san[t]ità montana. LA SUA SOPRAVVIVENZA È APPESA A UN FILO

I brillanti risultati della nuova Sanità Montana di Rossi & C.

SAN MARCELLO-MONTAGNA. Il 13 aprile prossimo, nella piazza principale di San Marcello-Piteglio, ci auguriamo che la popolazione tutta partecipi a un evento che i due Sindaci Marmo e Petrucci hanno indetto e pubblicizzato: una manifestazione a sostegno del “ripristino” dell’Ospedale Pacini di San Marcello, quantomeno chiamato Pronto Soccorso con le sue peculiarità di legge e non quell’oscenità chiamata P.i.o.t. che nessuno sa cosa significhi.

Forse lo sapranno i ladri che hanno rubato 450 milioni di euro nell’Asl di Massa… Ma non è il momento delle polemiche; la Montagna deve ritrovarsi unita sotto la bandiera comune del “diritto alla salute”; un diritto che non ha colore o schieramenti, almeno fino a quando la battaglia civile non si sarà conclusa e, nuovamente, le reciproche accuse politiche non riemergeranno.

Comunità Montana “non” docet!

Gli antichi parlavano di colonne di Ercole, intendendo che oltre quel limite era l’ignoto, il non saputo, l’imponderabile.

La Consulta della Salute, che si recherà domani 11 aprile a Firenze insieme ai Sindaci della Montagna, speriamo abbia ben chiaro che le colonne di Ercole, di cui andiamo parlando, sono inderogabilmente tratteggiate nel D.M. 70/2015 che riportiamo nella sua interezza al punto 9.2.2 più in basso.

In quell’articolo di legge è la sopravvivenza della sanità montana attraverso il ripristino di una struttura essenziale e non negoziabile. Ripeto: non negoziabile.

Tutto questo mentre la politica ufficiale si diletta nel proporre l’alfa e l’omega del problema: passiamo da una chirurgia ambulatoriale (il famoso callo da togliere), da un lato, ad un reparto di chirurgia maxillo-facciale, dall’altro.

Enrico Rossi e Stefania Saccardi, i boiardi della Sanità [da Toscana Media]
Noi speriamo che lo sbalzo altimetrico per arrivare alla corte del “mattarello politico” fiorentino e del suo “mattarello” sanitario chiamato Saccardi, sia di ausilio a tutti, soprattutto alla Consulta della Salute che ha la libertà, ma anche il dovere, di fare valere le proprie ragioni; che sono poi le ragioni della Montagna tutta, al di là ed al di sopra delle appartenenze e delle ragioni politiche che sono ben altra cosa.

Non tutti conoscono l’art. 9.2.2 del D.M. 70/2015: pensiamo sia cosa buona e onesta che il lettore sappia di cosa stiamo parlando.

Le conclusioni, speriamo non polemiche (ma, anzi, vorremmo di felicitazioni per il risultato ottenuto), le proporremo quando la delegazione tornerà dal colloquio fiorentino e relazionerà pubblicamente il 13 aprile prossimo.

[Felice De Matteis]


D.M. 70/2015 – Art. 9.2.2

Presidi ospedalieri in zone particolarmente disagiate

Ridiamo il maltolto alla Montagna Pistoiese

 

Le regioni e le provincie autonome di Trento e di Bolzano possono prevedere presidi ospedalieri di base per zone particolarmente disagiate, distanti più di 90 minuti dai centri hub o spoke di riferimento (o 60 minuti dai presidi di pronto soccorso), superando i tempi previsti per un servizio di emergenza efficace.

I tempi devono essere definiti sulla base di oggettive tecniche di misurazione o di formale documentazione tecnica disponibile. Per centri hub and spoke si intendono anche quelli di regioni confinanti sulla base di accordi interregionali da sottoscriversi secondo le indicazioni contenute nel nuovo patto per la salute 2014-2016.

Tali situazioni esistono in molte regioni italiane per presidi situati in aree considerate geograficamente e meteorologicamente ostili o disagiate, tipicamente in ambiente montano o premontano con collegamenti di rete viaria complessi e conseguente dilatazione dei tempi, oppure in ambiente insulare.

Nella definizione di tali aree deve essere tenuto conto della presenza o meno di elisoccorso e di elisuperfici dedicate. In tali presidi ospedalieri occorre garantire una attività di pronto soccorso con la conseguente disponibilità dei necessari servizi di supporto, attività di medicina interna e di chirurgia generale ridotta.

Essi sono strutture a basso volume di attività, con funzioni chirurgiche non prettamente di emergenza e con un numero di casi insufficiente per garantire la sicurezza delle prestazioni, il mantenimento delle competenze professionali e gli investimenti richiesti da una sanità moderna.

Tali strutture devono essere integrate nella rete ospedaliera di area disagiata e devono essere dotate indicativamente di:

– un reparto di 20 posti letto di medicina generale con un proprio organico di medici e infermieri;

– una chirurgia elettiva ridotta che effettua interventi in Day surgery o eventualmente in Week Surgery con la possibilità di appoggio nei letti di medicina (obiettivo massimo di 70% di occupazione dei posti letto per avere disponibilità dei casi imprevisti) per i casi che non possono essere dimessi in giornata; la copertura in pronta disponibilità, per il restante orario, da parte dell’equipe chirurgica garantisce un supporto specifico in casi risolvibili in loco;

– un pronto soccorso presidiato da un organico medico dedicato all’Emergenza-Urgenza, inquadrato nella disciplina specifica così come prevista dal D.M. 30.01.98 (Medicina e Chirurgia d’Accettazione e d’Urgenza) e, da un punto di vista organizzativo, integrata alla struttura complessa del DEA di riferimento che garantisce il servizio e l’aggiornamento relativo. È organizzata in particolare la possibilità di eseguire indagini radiologiche con trasmissione di immagine collegata in rete al centro hub o spoke più vicino, indagini laboratoristiche in pronto soccorso. È predisposto un protocollo che disciplini i trasporti secondari dall’Ospedale di zona particolarmente disagiata al centro spoke o hub. È prevista la presenza di una emoteca. Il personale deve essere assicurato a rotazione dall’ospedale hub o spoke più vicino.


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