PISTOIA. Proviamo a fare un po’ d’ordine. Una bimbetta si ubriaca, alcuni suoi compagni la deridono; il tutto durante un’assemblea “autogestita” dagli studenti della Scuola d’Arte di Pistoia sul tema del “bullismo”(!) nella Cattedrale ex Breda di Pistoia [vedi].
La dirigente scolastica, Elisabetta Pastacaldi, afferma che la scuola non c’entra niente,
La Digos indaga e la stampa cartacea pistoiese offre la versione dei fatti, come al solito, “ad usum delphini”, dove il sovrano è la “squola”, il delfino è la dirigente Pastacaldi ed il “delfinotto” è la celeberrima artista R.B. insignita da “La Nazione” con il titolo di “insegnante storica” che tutto il mondo culturale conosce ed alla quale è demandato l’onere e l’onore di difendere il buon nome della scuola, pardon, liceo.
Il tutto sarebbe materia per il Vernacoliere di Livorno e dintorni, ma purtroppo di episodio fuori regole si tratta e quindi anche noi dobbiamo parlarne; senza dare giudizi e comminare pene o sanzioni, ché non è il nostro compito e purtroppo neppure, talvolta, di chi è preposto.
Senza nasconderci, però, per innocuo dovere di cronaca e di critica, sotto l’ala protettrice della divulgazione della notizia in maniera afasica, ma ponendoci solamente alcune domande che partono dal presupposto che solo una causa produce un effetto.
La bimbina, in altre circostanze la ragazza, era consapevole di ciò che andava a fare? Pensiamo di no.
I bulli, in altre circostanze i ragazzini, erano consapevoli di quello che andavano facendo (o non facendo) davanti a una loro coetanea, causa, che, comunque si voglia metterla, è stata l’effetto del loro riprovevole comportamento? Pensiamo di no.
Pensiamo che il tutto sia materia che si sarebbe potuta concludere con tre o quattro schiaffoni agli attori di questo deprecabile accadimento e qualche “rapporto” disciplinare per poi spostare il problema, quello vero, sui metodi di aggregazione beluina durante le democratiche assemblee studentesche autogestite.
Mi rivolgo agli studenti attempati e nostalgici di quella scuola di un tempo in cui nel gruppo c’era sempre il più “fesso” (che poi era sempre il più buono e il più amico), oggetto di scherzi e lazzi a non finire. Ma non finiva mai così, come in questa “squola” moderna ed attraente, accogliente e integrante, educante e materna. E le ragazze, comunque, erano sempre rispettate.
Le assemblee di oggi, invece, sono diventate momenti di aggregazione culturale, sociale, didattica etc., ma, come ci dice la dirigente Pastacaldi, gli insegnanti non sono tenuti a partecipare e, per logica, a controllare. Tutto ciò a differenza di altri colleghi di questa dirigente che pubblicamente hanno affermato che in queste circostanze emettono “ordini di servizio” per garantire il controllo dell’assemblea. Qualcuno mente o qualcuno gioca sporco.
Una cosa è risaputa: la dirigente Pastacaldi ama i suoi giovani studenti, anche se quelli delle prime classi non li conosce nonostante i sei mesi di scuola già trascorsi. Lo ha detto anche a una trasmissione del Tg nazionale.
Domanda: i primini sono pesciolini rispetto ai “vecchietti” delle ultime classi? Questa gentile signora che dichiara serenamente che i “primini” non hanno ancora compreso lo spirito dell’illustre scuola d’arte che lei dirige, cosa mai avrebbero dovuto o dovranno imparare per essere degni fruitori dell’ingegno che alberga in questa scuola?
L’avrete compreso: siamo con la ragazzina che deve imparare a moderarsi e con i ragazzi che hanno passato certi limiti di buon gusto. Niente di più e niente di meno.
Il più deve offrircelo la dirigente Pastacaldi che ama i suoi giovani discenti ma che non conosce i “primini” ed eventualmente la magistratura attraverso l’eventuale protagonismo di qualche giudice che ha compreso che certe “puttanate” possono fare cassa in vista di eventuali elezioni o di captatio benevolentiae che non si sa mai…
A noi resta l’amaro dilemma: se il contratto nazionale della scuola, come dice la Pastacaldi, non impone l’obbligo di presenza agli insegnanti durante le assemblee autogestite, quello che è accaduto è solo l’antipasto del domani.
