LA DERIVAZIONE del romanzo del Marcellino da quello di Apuleio potrebbe essere più analiticamente dimostrata, ma mi sembra evidente già da quel poco che si è detto.
Allora in che senso si può anche affermare che Della Metamorfosi cioè della Trasformazione del virtuoso (questo è il suo titolo completo) rientra, almeno per alcuni aspetti, nel “genere” del nuovo romanzo secentesco – o forse addirittura lo inaugura? Nel senso, direi, di una sia pur parziale contestualizzazione ambientale e, se si vuole, anche culturale e storica. Mi spiego.
Pur avendo un carattere fondamentalmente fantastico e allegorico, almeno nella prima e nell’ultima parte la storia di Acrisio si svolge in una zona circoscritta della Montagna Pistoiese, della quale vengono individuati luoghi e aspetti specifici: i paesi di San Marcello e di Popiglio, il fiume Reno, i castagni dalle larghe foglie e dai dolci frutti, i funghi prelibati e così via: «al qual luogo il cielo nel tempo della state per la freddezza dell’acque, e per l’ombrosità degli alberi, e molto più per la limpidezza dell’aria, così dilettevole si mostra, che sembra un terrestre Paradiso».
Insomma, non una montagna qualsiasi, ma la nostra montagna, com’era cinquecento anni fa, nella rievocazione di uno che c’era nato e non mancava di tornarci ogni tanto; dove, «sebbene per lo più ci sono i panni grossi, mercé forse dell’aria che delicata è, assai sottili ci sono gli ingegni»; e poggi, selve e pascoli risuonano di ottave e stornelli (di cui sono riportati non pochi esempi) che uomini e donne non si stancano di cantare in un lingua inconfondibilmente pulita e pura come l’aria che respirano.
Spesso la “chiave” di un’opera si trova già nel suo titolo e nello pseudonimo del suo autore. Così la Metamorfosi del virtuoso di Lorenzo Selva, mentre con “metamorfosi” rivela subito una illustre derivazione letteraria e con “Selva” il concreto riferimento ambientale che si è visto, ci rinvia anche ad una determinata realtà culturale e storica con la specificazione di “virtuoso”, che non lascia dubbi sull’ intento edificante e religioso del piacevole racconto di avventure.
È più o meno la poetica del «vero condito in molli versi» formulata negli stessi anni da Torquato Tasso: rendere più accessibile agli uomini la verità facendola passare attraverso forme sensibili di bellezza e coinvolgimento emotivo.
Un’idea tutt’altro che nuova – si dirà. Ma che fu ripresa con straordinaria forza ed efficacia, dopo il concilio di Trento, nella cultura e nella propaganda della Controriforma e Riforma cattolica (basti pensare al grande rinnovamento musicale dell’Oratorio promosso a Roma da san Filippo Neri, del quale il Marcellino era amico e assiduo frequentatore).
Visto dunque in che senso e per quali motivi ci sembra di poter collocare la Metamorfosi del virtuoso nel “genere” del romanzo moderno, resta da vedere se c’è qualche motivo di ritenerlo addirittura il primo di questo genere.
Il fatto che gli altri romanzi risultino di pubblicazione assai più tarda sarebbe sufficiente a dimostrarlo, ma solo nel caso – che certo non è il nostro – di aver compiuto riguardo ad essi una indagine esauriente.
Mentre invece un altro argomento, sia pure meno diretto, viene suggerito dalla singolare vicenda editoriale della Metamorfosi del virtuoso, che fu pubblicato a Orvieto nel 1582, a Firenze nel 1584, 1591, 1598, 1608, 1615 (dunque non è vero che a quel tempo in Toscana non si pubblicano romanzi), a Parigi, in traduzione francese, nel 1611 e a Venezia nel 1616. E poi… basta. Almeno otto edizioni in venticinque anni e nessuna nei seguenti quattro secoli. Come si spiega? Come si spiegano tanto successo iniziale, anche dopo la morte dell’autore, e il successivo disinteresse secolare?
La spiegazione più ragionevole è che, meriti letterari a parte, il Marcellino sia piaciuto perché la “novità” del suo romanzo corrispondeva alle tendenze e al gusto del tempo; e sia stato dimenticato quando, con la loro più importante attualità e la ridondanza barocca di avventure, drammi e “meraviglie” varie, altri romanzi vennero a corrispondere assai meglio alle medesime non più tendenze ma esigenze del gusto.
E proprio questo potrebbe, se non dimostrare, persuadere che quello del Marcellino sia stato davvero il primo.
___________________
Bibliografia essenziale
Oltre alle opere già citate nel testo,
- Dondori, Della pietà di Pistoia, Pistoia, 1666
- F.A. Zacharia, Bibiotheca pistoriensis, Torino, 1752
- Capponi, Biografia pistoiese, Pistoia, 1878
- Valbonesi, Letteratura e identità civile a Pistoia nei secoli XVI, XVII e XVIII, Pistoia, 2007
Vedi anche:
- scrittori & scritture. IL PRIMO ROMANZO ITALIANO DI ETÀ MODERNA È PISTOIESE?
- scrittori & scritture 2. IL PRIMO ROMANZO ITALIANO DI ETÀ MODERNA È PISTOIESE?
[3. fine – Maria Valbonesi]