PISTOIA. Il documentario sull’autore che ha rivoluzionato la letteratura contemporanea del Novecento, “Salinger”, avvalendosi delle testimonianze di chi ha conosciuto da vicino l’autore, da Edward Norton e Martin Sheen a John Cusack o Gore Vidal.
Il regista Shane Salerno sceglie di descrivere più che di ricostruire o addirittura indagare il celebre scrittore, non tentando così di sciogliere l’eterno dilemma se il personaggio del giovane Holden Caulfield celi o meno la personalità dell’autore a quattro anni dalla sua scomparsa.
Un mistero ciò che abbia concretamente fatto prima della sua morte, avvenuta il 27 gennaio 2010, in oltre cinquant’anni, come se la propria esistenza fosse rimasta sospesa in terra per un fine più alto o forse solo la scelta dell’oblio per insofferenza verso il mondo circostante. In un’intervista rilasciata al regista, infatti, una delle sue compagne, Joyce Maynard, riferisce che lo scrittore newyorkese una volta le dice: «Il tuo problema è che ami troppo il mondo», cosa intenda precisamente per “mondo” Salinger, almeno in quella circostanza, non è dato saperlo.
La sua storia in fondo è la stessa del protagonista del famoso romanzo, J. D. Salinger proviene dalla drammatica esperienza della Seconda guerra mondiale, alla quale il regista si riaggancia parlando del periodo più buio dell’autore, in Europa, con lo sbarco in Normandia, assistendo a tanti orrori. L’episodio che più segna l’allora venticinquenne Jerry sono i corpi senza vita ammassati o carbonizzati a Dachau, scena che trascende popoli ed ideologie.
Un ragazzo comunque ostinato, che prima di arruolarsi vuole a tutti i costi farsi pubblicare sul “New Yorker”, per lui rivista simbolo, inondando di racconti brevi gli uffici del periodico.
Poi sopraggiunge il desiderio di arruolarsi, una foto ritrae Jerry seduto ad un tavolo che scrive in una delle campagne attraversate durante la missione in Francia, in mano una penna ed una sigaretta, sul tavolo fogli sparsi, sono stralci de “Il giovane Holden” (titolo originale “The catcher in the rye”), realizzato dunque almeno in parte in un luogo sinonimo di morte più che di vita.
Al ritorno in patria, come molti altri commilitoni, non è più lo stesso. Trova un Paese, gli Usa, cambiato, colmo di contraddizioni, immerso in una corsa frenetica all’arricchimento con il boom economico, mentre lui vive fino alla fine sempre spartanamente, munendosi solo dell’essenziale, insofferente verso questo tipo di società e verso le “maschere” fabbricate per dissimulare questa “follia” dilagante.
Il documentario parla anche del travagliato percorso per far pubblicare il romanzo, di rottura rispetto agli schemi sociali dominanti del tempo. Contemporaneamente all’espansione del libro l’uscita di scena del poeta, che dotato di una spiccata sensibilità preferisce una vita interiore al successo, i cui personaggi della famiglia Glass, a dire del diretto interessato, sono la cosa a lui più cara.
Nel 1965 invece l’interruzione di ogni pubblicazione. Il documentario ripercorre soprattutto gli anni del buen ritiro a Cornish, nel New Hampshire, dove lo scrittore si mantiene comunque informato e parla con giornalisti, editori, estimatori, riportando immagini e conversazioni, basandosi comunque su ciò che si sa senza addentarsi in interpretazioni di fantasia.
La certezza è che J. D. Salinger non smette mai di scrivere, nelle sue stanze a Cornish si sente ogni giorno il rumore di dita che battono sui tasti di una macchina da scrivere. Entro il 2020 verranno infatti pubblicati i risultati del suo lavoro realizzato nei tanti anni del buen ritiro, così discreto e riservato ma senza dubbio prezioso.