PISTOIA. Ora non è che bisogna fare di tutta l’erba un fascio.
Ce lo hanno insegnato i nostri genitori da piccini. E ce lo insegna la quotidianeità di ogni santo giorno.
Ma, l’ineluttabile menefreghismo di molti (ma molti) medici di famiglia è palesemente disarmante.
Capisco che avere a che fare con una vasta gamma di pazienti di ogni età, spesso ipocondriaci, può essere roba da “Santi subito”, muniti di un’attitudine alla pazienza che spesso è difficile trovare nell’essere umano.
Ai tempi dei miei nonni, il medico di famiglia era una sorta di parente acquisito. Lo chiamavi a qualsiasi ora del giorno e della notte e piombava a casa tua. Lo chiamavi al telefono e rispondeva. Accapavi nel suo ambulatorio e, avesse dovuto lavorare fino alla sera inoltrata, alla fine ti visitava. Poteva avere venti pazienti in attesa, ma nessuno di loro tornava a casa senza una lecita diagnosi. Ti accompagnava sul lettino e ti faceva una visita accurata dalla testa ai piedi.
Oggi, al contrario, il medico di famiglia potrebbe anche non esistere. A cosa ti serve?
Lo chiami al cellulare e ce l’ha perennemente staccato (lo accende solo durante l’orario di ambulatorio). Tiene visite un’ora e mezza al giorno, quando va bene. Arriva in ambulatorio in ritardo e se ne va via non appena scatta l’ora x.
Non solo. Ora va di moda il cosiddetto sistema dei “numerini” (non so se vi è mai capitato). Ovvero arrivi in ambulatorio e la segretaria ti consegna un foglietto bianco sul quale c’è scritto il tuo numero. Cioè quello che ti spetta per accedere alla visita. Ma, spesso, il medico di famiglia (che arriva in ritardo) con un’acidità non indifferente dice alla vasta platea di pazienti: “Dopo il numero 10 non faccio più nessuno”. Nemmeno se ti dovesse pagare lui per visitarti.
Se, però, il tuo medico di famiglia fa ambulatorio, ad esempio, dalle 16 alle 17:30 e arrivi alle 16 spaccate, ti tocca già il numero 8. Così devi andare in ambulatorio tipo un’ora prima e sperare che, al massimo, ti capiti il numero 3 o 4.
E se uno lavora, come la maggior parte di ogni comune mortale, che fa, prende un girno di ferie per andare dal medico?
Non solo. Il medico di famiglia non ti viene più a casa a visitare. Nemmeno se hai la febbre a quasi 39 per 4 giorni (a me è capitato). “Per le urgenze c’è la guardia medica”. Ah, grazie. D’altronde le diagnosi si possono fare anche al telefono. Nell’era della tecnologia esiste anche questo.
E se, per caso, devi farti solo prescrivere delle medicine, tanti auguri. Devi parlare direttamente con la segretaria. Sì, che però non risponde mai. Cinque giorni per prendere la linea e farsi prescrivere un maledetto Aulin.
Ma insomma, se decidi di immolarti a dieci anni di studi in Medicina, un po’ di passione per il mestiere ce la devi avere. Sennò fai qualcos’altro. Come quello che, pur laureandosi in Giurisprudenza con non poca fatica e con grande spirito di autolesionismo, decide di non fare l’avvocato, perché quel mondo gli fa alquanto schifo.
Insomma, ognuno è artefice del proprio destino. Per forza, dice il detto, non si fa neanche l’aceto.
[Alessandra Tuci]
One thought on “san[t]ità. L’INELUTTABILE SACRALITÀ DEL MEDICO DI FAMIGLIA”
Comments are closed.