Bisogna rinascere novelli Seneca per rappresentare il degrado morale, civile, religioso, politico e giudiziario di una città che non si è mai schiodata da posizioni nerissime o, successivamente, rossissime e infiammate d’amore per la Costituzione. Di cui tutti tessono gli elogi, ma che disonorano per amore delle istituzioni e delle «autorità costituite», sempre autorizzate a pretendere dagli altri un rigore che loro per prime ignorano e ripudiano
IPOCRISIA: «SON TUTTE BELLE
LE MAMME DEL MONDO»
Morto l’imperatore Claudio, patrigno di Nerone, Seneca si divertì a rappresentarlo in cielo, in maniera iperrealistica, mentre (dicono i latinisti bigotti) viene beatificato in una metamorfosi che lo vede trasformato in zucca; o che, molto più probabilmente, secondo i latinisti che il latino lo sanno davvero, cammina con una zucchina infilata nel culo.
E nonostante il tappo (non come quelli attuali che si svitano, si girano, si beve e poi si richiudono…), il povero imperatore, fatto fuori da Agrippina con un bel piattino di funghi, e sbeffeggiato da Seneca, a un certo punto, dopo avere scorreggiato, esclama: «Vae me, puto, concacavi me». Ossia: povero me, mi sono riempito di merda, credo… L’ha fatta, insomma, come si dice, «vestita».
Ora trasportate tutto questo preambolo nel politicamente corretto/corrotto pistoiese, nativo o importato: per esempio i due campioni di “giornalismo montanelliano” Giuseppe Grieco e Claudio Curreli. E iniziate a sganasciarvi dalle risate.
La maggior parte dei magnifici magistrati presenti in Pala-Giustizia, vengano o no dalla Federico II di Napoli, si scandalizzano per il nomignolo di Cacaiola del sindaco Benesperi. Figuriamoci se non scoppierebbero in lacrime, strappandosi i capelli, al solo pensiero di essere davvero terzi, imparziali e indipendenti nella libertà di espressione, sia pure storicizzata e aderente al reale.
Per 19 parole di Cinzia Cerdini i sedicenti giornalisti aggreppiati, iscritti all’ordine (comunista) di Firenze, e pastorati/pastorizzati da Carlo Bartoli e Giampaolo Marchini, fanno scoppiare un caso nazionale di razzismo (con dietro la santa romana chiesa di Bergoglio e il re del Marocco), ma non si vergognano di ignorare che questa è la città, a parte di ladri come Vanni Fucci, di falsi e bugiardi, farisei, indegni, incivili e con spiccata propensione alla falsificazione della realtà.
Una città in cui la magistratura – è un fatto – protegge i clandestini a scàpito di un’intera comunità di quartiere che non ha affatto bisogno dello ius scholae per essere italiana, ma che evidentemente, per motivi ideologici degli stessi magistrati benefattori del mondo, hanno meno diritti degli irregolari: una Vicofaro ostaggio dell’illegalità in nome e per conto di un traffico negriero peggiore di quello che riempì l’Amerika delle colonie inglesi, deportando e vendendo mezza Africa.
Le punte massime di questa indicibile-indecente situazione, si vedono a colpo d’occhio:
- Tommaso Coletta, che non intercetta la sorella di Luca Turco, suo amico e compari;
- Claudio Curreli, che infrange disinvoltamente le leggi dello stato (incompatibile a Pistoia – e non è il solo – perché lavora contra legem fianco a fianco con la moglie Nicoletta Maria Caterina Curci; ma molto più perché è schierato contro lo stato per le sue attività di accoglienza-clandestini etc. etc.);
- Maurizio Barbarisi che se ne va, rimpianto da tutti e da tutti ruffianescamente osannato quale esempio di virtù giuridico-legalitaria, trionfale sino al punto di osare affermare «Abbiamo scritto insieme una bella pagina di storia di questo ufficio» etc. etc.
Sì. Ma quale, di grazia? E tutti applaudono e comprano la Pigotta di Palazzo Pretorio (da prete con scherzi preteschi, non da pretore…).
