SAN MARCELLO. Le incisioni rupestri sono segni lasciati dall’uomo fin dai tempi più remoti nella roccia. Sono ovunque, basta saperli cercare; basta guardare le rocce in maniera diversa da come l’abbiamo fatto fino ad ora.
Non sono solo nella famosa Val Camonica – primo “Patrimonio dell’Umanità” riconosciuto dall’Unesco in Italia nel 1979 – ma anche qui sull’Appennino Pistoiese.
Ritrovamenti importanti sono stati fatti nella valle delle tre Limentre a Badia a Taona, in Val di Bure a Pistoia, a Limano nel comune di Bagni di Luca, in Garfagnana sull’altopiano della Vetricia e recentemente, anche a Cutigliano.
Non solo nei boschi e negli antri irraggiungibili ma anche sulle pietre delle pievi e perfino su quelle delle case dei borghi.
La difficile datazione e il significato spesso oscuro, accrescono il fascino di questi segni picchiettati o graffiati sulla roccia con strumenti rudimentali.
Trovarli e saperli riconoscere, è come affacciarsi sul “precipizio” della storia e nello sforzo di guardare l’abisso per scorgere la loro provenienza e per decifrarne il loro significato, si vieni assaliti da un senso di vertigine: è la vertigine del tempo.
Questo stato d’animo del ricercatore, in bilico tra smarrimento ed estasi, unito alla passione e la necessità di divulgare il più possibile la conoscenza e il rispetto di queste testimonianze del nostro passato, sono state condensate nel film-documentario, intitolato non a caso “La vertigine del tempo”, realizzato da Andrea Gobetti e Tommaso Biondi.
Il video è stato presentato ieri sera, 30 luglio, nella sala Baccarini di San Marcello P.se, durante l’incontro organizzato dall’associazione Valle Lune, con Giancarlo Sani del comitato scientifico del Cai Toscana, uno dei massimi esperti d’incisioni rupestri.
Lo studioso, in lunghi anni di ricerca sul campo, ha catalogato tutti i segni fino ad ora conosciuti della Toscana, descrivendoli nel libro I segni dell’uomo, dove sono censiti ben 120 siti e a breve – ha annunciato Sani – uscirà un secondo libro La memoria della roccia con altri 100 luoghi.
Non c’era Facebook, ma ieri come oggi, l’uomo ha sempre avuto la necessità di comunicare e forse, e ancor più, di lasciare testimonianze del proprio “essere stato” e del proprio breve passaggio, per dare testimonianza ai posteri, ma forse anche a se stesso, della sua esistenza.
Segni propiziatori, astronomici, religiosi, o innocenti giochi come il filetto, ma anche scritte, in lingue antiche, che raccontano una storia diversa, la storia dei perdenti, degli sconfitti e dimenticati.
Quella piccola storia che nei libri, fatti dai vincitori, non trova spazio, oppure, non può essere raccontata.
Sui massi, per millenni, l’uomo ha scritto una sua storia, forse diversa da come oggi la conosciamo.
Un’informazione parallela e clandestina, non controllata, come quella dei ribelli di Roma che incitavano alla resistenza e all’unione delle piccole popolazioni che non si volevano sottomettere all’impero.
Sassi scritti, usati come odierne pagine di internet, come post, sms, e-mail, su cui incidere il proprio messaggio, da affidare come messaggi in bottiglia, all’oceano del tempo.
L’uomo, in fondo, ha sempre “cliccato” su qualcosa: prima incideva sulla roccia, coppelle e linee, oggi – e lo facciamo tutti – “incidiamo” dei bit, picchiando sulle tastiere dei pc, dei tablet o degli smartphone, delle lunghe sequenze di 0 (zero/coppelle) e 1 (uno/linee), su hard disk-roccia e memorie digitali di qualsiasi tipo.
Chissà se i nostri messaggi resisteranno, come hanno resistito per millenni, quelli dei nostri antenati che “digitavano cliccando” sui sassi.
[Marco Ferrari]
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