[Felice De Matteis]
Diritto di critica
«CHI SIETE? COSA PORTATE? SÌ, MA QUANTI SIETE? UN FIORINO!»
SPEZZIAMO una lancia a favore della professoressa Elisabetta Pastacaldi, mia prima, piacevole collega d’italiano quando entrai all’Istituto Pacini, Liceo Linguistico, vent’anni fa.
È chiaro che non so più come stanno realmente le cose misteriose dei contratti – anche perché nella mia presenza al Pacini sono passati ben tre trienni contrattuali completamente disattesi dai politici di questa demenziale repubblica (minuscolo) e l’unico beneficio che ho avuto dall’istituto del rinnovo contrattuale è stata la munifica erogazione di poco più di 11 € mensili a titolo di anticipo su un ipotetico (e mai rinnovato) contratto.
È chiaro, come dicevo, che non so più come stanno realmente le cose: ma se le cose stanno come dice la professoressa Pastacaldi – e non ho motivo di dubitarne fino a prova contraria –, nessuna norma impone ai docenti la presenza e la sorveglianza alle assemblee, gloriosa memoria di un comunismo galoppante sessantottardo che richiamava certi costumi sovietici di quando Napolitano, presidente emerito della repubblica (minuscolo), applaudiva l’invasione dell’Ungheria e poi un giullare come Benigni girava film dichiarando di voler bene a Berlinguer.
Erano prima i Presidi-Remigi, alle leggi ligi, a stabilire – per mera inusuale prassi di potere – il dovere dei professori (discendente da dove?) di presenza e sorveglianza alle assemblee; poi quelli filolavoratori ex-sessantottardi, maoisti e stalinisti (magari censurati dal giudice del lavoro per comportamento antisindacale, come – tanto per non fare nomi – la prof.ssa Rita Flamma, così cara a mamma Cgil) a rincarare la dose, imponendo, a loro insindacabile giudizio, compiti d’ogni sorta ai docenti.
E non si venga a dire qualcosa: perché il cronista e lo storico hanno il dovere di raccontare la verità fattuale e non quella del «pensiero unico buonista» che assolve tutti, una volta scomparsi: anche i peggiori. Certe cose vanno bene per la gente che sa di P[arrocchia] D[emocratica], quei “compagnucci di parrocchietta” che una volta i rivoluzionari della «rivoluzione rinvoluta» spregiavano con tutto il corpo e l’anima.
Bene, veniamo al sodo. Che si aspetta, dopo ministri che hanno fatto pena (Gelmini, Giannini, Fedeli [a Renzi, ovviamente] e non solo), a togliere di mezzo quei famosi Decreti Delegati degli anni 70 che hanno distrutto la scuola italiana e questo paese (minuscolo)? Che si aspetta a cancellare queste manifestazioni popolar-populiste, di cui il comunismo sovieto-cino-cubano era l’antesignano, e che hanno portato alla «scuola dei ciuchi», con il sommo rispetto per gli asini?
La scuola ha un solo dovere, riassumibile, dalle parole di Cristo, in un “lasciate che gli analfabeti vengano a me”: solo che questo non lo possono dire politici e tecnici che poi lasciano in cattedra docenti (?) che fanno lezione (?) leggendo sul libro.
Vi siete mai chiesti perché nell’editoria scolastica odierna, che fa letteralmente schifo, ai testi sia quasi sempre unita una “guida per il docente”? La risposta è semplice e logica; e molti rappresentanti delle case editrici, gente sveglia, nel segreto del confessionale talvolta se la sono fatta scappare: perché neppure la maggior parte dei docenti sa muoversi nel mondo del sapere.
Una bella spazzata e si ricomincia da capo: voti e bocciature, rigore e selezione. Disse di volerlo fare – lo ricordate? – Luigi Berlinguer da ministro dell’istruzione. Ma i compagni gli riservarono immediatamente il trattamento che toccò al gallo nella Cantatrice calva di Eugène Jonesco: «Una volta un gallo volle fare il cane. Ma non ebbe fortuna, perché tutti lo riconobbero immediatamente».
Quanti fiorini dovremo ancora pagare – fiorini dei nostri, strappati dalle nostre tasche, estorti a forza – prima di sentire una persona di buonsenso, come Massimo Troisi in Non ci resta che piangere, esclamare a gran voce: «Mavafangùlo!».
[Edoardo Bianchini]
Diritto di critica