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PISTOIA. Un colosso, orientato al mercato, in cui pesiamo troppo poco e di cui non si rintracciano strumenti di indirizzo e controllo efficaci. A parte la solita lottizzazione politica.
Ieri sera, in Consiglio Comunale di Pistoia, la maggioranza ha approvato la creazione dell’azienda unica di gestione dei rifiuti per la Toscana Centrale. Un colosso in cui confluiranno le attuali 4 aziende: Quadrifoglio di Firenze, Publiambiente, che serve il Pistoiese e l’Empolese, Asm di Prato e Cis di Montale.
Il primo problema – dice Massimiliano Sforzi, Gruppo Misto – è che una operazione come questa significa collocare altrove un pezzo del patrimonio della città. Bisogna verificare che nel nuovo assetto questo patrimonio mantenga il suo valore. Sia in termini puramente economici che in termini di ricadute sul territorio. Posti di lavoro, indotto, ecc.
E già qui i dubbi ci sono. Publiambiente è la seconda azienda del nuovo raggruppamento per dimensioni, addetti, impianti, territorio e popolazione servita. Ma nel nuovo soggetto pesa solo per l’11%, meno di Prato che entra con oltre il 16%. Senza contare che Quadrifoglio avrà un peso schiacciante, con ben il 71% delle quote.
I calcoli son stati fatti scegliendo un metodo che stima solo il patrimonio netto e ignora altri fattori, per es., la redditività dell’azienda; per di più non sono state fatte perizie tecniche sul valore dei beni della varie aziende, ma ci siamo basati sui dati a bilancio senza alcuna verifica almeno di uniformità.
Fatto sta che ci troviamo sottodimensionati nel patrimonio dell’azienda e da molte parti si avanzano forti dubbi sul metodo seguito. In realtà quello che sembra emergere – dice ancora Sforzi – è che il bilanciamento lo si è cercato altrove, nello scambio politico per le cariche aziendali.
Il primo presidente del nuovo soggetto sarà espresso da Publiambiente e, senza essere indovini, sarà probabilmente Paolo Regini. Insomma ci si affida di nuovo a rapporti politici e di potere per contare, invece che creare una architettura corretta dell’azienda e dei sistemi di indirizzo e controllo che la dovrebbero guidare, trasparente ed affidabile per tutti.
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Perché, ed è questo il secondo punto, l’azienda nasce come una azienda di diritto privato puro, che dichiara apertamente l’intento di crescere ancora, essere competitiva sul mercato nazionale, aggredire fette di mercato che esulano dal perimetro pubblico e territori lontani da quelli di origine. Un modello alla Hera, insomma una mega-utility, con mentalità squisitamente mercatista.
Il primo atto significativo fatto da Quadrifoglio in vista della fusione è l’emissione di bond e di obbligazioni per raccogliere fondi sul mercato regolamentato. Un passo, insomma, verso la finanziarizzazione e forse la quotazione in borsa.
Un passo che intanto porta l’azienda al di fuori di ogni normativa di riferimento per società partecipate pubbliche. La rende in tutto e per tutto una azienda privata. Un passo fatto in autonomia, frutto dell’ideologia e della prassi di questo Pd che non è più da molto tempo un partito né di sinistra e neppure di centro. A dimostrazione di chi sia a prendere le decisioni e di chi invece si limiterà a ratificarle.
Con un disegno così, che mette in campo un soggetto che lavorerà secondo logiche puramente aziendaliste, il momento di indirizzo e controllo da parte dei comuni che rappresentano i cittadini, diventa il punto centrale.
Come si intende esercitarlo? Perché la gestione dei rifiuti è uno dei temi principali del governo delle città, attiene a beni pubblici primari, come la tutela della salute e dell’ambiente. Pensare che possa essere esaurito in una logica di efficienza aziendalistica sarebbe follia. Ma non c’è niente da questo punto di vista che rassicuri negli atti che sono stati approvati.
Un’azienda così grossa, dove pesiamo pochissimo, sganciata da ogni forma di controllo strutturato, chi sarà in grado di indirizzarla, evitando che l’ottica industriale si mangi quella di strumento per l’erogazione di un servizio essenziale? Per intendersi, se il business dei rifiuti speciali tirasse particolarmente, chi deciderà di spengere l’inceneritore che produce profitto? O viceversa se le isole del riuso son costose e rendono poco perché le dovrei fare?
Domande, crediamo, legittime, soprattutto mentre portiamo in questa nuova realtà il pezzo più pregiato dal punto di vista della gestione. Andiamo a fonderci con realtà che hanno produzione di rifiuti mostruose (Prato arriva ai 700 kg pro-capite), livelli di differenziata che non arrivano in molti casi al 50%.
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Come faremo a garantire che si adottino le politiche che riteniamo corrette? Intanto il Business Plan di Alia ben poco dice su riduzione di rifiuti e riuso, che sono le azioni gerarchicamente più importanti, da adottare per prime, ed invece porta dal 13 al 20% la quota di rifiuti inviati al recupero energetico (cioè all’incenerimento).
E le ambizioni sulla quota di differenziata, considerando che si parla di un orizzonte temporale di 20 anni sfiorano la tragicommedia. Nemmeno si parla di far tendere allo zero, almeno in quest’arco temporale, la quota di rifiuti da inviare al recupero energetico.
Noi crediamo che si sarebbe dovuto impostare il tutto in maniera rovesciata. Anche nel processo di fusione, a cui noi siamo stati contrari, il punto centrale doveva essere l’ottica del servizio, la sua qualità, la sua capacità di rispondere al meglio a quelle esigenze di tutela di beni fondamentali.
L’azienda è lo strumento, che deve esser il più efficiente possibile per ridurre al minimo gli oneri a carico dei cittadini. Non deve avere una mission autonoma di tipo puramente industriale. Altrimenti si rischia che a guidare le scelte non sia l’interesse generale, ma le logiche del business.
Il modello dell’affidamento diretto “in house”, non a caso disegnato con molte limitazioni all’espansione aziendale, avrebbe garantito molto di più. Si è scelto un altro modello, in maniera un po’ culturalmente subalterna, seguendo esperienze altrui che per altro non hanno dato certo risultati incontrovertibili, sia in termini di qualità complessiva del servizio, sia in termini di costi per i cittadini.
Noi abbiamo votato contro, ma adesso sarà tutto più difficile.
[comunicato]