Monza: un ambiente in cui si beve freddo e si piscia caldo, perché ci dobbiamo volere bene, stare tutti vicini vicini, e lasciar fare chi fa, tanto si mòre.
Sì, che si mòre. Solo che se mòre la gente senz’occhi e senza orecchie, io non mi scompongo nemmeno un po’, perché il mondo non perde nulla: dato che quei pròtei ciechi e sordi delle caverne alpine ci prendono – come diceva il buon Luciano – tutti per il culo e di noi non gliene frega punto.
O sbaglio, Marino Michelozzi, inserito nel sistema don Abbondio? Che ne pensi, tu, personalmente, da dentro? Posso dare ragione a tuo padre dopo 53 anni, o sono troppo pessimisticamente negativo come lui?
Scarica e leggi la segnalazione inviata ai politici quarratini
Edoardo Bianchini
[direttore@linealibera.it]
La Costituzione di una repubblica che non c’è
contiene ancora un articolo 21
Mi domando a cosa servano tutti i consigli di questa dem[ent]ocrazia rossoide, illecita e usurpatrice, negatrice della Costituzione, della giustizia e della legalità, se poi i politici che s-governano o non rispondono mai o ti querelano, e gli altri, a strascico come le reti dei pescatori del Golfo di Napoli, perdono il tempo a perdere tempo, ma, se li chiami, sono sempre girati da un’altra parte…
Chi ci governa, allora? Quelli che votiamo o i burocrati scelti da chi votiamo e che, proprio perché scelti, fanno come gli pare?
Questo, secondo voi, è un mondo sano o un vero ovosòdo da film livornese?
2 thoughts on “saggezza anarchica. SE QUARRATA SQUARTA E SBRINDELLA LIBERAMENTE IL SUO PREZIOSO TERRITORIO, CHISSÀ CHE NON SIA VERO IL PESSIMISMO DI LUCIANO MICHELOZZI!”
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