La compra, per prima, la presidente degli avvocati-fornai, Cecilia Turco, imparentata con il potere della casta (è cugina di Luca Turco e di Lucia Turco, la non-intercettabile di Coletta) e cittadina iure sanguinis, non scholae, della “razza padrona”, come avrebbe detto il mio maestro Vasco Gaiffi.
La compra, la Bigotta (meglio di Pigotta), anche il Coletta. Un Pm capo di provata fede legalitaria quale figlio d’arte (definizione di Massimo Donati del Tirreno), che se ne sbatte della «prossimità sociali».
A lui certe cose gli fanno un baffo – disse al beato Luigi Bardelli in Canto al Balì, e anche all’allora presidente della camera penale, avvocato Andrea Ferrini.
Per ultimo tocca al sindaco Alessandro Tomasi, che però la Bigotta la compra sì e la compra no. Divaga. Così sembra di capire che la Lucia Agati (è lei la l.a. della sigla, vero?) consideri un po’ limitante il cenno del sindaco al solo aspetto dell’impianto di illuminazione dell’androne del condannificio pistoiese.
Ma inconsapevolmente il Tomasi, futuro sfidante (?) di Giani il testa-in-dondolo, ha verniciato con coppale marina l’unica verità davvero riferibile al Barbarisi: ha portato la luce in tribunale a Pistoia.
Sì, ma solo quella dell’Enel, se si pensa che Barbarisi ci ha fatto sapere che la libertà di pubblicare un quotidiano on line è forzatamente condizionata e sottomessa all’autorizzazione-censura del Menga dell’ordine dei giornalisti (Maurizio si rilegga bene la Costituzione e l’art. 21!): mentre la disposizione che vieta a Curreli e signora di stare al lavoro sotto lo stesso tetto, è consentita perché tollerata e promossa dalla supremazia tirannica di CSM e ANM. Loro, infatti, per il legalitario Barbarisi, possono fare quello che cazzo vogliono sia delle leggi che della Costituzione repubblicana, tanto cara a Furfaro e alla Simona Querci, se utilizzabile contro la Cinzia Cerdini.
Povero Cristo! Come se lo pigliano per il culo tutti, indistintamente.
Gli unici che devono rispettare le leggi senza battere ciglio, sono quelli che, come noi di Linea Libera, hanno imparato il mestiere di giornalista quando il giornalismo era quello vero e non quello dei comprati e dei venduti di Giampaolo Pansa; un comunista che, alla fine, ha mandato a fanculo la sinistra farisea, accattona, piagnona e stronzo-cattolico-borghese, amen!
La signora Katia Calamai ha infine regalato, a nome di tutti, il magnete del tribunale-condannificio di Pistoia da attaccare al frigo di casa Barbarisi. Ma questo sarà un segno di ammirazione o un’oscura allusione ad altro…?
La realtà è sempre ambigua, guarda la Boccia & Sangiuliano! Come del resto mutante è la nostra giustizia-ingiusta: fatta per il potere dei magistrati a loro immagine e somiglianza; e non per un servizio da rendere al popolo nel cui nome quella «cosa» viene amminEstrata.
Per tutto il resto c’è MasterPapp. Usando la quale molti “giornalisti” preferiscono pappare parlando di cazzate piuttosto che di magistrati che accendono l’Enel, ma non brillano di luce propria quanto a rispetto dell’art. 358 cpp, della verità, della legalità, dell’obbligatorietà dell’azione penale, dell’art. 21 della Costituzione e del dovere di rispettare i propri doveri di magistrato «con disciplina ed onore» (54 Cost.). Cos’altro aggiungere, discendenti di Vanni il ladro?
Forse solo Vae vos, puto, concacavistis vos!
Fàtevela tradurre dal figlio d’arte Coletta o dal terrapertista Curreli. Loro sanno tutto. Sanno tutto: anche inventare reati non previsti dal codice penale.
Edoardo Bianchini
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Chi ha paura muore ogni giorno, chi non ha paura muore una volta sola (Paolo Borsellino)
e don Ciotti, a Quarrata, ha affermato che «chi tace è complice del male»…