PISTOIA. Reparti sovraffollati, carenza di personale, carenze strutturali, c’è da combattere anche per avere i farmaci perché non tutti quelli ritenuti necessari vengono forniti: la priorità è contenere la spesa.
A tutti i reparti viene assegnato un budget e se tu, dirigente medico o primario, riesci a tenere bassa la spesa, a fine anno avrai un bel premio tintinnante.
Mentre gli infermieri devono andare dal paziente e dirgli che purtroppo quella tal medicina non viene passata dal Ssn: però, se vuole, può chiamare un suo familiare per farsela comprare. È forse questa la così detta “medicina di iniziativa”?
Per la carenza strutturale di letti, i pazienti di medicina vengono sistemati in quelli assegnati alla chirurgia; oppure, in uno dei 20 posti Obi, destinati all’osservazione breve intensiva – 14 letti più i 6 sottratti alle cure intermedie. E dire che sulla carta l’organizzazione è perfetta, ma la realtà è tutta un’altra cosa.
La chirurgia è stracolma, non tanto di persone che fanno interventi, ma di altre che non trovano posto negli altri reparti.
Si viaggia mediamente con 20-25 “appoggi” della medicina, che non può dimettere causa un territorio strutturalmente inesistente e impreparato per accogliere i pazienti di lunga degenza: di conseguenza per mesi occupano i letti di un ospedale pensato e progettato per acuti e per buttar fuori la gente come i piloti che vengo sparati via dall’abitacolo del caccia-bombardiere se l’aereo va in fiamme o è stato colpito dalla contraerea.
Chi si deve operare non trova quindi posto e, per la par condicio, viene spedito a destra e a sinistra. E se non sembra correre rischi, viene rimandato a casa: poi si vedrà…
Ma in una “organizzazione” così congegnata cosa succede al pronto soccorso?
Dopo il potenziamento annunziato del territorio, gli accessi al pronto soccorso sono aumentati considerevolmente con pazienti che arrivano da tutte le parti. Uno sfacelo, un nugolo di api dinanzi all’alveare.
Entri ti fanno il triage e in base alla gravità viene assegnato un colore. Poi inizia l’attesa, che può essere anche molto lunga. Anche di un giorno o due. Non sarebbe la prima volta.
Con i letti della chirurgia assegnati alla medicina, con quelli della chirurgia e dell’osservazione breve occupati impropriamente, gli avventori del pronto soccorso che necessitano di ricovero, rischiano di stare su di una barella 24-48 ore. È vero, dunque, che il soccorso è… pronto?
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Vi immaginate cosa vuol dire, per una persona che ha bisogno di cure e assistenza, stare due giorni, in attesa di una sistemazione in reparto, pardon nel setting, su una barella, insieme ad altri cinque compagni di sventura nell’unico stanzino dove non è possibile spegnere la luce?
Questa ci mancava, anche se a pensarci è del tutto logico che in un ospedale dove le finestre non si possono aprire, le luci, al pari, non si possano spegnere. Tra poco, magari, scopriremo anche che i rubinetti dell’acqua non si possono chiudere… Vi meravigliereste?
Così, gli infermieri del triage, preparati per valutare la gravità della sintomatologia, si ritrovano a prestare assistenza ai pazienti “in lista di attesa” di un letto – come gli esami e i rotoloni Regina anche le liste di attesa non finisco mai e ce n’è sempre una in agguato –, con la responsabilità di non farli cadere dalla barella.
La cosa però più impressionante è che le persone ormai sono assuefatte e rassegnate a questo status quo, non si lamentano più, non chiedono del dottore o del primario, non minacciano di chiamare i carabinieri, ormai sembrano disposte a accettare tutto pur di stare “dentro” e si sentono perfino fortunate.
Repubblica dei cerotti e delle garze? No, siamo nella Toscana Felix di Enrico Rossi da Bientina. Siamo a Pistoia al San Jacopo e dintorni, con il Pacini di San Marcello Pistoiese, ex-eccellenza della Asl 3, ridotto a Piot e con il Santi Cosma e Damiano di Pescia destinato a seguire la stessa china. Irreversibile.
Questa sanità è stata raccontata venerdì sera, 1° luglio, durante l’incontro pubblico organizzato dall’Osservatorio Sanità Pistoiese, dal titolo “Cercasi Sanità, la sanità Pistoiese dopo la riforma Rossi”. Ospiti: Rosa Scelta segretaria provinciale del Nursind di Pistoia, Simone Pedri segretario provinciale Fials e Carla Breschi dottoressa dell’Ospedale San Jacopo.
Per stare alla larga dalla sanità più migliore assai del mondo, non rimane che seguire il consiglio di Nino Manfredi “basta ’a salute e ’n par de scarpe nove”.
P.S. (Post scriptum, Pronto soccorso o Pubblica sicurezza?)
Ma con 13 sale operatorie a Pistoia, altrettante a Prato, Lucca e Massa, possibile che la gente debba aspettare mesi per un’operazione? Siamo sicuri che funzionino tutte? E le operazioni fatte quante sono?
Parlando poi sempre del San Jacopo, l’ospedale costruito sull’acqua, anche detto affettuosamente “il gommone”, ma le prove di tenuta stagna delle sale operatorie per vedere se riuscivano a tenere l’acqua sono state fatte?
Sono riuscite o hanno dovuto isolarle i locali con paratie stagne come si usa fare sulle navi che affondano…?
GIÙ LA TESTA!
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A TUTTO QUESTO dovrebbero dare una risposta ufficiale gli uffici-veline dell’Asl Area Vasta Toscana Centro. Ma avete mai visto una “informazione d’azienda’ che non fosse spudoratamente dalla parte del padrone?
Riuscite a immaginare, leali elettori Pd della provincia di Pistoia, così affezionata al rosso di Rossi, una Fiat che pubblica il dépliant della 500 su cui Marchionne fa scrivere: «Non compratela: si rompe subito?».
Ai tempi di Berlinguer ti voglio bene la sinistra, per le elezioni, scriveva sui muri: «Mi raccomando: continuate a buttarlo nel solito pentolone!».
Oggi il P[entolone] D[el popolo], la salvezza dei malati, è qui: è il partito che cammina coi tacchi sulla testa dei lavoratori che non hanno più alcun diritto.
e.b.
L’articolo è stato spedito per Pec all’Asl Toscana Centro con richiesta di chiarimenti sui temi e i problemi segnalati.
Poco dopo la sua inaugurazione fui costretto a recarmi al pronto soccorso del san Jacopo per fortuna senza urgenze particolari. La mia attesa fu lunga e mi consentì alcune valutazioni. Pensai prima di tutto come era possibile che un luogo appena progettato e realizzato fosse così angusto, inoltre all epoca era congeniato in modo tale che appena lo spaesato malcapitato entrava si trovava di fronte ad un banchino con un infermiera e lì doveva raccontare la natura del suo malessere, davanti a decine di persone che, essendo in attesa, non avevano altro da fare che ascoltare i dettagli della malattia per poi dire “..oh lo sai chi è lui…hai visto che gli è capitato ??..”; l esatto opposto del concetto di privacy. La location mi pareva così surreale da pensare che invece c’era dietro una volontà, un preciso studio di qualche capoccione che io non potevo capire. Non so se oggi la situazione è cambiata. Devo dire che il personale fu gentile e competente.